La mediazione
opportunità per la risoluzione
dei conflitti e della crisi della giustizia civile
 
Il titolo di questo incontro di studio è sintomatico del contributo che si vuol dare con la presente relazione, ossia quello di individuare strumenti che abbiano una duplice finalità:
a)trovare soluzioni alternative alla giurisdizione ordinaria per la risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale;
b)tracciare dei percorsi per uscire dalla crisi della giustizia civile deflazionando il carico insopportabile per l’apparato giudiziario così come strutturato nel nostro paese.
Si vuole trattare l’argomento della mediazione e dare qualche spunto sullo strumento della negoziazione assistita con l’approccio dell’avvocato senza entrare nel merito delle tecniche di mediazione e delle forme di comunicazione.
Tralascio opinioni personali ed atteggiamenti dell’avvocatura tenden-zialmente scettici rispetto allo strumento della mediazione ma, tutto sommato, aperti alla novità degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.
E’ auspicabile, quindi, che tale strumento venga concretamente utilizzato non riducendosi ad una formalità, ad un mero passaggio per accedere al processo, anche in considerazione del ruolo affidato dalle nuove disposizioni all’avvocato sia nella veste di difensore che in quella di mediatore.
Lo scorso 16 gennaio, in occasione di un convegno tenutosi presso la Camera dei Deputati “La mediazione in Europa ed in Italia”, sono stati anticipati i risultati dello studio del Parlamento Europeo sull’attuazione della direttiva in materia di mediazione delle liti civili e commerciali.
Nello studio del Parlamento di Strasburgo, oltre 800 esperti in rappresentanza di ciascuno dei 28 Stati Membri dell’UE, hanno valutato non solo l’estensione del mercato della mediazione nei rispettivi Paesi, ma anche la capacità del quadro normativo di favorire il ricorso all’ADR.
Gli esperti sono stati anche chiamati ad indicare le politiche del diritto più auspicabili per accrescere il numero di mediazioni, che resta a un livello molto basso in area UE: meno dell’1% delle azioni civili avviate, con la sola eccezione dell’Italia.
Lo studio conferma poi una precedente ricerca del 2011, sempre condotta per il Parlamento Europeo, in base alla quale la mediazione, se esperita prima dell’avvio di qualsiasi azione civile, con un tasso di successo anche solo del 30%, genererebbe comunque risparmi complessivi di tempo e di denaro per gli utenti e per l’intero sistema.
Il modello italiano di “mediazione obbligatoria mitigata”, grazie al meccanismo del ‘opt-out’, ossia la possibilità di abbandonare la procedura nel corso del primo incontro con il mediatore, riscuote di gran lunga il maggior numero di consensi, in tutta l’Unione.
Anche il presidente ed il segretario del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa e Andrea Mascherin, sono intervenuti il 16 gennaio scorso alla Conferenza Nazionale dell’Avvocatura tenutasi a Napoli evidenziando la necessità di coinvolgere l’avvocatura per lo smaltimento dell’arretrato, la introduzione di nuovi e alternativi sistemi di risoluzione delle controversie e la partecipazione obbligatoria degli avvocati nell’ufficio legislativo del Ministero della Giustizia.
Questi sono gli ultimi fermenti che oggi si registrano al ritorno alla mediazione obbligatoria sancito dall’art.5 D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, dopo che la Corte Costituzionale si era pronunciata con sentenza n.272 del 6 dicembre 2012 dichiarando la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del D.Lgs. 04.03.2010 n.28 nella parte in cui aveva previsto il carattere obbligatorio della mediazione.
In questo quadro, quindi, si vogliono analizzare le significative novità introdotte dal cosiddetto “decreto del fare”, ossia dal decreto legge n.69/2013 convertito nella legge n. 98/2013, al di là della reintroduzione della obbligatorietà della mediazione come condizione di procedibilità della domanda per tutte le materie già previste nella precedente formu-lazione del D.Lgs. n.28/2010, eccezion fatta per le controversie relative al risarcimento del danno da circolazione stradale.
Si farà cenno anche alla circolare esplicativa del Ministero della Giustizia che ha fornito alcuni chiarimenti in materia lo scorso 27.11.2013.
