Come abbiamo già osservato nel capitolo introduttivo di questa guida, la mediazione e la conciliazione sono due metodi di risoluzione alternativa delle controversie che prendendo le mosse dalle tecniche di negoziazione, aiutano le parti a pervenire ad una soluzione concordata ponendo così fine al conflitto. Nel campo del diritto penale, che interessa specialmente i reati contro la persona come (ad esempio: diffamazione, lesioni colpose, omicidio…) la componente “sociale” del conflitto di solito è preponderante rispetto a quella “economica”; per questa ragione, si parla normalmente di “mediazione penale”, piuttosto che di “conciliazione penale”. Il nostro sistema giuridico sta manifestando un crescente interessamento verso l’applicazione costante della mediazione penale, con interessanti risvolti pratici. I pregi della mediazione penale, infatti, s’intonano molto bene con i principi del diritto penale italiano, che è improntato verso la rieducazione del reo e non soltanto verso la sua punizione.
Vediamo di comprendere le ragioni per le quali la mediazione penale viene costantemente ricollegata alla concezione della “giustizia riparativa”, della quale negli ultimi tempi si sente spesso parlare. Quando un conflitto diventa di rilevanza penalistica, i rapporti umani pregressi tra i litiganti sono un elemento d’importanza cruciale e non trascurabile, per la comprensione delle dinamiche che lo hanno generato. Non a caso, anche la cronaca nera normalmente si occupa dei delitti cercando di risalire al “movente” che ne ha determinato la produzione. Se è vero che all’opinione pubblica interessa comprendere la ragione per la quale determinati comportamenti si sono verificati in determinate circostanze, è ancorpiù vero che allo Stato e all’autorità giudiziaria, cui compete la ricerca della verità all’interno di un processo, deve interessare approfondire gli aspetti psicologici e motivazionali che hanno determinato il generarsi di una determinata fattispecie di reato. E’ noto, però, che il contesto di un processo non è certamente quello ottimale per portare ad emersione gli aspetti più profondi di una relazione interpersonale: il processo, infatti, offre garanzie di equità nel rispetto delle opinioni e delle tesi di tutte le parti in causa, ma non ha spazi adeguati e tali da consentire un’apertura al confronto e al ristabilimento del dialogo attraverso una gestione razionale del conflitto. Difatti, è estremamente raro che il reo e la vittima si riconciliino a seguito di un processo penale. Normalmente accade che la conflittualità tra le parti si acuisca a seguito di una sentenza. Non è infrequente che quando una condotta, anche apparentemente banale, è stata sanzionata dall’autorità pubblica, nel reo s’ingeneri una situazione di grave malcontento e frustrazione, che determina il rischio di commissione di nuovi e ulteriori reati. Al contrario, è estremamente frequente che i rapporti interpersonali tra la vittima e il colpevole riprendano un intrinseco equilibrio, dopo aver preso parte ad una mediazione penale. Ovviamente, non tutti i casi si prestano ad una mediazione penale.  Affinchè possa avere buon esito, la mediazione reo-vittima ha infatti bisogno di un substrato imprescindibile, che si compone di due fondamentali requisiti: 1)     l’esistenza di un precedente rapporto amichevole tra le parti; 2)     la brusca interruzione di tale rapporto. In presenza di questi due elementi, allora, il reato si può leggere non solo nella tradizionale concezione giuridica di violazione di una norma penale, ma anche in chiave sociologica come “atto di rottura di una relazione interpersonale”. Differentemente che per il giudice, infatti, per il mediatore che guida il confronto fra il reo e la vittima, il fatto in cui si è sostanziato il reato non è solo ed esclusivamente l’offesa ad un bene giuridicamente rilevante e protetto. Come in ogni altra A.D.R., poi, non può mancare il pre-requisito della volontarietà dell’accesso alla procedura. Vista la delicatezza delle fattispecie penalistiche, proprio a questo proposito la pratica prevede che in genere l’Ufficio di Mediazione provveda ad effettuare un incontro preliminare separato, con ognuna delle parti coinvolte: solo se si costituisce il consenso, il reo e la vittima si trovano faccia a faccio nell’incontro congiunto. In presenza dei presupposti ricordati, le mediazioni penali sono normalmente molto efficaci. Il buon esito di una mediazione reo-vittima si riconosce dalla ricorrenza del cosiddetto “gesto simbolico riparativo” (per esempio: la richiesta di perdono da parte del colpevole), che segna la felice conclusione della procedura e ha due particolarissime valenze di significato: la prima è la consapevolezza del disvalore dell’azione compiuta ai danni della vittima; la seconda è la cesura con il passato improntata all’auto-responsabilizzazione del soggetto per il futuro. La mediazione dà occasione alle parti di confrontarsi con piena libertà di parola, senza sentirsi sotto giudizio, in un contesto assolutamente confidenziale e riservato che permette a ciascuna di spiegare all’altra le proprie ragioni, così come di sfogare i propri motivi di rancore o esporre le ingiustizie che ciascuna pretende di aver subito da parte dell’altra. Il miglior effetto che la mediazione penale può sortire, in concreto, è la remissione della querela da parte della vittima. L’effetto collaterale non trascurabile, però, è quello che prevede la riapertura del dialogo fra i soggetti coinvolti, salvaguardando la relazione. Se è vero che un giudizio si può definire come lo strumento idoneo per sancire il fallimento di una relazione intersoggettiva, è altrettanto vero che la mediazione è lo strumento idoneo a salvaguardare la relazione preesistente tra le parti, superando gli argini dettati dal conflitto. Proprio l’attenzione alle dinamiche relazionali nel contesto delle quali si è concretizzato il fatto di reato è l’elemento caratteristico del sistema della giustizia riparativa, che gli anglosassoni chiamano appunto “relational justice”, al quale, comprensibilmente, viene a buon diritto fatta risalire la mediazione penale. E’ un pensiero comunemente diffuso, quello che la Giustizia (intesa come idea platonica) si possa attuare mediante una completa identificazione con la pratica del diritto, o, in alternativa, con la pratica della mediazione. Potrebbe giovare grandemente al nostro sistema, invece, identificare la Giustizia con un perfetto incrocio fra diritto e mediazione. E’ proprio questa la soluzione verso la quale si è orientato già da anni il diritto comunitario, auspicando una progressiva ed effettiva sinergia fra la giustizia ordinaria e la giustizia riparativa negli Stati membri. In Italia, l’art. 29 del decreto legislativo 274/2000 prevede che il giudice, nei casi di competenza del Giudice di Pace, per i reati procedibili a querela di parte, laddove ravvisi una possibilità di conciliazione fra il reo e la vittima possa, nel corso della prima udienza, rinviare il processo per un periodo non superiore a due mesi, onde avvalersi dell’attività di mediazione di centri e strutture, pubbliche o private, presenti sul territorio.