La mediazione italiana potrebbe nuovamente cadere per via dell’incompatibilità con
le direttive comunitarie [1]: a metterlo nero su bianco è l’avvocato generale della
Corte di Giustizia dell’Ue che ha appena depositato le proprie conclusioni [2] (qui
scaricabili) in un giudizio rimesso ai giudici di Strasburgo dal Tribunale di Verona. Alla
gogna, in particolare, due punti della normativa italiana sulla mediazione: l’obbligo
dell’assistenza dell’avvocato e le sanzioni in caso di rifiuto dell’offerta transattiva nel
caso in cui, nella successiva sentenza, il giudice confermi lo stesso importo.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la questione si pone solo per le liti tra
consumatori e professionisti. La direttiva comunitaria sembrerebbe non imporre la
presenza obbligatoria di un difensore. Con la conseguenza che il cittadino potrebbe
difendersi anche da solo, senza dover necessariamente farsi assistere da un avvocato
(e pagargli la relativa parcella). È di questa opinione anche l’avvocato generale della
Corte di Giustizia. Secondo quest’ultimo, è vero da un lato che gli Stati membri, anche
al fine di decongestionare i tribunali, possono rendere obbligatoria la mediazione come
condizione per poter – in caso di suo fallimento – avviare la causa in tribunale (e ciò
vale anche quando la controversia attiene a diritti dei consumatori) purché non si
obblighi le parti a farsi assistere da un avvocato nel corso della mediazione
medesima, almeno quando la vertenza riguarda diritti dei consumatori. In tal senso, la
legge italiana [3] è incompatibile con il diritto dell’Unione.
Il secondo aspetto importante, toccato dall’avvocato generale, riguarda le
penalizzazioni in caso di fallimento della mediazione. Penalizzazioni che non
avrebbero alcuna ragione di esistere. Difatti la direttiva comunitaria è improntata alla
totale libertà delle parti (o quantomeno del consumatore) di ritirarsi dalla
mediazione per motivi anche puramente personali, che non devono essere motivati
(ad esempio, perché insoddisfatta dello sviluppo di tale procedura). Anche in questo
caso, pertanto, è illegittima – e incompatibile con l’Ue - la normativa italiana quando
ricollega effetti negativi al ritiro dalla mediazione per motivi puramente soggettivi.
La parola, ora, passa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la quale, se
confermerà le conclusioni dell’avvocato generale, costringerà di nuovo l’Italia a rivedere la legge sulla mediazione e ad apportare urgenti modifiche.