L’art.5, comma 1 bis così come introdotto dal  D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, prevede che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie in materia di:
-      condominio
-      diritti reali
-      divisione, successioni ereditarie
-      patti di famiglia
-      locazione, comodato, affitto di aziende
-      risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità
-      contratti assicurativi, bancari e finanziari.
La mediazione sarà obbligatoria nelle materie previste dalla norma anzidetta almeno per i prossimi quattro anni (art.5 co.1 bis).
Esaminerò alcun aspetti che hanno formato oggetto di discussione dopo l’entrata in vigore della novella legislativa .
 
La competenza territoriale. 
Il procedimento di mediazione può essere intrapreso dinanzi ad un organismo, pubblico o privato, che sia iscritto presso il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 16 del d.lgs n.28/10.
La formulazione originaria dell’art.4 del d.lgs 28/10 aveva suscitato molte perplessità per la mancata indicazione di criteri di competenza poiché lasciava ampia libertà e discrezionalità alle parti nella scelta dell’organismo di mediazione così prestando il fianco a problemi di accessibilità.
Nel silenzio del legislatore, dunque, era da condividere quello orientamento dottrinario secondo il quale la competenza territoriale dell’organismo di mediazione chiamato a tentare di dirimere una controversia civilistica si radicasse in ragione della scelta del contendente instauratore del procedimento mediatizio pregiudiziale e, conseguen-temente, mercé applicazione incondizionata ed arbitraria del criterio processuale di prevenzione.
Si può fare l’esempio classico della parte che promuove la media-zione a Milano chiamando la controparte che risiede a Reggio Calabria.
La mancata individuazione di un criterio di competenza esponeva la parte in difficoltà a subire le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento.
I problemi conseguenti alla previgente formulazione dell’art.4 veni-vano in qualche modo temperati dalla previsione del comma 5 del successivo art.8 (oggi abrogato) in base al quale se la mancata partecipa-zione al procedimento di mediazione avveniva “senza giustificato motivo”, il giudice poteva desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ex art. 116 c.p.c..
L’esempio citato poteva ben rappresentare un caso di giustificato motivo.
La Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, nel parere approvato in data 27 gennaio 2010, aveva proposto di disporre che la competenza ratione loci dell’organismo fosse fissata principalmente nel-l’ambito territoriale del circondario del Tribunale che sarebbe stato competente a conoscere della causa di merito ovvero, subordinatamente per l’ipotesi di mancanza in quel territorio di organismi di mediazione, nell’ambito territoriale del distretto di Corte d’Appello annoverante il circondario del Tribunale che sarebbe stato competente a conoscere della causa di merito, salva comunque restante la facoltà dei litiganti di derogare concordemente alla norma regolatrice all’uopo.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con parere approvato dalla sesta commissione in data 04 febbraio 2010, aveva assunto una posizione parecchio critica sulla mancata previsione nel Decreto Legislativo 28/2010 di una norma in ordine alla competenza territoriale degli organismi di mediazione.
Invero, nella Relazione di accompagnamento al Decreto Legislativo 28/2010 è dato leggere che “deliberatamente non si stabilisce un criterio di competenza in senso proprio, così da evitare una impropria giurisdiziona-lizzazione della sequenza procedimentale”, indi per sfuggire a “contrasti interpretativi” e consentire ai litiganti “di investire concordemente o singolarmente, l'organismo ritenuto più affidabile”
Sembra che le problematiche connesse alla mancata indicazione di criteri di competenza siano state finalmente superate con la introduzione all’art.4, con il “decreto del fare” dell’individuazione dell’organismo cui presentare la domanda di mediazione “nel luogo del giudice territorial-mente competente per la controversia”.
Rimangono, però, molti dubbi.
La competenza territoriale dell’organismo di conciliazione può essere derogata dalle parti?
L’art.28 c.p.c. prevede espressamente che le parti possano derogare per accordo alla competenza per territorio, salvo in alcune ipotesi tassativamente previste dalla norma (procedimenti in cui interviene il p.m. ex art.70 c.p.c., esecuzione forzata ed opposizione alla stessa, procedimenti cautelari, procedimenti in camera di consiglio ed ogni altro caso in cui l’inderogabilità è espressamente prevista dalla legge – es. codice del consumo).
L’autonomia delle parti, quindi, non vi è dubbio che possa essere esplicata anche con riferimento alla competenza territoriale degli organismi di mediazione anche per quanto espressamente previsto dal comma 5 dell’art.5 d.lgs.28/10 che, nel disciplinare la clausola di mediazione, stabilisce che “la domanda è presentata davanti all’organismo indicato nella clausola”.
Ciò premesso appare opportuno accennare alle modalità attraverso le quali può essere esercitata l’autonomia privata in ordine alla competenza territoriale.
La prima ipotesi, probabilmente più frequente, sarà quella in cui dalla mancata contestazione della parte invitata, deriverà l’implicito accordo di deroga. Qui manca l’accordo preventivo, ma l’accettazione dell’invito a presentarsi davanti ad un ODM in un luogo diverso da quello di competenza del giudice, provoca, come avviene nel processo, la tacita accettazione della deroga.
Le parti possono, inoltre, disciplinare, soltanto la competenza territoriale con riferimento al procedimento di mediazione, attraverso l’indicazione, in una clausola contrattuale, di una città e/o di uno, o più specifici ODM che ivi abbiano sede.
Nel caso di successiva controversia, il giudice territorialmente competente sarà individuato sulla base delle norme del codice di procedura civile e questo non comporterà modifiche alla competenza territoriale scelta per la mediazione.
Al contrario se le parti hanno previsto soltanto una clausola di deroga al foro del giudice, quella deroga opererà anche, ex art. 4, comma 1 d.lgs.28/2010, con riferimento alla fase di mediazione.
In merito al luogo della mediazione, in data 27.11.2013, è intervenuta la recente circolare del Ministero della Giustizia chiarendo che, nel caso di più domande concernenti la medesima lite, la mediazione si svolgerà innanzi all'organismo territorialmente competente, e presso il quale è stata depositata la prima istanza.
Viene inoltre precisato che per individuare l’organismo di media-zione competente si tiene conto del luogo ove l’organismo medesimo ha la sede principale, ovvero le sedi secondarie, purché la sussistenza di tali sedi sia stata previamente comunicata al Ministero della Giustizia e le stesse siano state iscritte con provvedimento.
Mi pongo un dubbio: quale sorte avrà un’istanza di mediazione presentata dinanzi ad un organismo territorialmente “non competente” e se il responsabile dell’organismo stesso abbia il potere o il dovere di dichiararla inammissibile.
La risposta non è scontata.
Innanzitutto, è il Responsabile dell’Organismo capace di rilevare l’incompetenza?
Per legge il Responsabile di un OdM non deve necessariamente essere un Avvocato o comunque un esperto di diritto. Anzi, a voler essere precisi, il DM 180/2010 e il D. Lgs. 28/2010 (anche secondo le ultime modifiche) riconoscono questa figura del Responsabile dell’OdM (che viene citato in diversi articoli), ma non ne disciplinano i requisiti e le compe-tenze.
A tutti gli effetti di legge, infatti, il Responsabile dell’OdM  coincide con il legale rapp.te del soggetto giuridico che è stato accreditato dal Ministero della Giustizia e, quindi, per assurdo potrebbe anche essere un ottantenne con la quinta elementare.
Posso affermare che, in effetti, non spetta al Responsabile dell’OdM valutare se vi sia o meno una competenza territoriale del suo OdM.
Una mediazione, avviata e fallita per mancata adesione dinanzi ad un OdM presuppone che la parte istante proponga l’azione giudiziale nello stesso luogo ove si è avviata la mediazione; con la conseguenza che la (eventuale) incompetenza territoriale sarà eccepita in giudizio dal convenuto e valutata dal Giudice.
Qualora effettivamente venga ravvisata dal Giudicante una incompetenza territoriale, la domanda giudiziale dovrà essere dichiarata, a mio avviso, improcedibile per non aver l’attore preventivamente esperito il procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5, 1 comma, secondo le previsioni dell’art. 4, 1 comma del D.Lgs. 28/2010.
Pertanto, una mediazione avviata presso un OdM “non competente per territorio” legittima la parte convocata a non aderire ed espone la parte istante ad una successiva declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale per non aver avviato correttamente il tentativo di mediazione.
 
L’informativa al cliente.
         L’art.4 al comma 3 del dlg.28/10 prevede che l’avvocato debba informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20, nonché dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
         La mancata informativa può produrre effetti sia nel rapporto tra professionista e cliente (annullabilità del contratto) che sul processo (l’informativa va allegata ed, in mancanza, il giudice informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione).
         L’informativa deve anche riguardare anche le agevolazioni fiscali di cui agli artt.17 e 20 del d.lgs.28/10. Vediamo quali sono.
         Tutti gli atti del procedimento sono esenti dal bollo e da ogni spesa, tassa e diritto.
         Il verbale di accordo e' esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l'imposta e' dovuta per la parte eccedente.
         Sono predeterminati gli importi delle indennità dovute agli organismi, comprese le riduzioni nei casi in cui si tratti di procedimenti in cui la mediazione è condizione di procedibilità o è delegata dal Giudice.
         In questi ultimi due casi non è dovuto nulla all’organismo dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art.76 del D.pr. n.115/2002. A tale fine è sufficiente che la parte depositi presso l’organismo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che può essere autenticata del mediatore o, se lo richiede l’organismo, produca la documentazione necessaria. Su monitoraggio del Ministero e sulla base delle risorse disponibili, gli organismi potranno beneficiare delle coperture finanziarie messe a disposizione per il patrocinio a spese dello Stato.
         Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, non è dovuto alcun compenso all’organismo salvo le spese di avvio.
         Alle indennità corrisposte dalle parti in favore dei soggetti abilitati del procedimento di mediazione è riconosciuto, in caso di successo, un credito di imposta fino alla concorrenza di € 500,00 e, in caso di insucces-so, fino alla concorrenza della metà, sempre sulla base delle risorse disponibili.
         Nel rapporto tra avvocato e cliente qualificabile come contratto d’opera con prestazione professionale ex art.2230 C.C., la mancata informativa può produrre l’annullabilità.
         Sul punto sia il Cnf che il CSM si erano mostrati ostili sulla scelta del legislatore, il primo aveva ritenuto la categoria della nullità non in linea con le figure di patologia del contratto per le quali è prevista tale sanzione, il secondo aveva posto l’accento sul fatto che la legge delega non prevedeva la nullità per la mancata informativa. Le commissioni parlamentari, invece, avevano considerato la scelta della sanzione disciplinare.
 
         Il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità.
         Per le materie elencate nell’art.5 co.1 bis, introdotto dal decreto del fare, la parte, con l’assistenza dell’avvocato, è tenuta preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione così come previsto dal d.lgs. n.28/2010 ovvero la procedura di conciliazione ex d.lgs. n.179/2007 presso la Consob per le controversie insorte tra gli investitori e gli intermediari per la violazione da parte di questi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con gli investitori ovvero il procedimento di cui all’art.128 bis del testo unico in materia bancaria (d.lgs. n.385/1993) nelle controversie tra gli istituti di credito e la clientela (Arbitro Bancario Finanziario).
         L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Nel caso in cui non venga esperito il procedimento di mediazione, l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 (tre mesi).
Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni (inibitorie delle associazioni dei consumatori e class action).
Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti,
può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione diventa condizione di procedibilità della domanda giudiziale, anche in sede di appello (sul punto si era espresso il Tribunale di Milano con ordinanza del 29.10.2013).
Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non e' prevista, prima della discussione della causa.
Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.
Nel comma 2 bis dell’art.5, così come introdotto dal decreto del fare, è oggi precisato che“quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”.
E’ esclusa l’applicabilità delle norme sulla mediazione obbligatoria, oltre che nei procedimenti cautelari, anche:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;
c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;
d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
f) nei procedimenti in camera di consiglio;
g) nell'azione civile esercitata nel processo penale.
Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale.
Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo.
 
La clausola di mediazione o conciliazione.
         La clausola di mediazione o di conciliazione è un accordo in virtù del quale le parti si impegnano ad esperire una mediazione per cercare di risolvere eventuali e future controversie prima di adire la giurisdizione o di instaurare l’arbitrato.
         Il comma 5 dell’art.5 del d.lgs. 28/2010 riconosce alla clausola di mediazione efficacia processuale, facendola così assurgere alla qualifica-zione di un presupposto processuale negativo nel senso che non ci deve essere una clausola di mediazione affinchè il giudice o l’arbitro possano decidere nel merito.
         Si tratta di un istituto simile alla clausola compromissoria differendo nel senso che il mezzo a cui ci si impegna è solo aggiudicativo del procedimento di mediazione rimanendo sempre libere, le parti, di decidere se comporre o meno la controversia negozialmente oppure ricor-rere al giudice o all’arbitro.
         Un’altra differenza rispetto alla clausola promissoria sta nella diversa nozione di improcedibilità.
         Nel primo caso il processo si arresta solo momentaneamente per consentire di espletare il procedimento di mediazione, nel secondo caso vi è il rigetto della domanda.
         Va detto anche che prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n.28/10, solo l’art.40 co.6 del d.lgs n.5/2003 prevedeva la c.d. conciliazione societaria e, limitatamente alla materia societaria, aveva dato rilevanza processuale alla clausola di conciliazione.
La norma societaria è stata abrogata proprio dall’art.23 del d.lgs. n.28/2010 ed è stata sostituita dalla disposizione di cui al comma 5 dell’art.5 dello stesso decreto che ha oggi efficacia generale per qualsiasi materia conciliabile.
La clausola, poiché può essere prevista nello statuto o nell’atto costitutivo dell’ente, varrà solo per le controversie scaturenti dal contratto, dallo statuto o dall’atto costitutivo.
         Qualora il giudizio venga promosso senza l’espletamento della mediazione a cui le parti si sono in precedenza vincolate, il vizio è rilevabile solo su eccezione di parte proposta nella prima difesa. Si tratta, quindi, di eccezione in senso stretto.
         Cosa accade se l’eccezione di improcedibilità sia stata ritualmente e tempestivamente sollevata dalla parte ed il giudice non l’abbia accolta e la parte la sollevi in sede di precisazione delle conclusioni.
Il problema è stato sollevato in passato con riferimento alla tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità nel rito del lavoro.
Secondo parte della dottrina (Corea, Verde – Vaccarella) il convenuto soccombente può impugnare per questo motivo la sentenza del giudice ed il giudice dell’appello deve rimettere la causa al primo giudice.
Un’altra parte minoritaria della dottrina sostiene che l’eventuale appello comporta la declaratoria della improcedibilità della domanda e quindi la pronuncia di una sentenza definitiva di rito, con contestuale necessità di iniziare un nuovo giudizio.
Altri e la prevalente giurisprudenza sostengono che, poiché il legislatore prevede un termine per eccepire e rilevare l’improcedibilità, maturata la preclusione, non vi è più spazio per il tentativo obbligatorio di mediazione con la conseguenza che la sentenza emessa non sarebbe né viziata né impugnabile per tale motivo.
C’è infine chi sostiene che il rimedio è l’impugnazione ma il giudice di appello, se ritiene fondato il motivo, deve provvedere unicamente per la sanatoria del vizio.
Quest’ultima appare la soluzione appropriata per il d.lgs. n.28/2010 giacchè, se è vero come è vero che il co.2 art.5 prevede la c.d. mediazione delegata anche in appello, a maggior ragione ha diritto di essere espletato in appello il tentativo di mediazione quale sanatoria dell’improcedibilità della domanda.
Il vizio della improcedibilità è sanabile con efficacia retroattiva.
Se il tentativo di mediazione è già stato iniziato dalle parti, senza essersi concluso, il giudice si limita a fissare l’udienza successiva dopo i tre mesi previsti dall’art.6 come durata legale della mediazione; se il tentativo di mediazione non sia stato per nulla introdotto, il giudice fissa il termine di 15 giorni per presentare la domanda di mediazione fissando l’udienza dopo ulteriori tre mesi.
 
         Le conseguenze sul processo.
        Alcuni atti e comportamenti del procedimento di mediazione possono avere conseguenze sul processo.
         a) La mancata partecipazione senza giustificato motivo.
         Quando la parte chiamata nel procedimento di mediazione non si presenti senza addurre giustificazione, accertata la regolarità della notifica della comunicazione della data dell’incontro, il mediatore redige verbale negativo.
         Il verbale verrà prodotto in giudizio, anche ai fini della procedibilità.
Ai sensi del comma 4 bis dell’art.8 del d.lgs. n.28/2010, così come introdotto dal decreto del fare, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
Il giudice condanna altresì la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
b) La formulazione della proposta.
         L’art.14 co.2 lett.c) del d.lgs. n.28/10, prevede espressamente che il mediatore ha l’obbligo di formulare proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative.
         Tale attività diventa un obbligo vero e proprio nel momento in cui vi è una richiesta congiunta delle parti.
         In mancanza della richiesta congiunta, il mediatore può discrezionalmente formulare una proposta di conciliazione, che implichi gli effetti di cui all’art.13 e di cui si dirà in appresso, pur non essendo obbligato a farlo.
         La formulazione della proposta per gli effetti che potrebbe avere nel successivo giudizio presuppone una adeguata preparazione giuridica del mediatore, oltre che un attento atteggiamento di imparzialità, il quale può essere chiamato ad elaborare proposte di conciliazione con effetti giuridici potenzialmente incidenti nella sfera giuridico-economica delle parti.
Per tale motivo, prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13.
Il comma 2 dell’art.11 del d.lgs. n.28/2010 prevede che la proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l'accettazione o il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
Un argomento testuale di carattere normativo che prevede la possibilità per il mediatore di formulare la proposta anche su richiesta di una sola parte sta nell’art.16 del D.M. 18.10.2010 n.180, così come aggiornato dal D.M. n.145/2011, a proposito dei criteri di determinazione delle indennità spettanti agli organismi di mediazione.
La norma, nel dettare l’importo massimo delle spese di mediazione per ciascun scaglione di riferimento come da tabella, prevede che possa essere aumentato fino ad un quinto nel caso della formulazione della proposta da parte del mediatore (lett.c).
Detto importo, poi, deve essere ridotto a euro quaranta per il primo scaglione e ad euro cinquanta per tutti gli altri scaglioni, ferma restando l'applicazione della lettera c) del presente comma quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto la mediazione, partecipa al procedimento (lett.e).
Ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n.28/2010, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta del mediatore, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto, restando ferma l'applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile. Le stesse disposizioni si applicano altresì alle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4.
Quando, invece, il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, può nondimeno escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto di cui all'articolo 8, comma 4.
Il giudice deve indicare esplicitamente, nella motivazione, le ragioni del provvedimento sulle spese di cui al periodo precedente.
Salvo diverso accordo, le disposizioni precedenti non si applicano ai procedimenti davanti agli arbitri.
 
         La conciliazione e l’efficacia esecutiva.
         L’art.11 prevede che, nel caso in cui le parti raggiungano un accordo amichevole, il mediatore redige processo verbale allegando il testo dell’accordo medesimo.
Quando si raggiunge l’accordo o tutte le parti aderiscono alla proposta formulata dal mediatore, il processo verbale viene sottoscritto dal mediatore che certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscriverlo.
Se con l’accordo viene concluso uno degli atti soggetti ex art.2643 C.C. a trascrizione, è necessaria l’autentica delle sottoscrizione da parte del notaio.
Se, invece, la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta; il verbale e' sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore da' atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.
Il processo verbale e' depositato presso la segreteria dell'organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono.
 Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna o rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.
In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accer-tamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico.
Nelle controversie transfrontaliere di cui all’art. 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.
Il verbale di cui al comma 1 costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Sul punto, si rileva che l'art. 475, 1° comma, c.p.c. stabilisce che l'apposizione della formula esecutiva è requisito di validità del titolo per l'esecuzione forzata per 'le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale' . In effetti, questo dato normativo pone molti interrogativi in quanto non prevede espressamente, tra gli atti che contempla, il verbale di media conciliazione. Il problema, pertanto, resta aperto.
 
Le spese del procedimento di mediazione.
Sono previste delle indennità previste in favore dell’organismo che sostanzialmente attengono alle spese di avvio, alle spese di mediazione ed al compenso al mediatore.
L’art.16, co.2, del d.lg.n.28/10  rinvia la determinazione delle indennita' spettanti agli organismi ad appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico.
L’art.16 del D.M. 18.10.2010 n.180 nel testo aggiornato dal D.M. 6 luglio 2011, n. 145, fornisce i criteri per la determinazione delle indennità dovute all’organismo di mediazione che comprendono le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione.
Oltre alla determinazione delle spese di avvio fissate in € 40,00 (oltre I.V.A.) sono previsti scaglioni di riferimento nella tabella allegata al decreto con gli importi relativi alle spese di mediazione.
Sui dubbi sorti in ordine alla applicazione delle indennità con riferimento al primo incontro di mediazione.
Il Ministero della Giustizia, in data 27 novembre 2013, ha emanato la circolare sulla nuova mediazione civile, con cui ha fornito indicazioni, di natura ermeneutica ed applicativa, concernenti l'entrata in vigore dell’art. 84 del D.L. n. 69/2013 (c.d. Decreto del Fare), convertito in L. n. 98/2013, il quale ha apportato modifiche alla disciplina dell'istituto contenuta nel D.Lgs. n. 28/2010.
La prima parte del documento ministeriale fornisce delucidazioni in merito all’indennità dovuta dalle parti per il primo incontro di mediazione, nonché circa le spese di avvio del relativo procedimento.
Viene pertanto richiamato il principio espresso all’art. 17 comma 5 ter del D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, modificato dall’art.84, comma 1 lett. p) n.2) del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, a norma del quale, qualora non si raggiunga alcun accordo all’esito del primo incontro, all’organismo di mediazione non spettano compensi.
Circa il termine “compenso”, utilizzato dal legislatore, la circolare chiarisce che va raccordato alle norme già vigenti ed, in particolare, al disposto di cui all’art. 16, comma 1, del D.M. 180/2010, a norma del quale “l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione”, ed altresì al comma 10 del medesimo articolo, il quale recita che “le spese di mediazione comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”.
Facendo un passo indietro alla circolare 20 dicembre 2011, il documento del 27 novembre 2013  rammenta che le spese “di avvio”, stabilite in misura fissa ed unitaria, ineriscono le spese “di segreteria” sostenute dall’organismo di mediazione per avviare il procedimento.
Pertanto l’opera propria di mediazione riguarda il “concreto svolgimento dell’attività” medesima, e comprende altresì l’onorario del mediatore.
Ciò posto, la circolare definisce il vocabolo “compenso”, adoperato dalla legge, come quelle spese concernenti l’attività propria di mediazione, escludendo quindi le spese di avvio del procedimento che, perciò, dovranno continuare ad essere onorate.
A riprova dell’esposta linea interpretativa viene in considerazione la funzione “esplicativa” del cd. “primo incontro”, a seguito del quale, si rammenta, alcun compenso è dovuto all’organismo qualora non sia raggiunto l’accordo: non essendosi svolta l’“attività di mediazione” propriamente detta, non si potrà richiedere un corrispettivo, bensì unicamente, a entrambe le parti e qualora comparse al primo incontro, le “spese di avvio”, determinate nella misura fissa di euro 40,00, in virtù dell’art. 16, comma II.
Viene altresì precisato che, se la parte che ha proposto l’avvio del procedimento non compare al primo incontro, nessuna indennità può essere richiesta alla parte invitata, la quale sia comparsa.
Il Ministro, nella Direttiva del 05 novembre 2013, tra gli obiettivi operativi cui la struttura e l’azione amministrativa dovevano ispirarsi, aveva stabilito che l’accesso al procedimento di mediazione doveva avere quale peculiare caratteristica il “contenimento dei costi per i cittadini”.
Sempre in tema di indennità, il secondo punto affrontato dalla Circolare in commento riguarda la mediazione “obbligatoria” disposta dal giudice.
In particolare, l’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013 n.69, convertito dalla l. 9 agosto 2013 n. 98, introduce una forma di mediazione obbligatoria disposta dal giudice durante l’ordinario procedimento giurisdizionale: se il giudice dispone in proposito, l’esperimento del procedimento di media-zione assurge a condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Orbene, a seguito della spiegata novità normativa, è emersa la necessità di determinare l’indennità di mediazione per l’ipotesi ove il procedimento di mediazione sia stato avviato in quanto condizione di procedibilità, ex art. 5, comma 1 bis della menzionata disciplina, ovvero sia stato disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 2.
Sulla considerazione della circostanza che la mediazione disposta dal giudice ha natura obbligatoria, l’identità di natura delle due succitate forme di mediazione assume valenza “al fine di ritenere che anche alla cd. mediazione disposta dal giudice sia applicabile almeno la riduzione dell’importo massimo del compenso (e i divieti di aumenti del compenso), esattamente nei termini di cui all’art. 16 comma 4 lett. d) del D.M. 180/2010, ovvero negli stessi termini dell’analoga previsione già esistente per l’ipotesi di mediazione obbligatoria ex lege di cui all’art. 5 comma 1 (ora reintrodotta all’art. 5 comma 1 bis)”.
 
Il ruolo dell’avvocato nella mediazione.
La circolare del Ministero della Giustizia del 27.11.2013 è intervenuta sul- l’ulteriore argomento concernente il discusso ruolo dell’avvocato nel procedimento di mediazione.
Si rammenta, infatti, che il novellato comma VI bis dell’art. art. 16 del d.lgs. 28/2010 statuisce che gli avvocati iscritti all’albo, di diritto, sono “mediatori”.
Nel contempo, l’art. 5, comma 1 bis, nell’elencare le materie oggetto di mediazione obbligatoria, prescrive che chi intende agire giudizialmente deve, prima, esperire il procedimento di mediazione “assistito da un avvocato”.
Orbene, l’assistenza legale risulta obbligatoria soltanto quando ricorrano le fattispecie di mediazione cd. obbligatoria, escludendo quindi tutte le ipotesi di mediazione cd. facoltativa. In quest’ultimo ambito, si chiarisce, le parti restano in facoltà di ricorrere all’assistenza di un avvocato, anche se la procedura di mediazione sia stata già avviata.
Il Ministro, nella richiamata direttiva, aveva confidato in un “elevato livello di preparazione professionale dei mediatori”.
Si rammenta che l’art. 16 d.lgs. 28/2010, in tema di obblighi formativi, impone agli avvocati iscritti ad organismi di mediazione, ad essere “adeguatamente formati in materia di mediazione”, nonché a mantenere la propria preparazione con opportuni percorsi di aggiornamento. I percorsi formativi sono organizzati dal consiglio nazionale forense e dagli ordini circondariali.
Su quest’ultimo punto è intervenuta, in data 9.12.2013, un’ulteriore circolare del Ministero della Giustizia che, ad integrazione della precedente, ha specificato che la formazione deve intendersi attribuita alle associazioni forensi ed ai terzi.
Le spiegate modifiche devono altresì essere raccordate col disposto di cui all’art. 55 bis, comma 4, del codice deontologico forense, il quale pone divieto, a carico dell’avvocato, di consentire che l’organismo di mediazione abbia sede presso il proprio studio, o viceversa, e ciò nella finalità di escludere ogni eventuale duplicazione di ruoli, nonché a tutela dell’imparzialità del soggetto mediatore-avvocato.
Al Ministero è demandata la vigilanza relativa alla circostanza che l’organismo di mediazione non abbia sede presso lo studio di un avvocato e che lo studio di un avvocato non abbia la propria sede presso un organismo di mediazione.
Qualora sia ravvisata la violazione a siffatto divieto, il Ministero dovrà segnalare l’infrazione al competente consiglio dell’ordine forense e, inoltre, la condotta antigiuridica comporterà la possibile adozione dei consequenziali provvedimenti, ad opera dell’autorità vigilante medesima.