La sensazione é quella di incontrare una persona che comprende lucidamente di non potercela fare da sola (ma che é sola), che ha consapevolezza delle cure che gli sono somministrate e del dosaggio, che ha buona padronanza dei propri ricordi (ma che é confusa) e che (in passato) ha condotto una vita complessivamente normale, manifestando atteggiamenti del tutto compatibili con le peculiarità caratteriali del quive de populo.

La sindrome é quella del disturbo bipolare.

Non voglio naturalmente tentare una dissertazione di natura clinica né indulgere agli aspetti emozionali del rapporto poiché, quanto alla prima, esula dalle mie competenze e, quanto ai secondi, costituiscono la narrazione di stati d’animo esclusivamente personali e tali da rifuggire il contesto di queste brevissime riflessioni.

Tenterò invece di esaminare – seppur brevemente – alcune problematiche inerenti la prestazione legale, allorquando questa venga richiesta da soggetti in stato di debilitazione psichica.

Al raggiungimento del diciottesimo anno d’età (salvo che la Legge non disponga un’età diversa per specifici atti), la persona acquista la capacità d’agire, intesa come l’ideoneità a svolgere attività giuridica.[1]

Con la maggiore età, la Legge considera e presume l’individuo capace di inserirsi nella società e nelle relazioni commerciali con piena consapevolezza delle proprie azioni e delle conseguenze giuridiche che da queste derivano.

I soggetti maggiorenni (o i minori emancipati per compimento del sedicesimo anno d’età) possono d’altra parte versare in una situazione personale di abituale infermità di mente che li rendono incapaci di provvedere ai propri interessi e, in tal caso, possono essere sottoposti a interdizione o, alternativamente, ad inabilitazione[2], laddove il loro quadro clinico non sia talmente grave da far luogo all’interdizione ovvero se - per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti - espongano sé e la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.

Dal gennaio del 2004[3], é stato introdotto l’istituto dell’Amministrazione di Sostegno che, per esplicito riferimento dell’art. 1, persegue la finalità “...di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.”

L’inabilitazione, l’amministrazione di sostegno e l’interdizione sono quindi istituti che mirano a tutelare la persona incapace che – in ragione di un proprio diverso grado di deficit di capacità di agire – non ha consapevolezza della natura e delle conseguenze delle azioni indispensabili allo svolgimento di tutte le operazioni giuridiche, economiche e finanziarie che quotidianamente  é chiamato a svolgere.

I provvedimenti d’inabilitazione, d’interdizione e di amministrazione di sostegno hanno carattere costitutivo[4] perché modificano una situazione giuridica (lo status di capacità del soggetto) e, dal momento della loro pubblicazione[5], privano l’incapace della facoltà di compiere tutti o determinati atti giuridici, demandandone rispettivamente la valutazione e la conclusione ad un curatore, un tutore o ad un amministratore di sostegno.

Diversamente, pur non essendo stata inabilitata, né interdetta né accompagnata da un amministratore di sostegno, la persona può versare in uno stato d’incapacità naturale (anche momentanea) tale da offuscarle la capacità di giudizio.

Anche in questo caso, la Legge intende proteggere il soggetto debole, prescrivendo[6] che “Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta (n.d.r. si veda, nemmeno inabilitata né sottoposta ad Amministrazione di Sostegno), si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d'intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa se ne risulta un grave pregiudizio all'autore” proseguendo che l”'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente” e concludendo che “L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l'atto o il contratto è stato compiuto.”

La norma, nel fare riferimento agli atti compiuti da persona che “...si provi essere stata (n.d.r. a posteriori)...incapace di intendere e di volere....”, consente di cogliere la differenza con l’istituto dell’incapacità legale, i cui presupposti riposano invece – come abbiamo visto - su di un preesistente accertamento giudiziale di inidoneità a svolgere attività giuridica.

La Prassi precisa che l'incapacità naturale non si fonda sulla privazione della capacità intellettiva e volitiva, essendo sufficiente la semplice menomazione della stessa, suscettibile di escludere la capacità di autodeterminazione della persona[7], ovvero la formazione di una volontà cosciente,[8] in ordine all'atto che sta per compiere. [9]

E’ stato escluso lo stato d’incapacità naturale in ricorrenza di uno stato d'animo indotto da dispiaceri anche gravi, a patto che questi non abbiano cagionato un'autentica patologia di alterazione mentale[10], come é stato anche escluso il turbamento[11] ingenerato a seguito di grave malattia[12].

L’art. 428 c.c. sanziona con l’annullabilità gli atti e i contratti compiuti dal soggetto presuntivamente incapace.

Gli atti giuridici sono fatti umani destinati a produrre effetti giuridici e si é soliti distinguerli in a) atti o dichiarazioni di volontà (es., il contratto); b) atti o dichiarazioni di scienza (es., quietanza di pagamento); c) partecipazioni o comunicazioni (es., denuncia dei vizi della cosa venduta).

La Legge dispone l’annullabilità delle dichiarazioni di scienza e delle comunicazioni sul solo presupposto del grave pregiudizio per l’autore, laddove, per i contratti, é necessaria la prova della malafede dell’altro contraente,[13] non ritenendosi di contro necessario il riscontro del grave pregiudizio[14].

La procura alle liti[15] rilasciata al difensore costituisce sicuramente un atto giuridico sub specie di dichiarazione di volontà e, di conseguenza, la procura rilasciata al difensore da persona che si provi sia stata incapace naturale é annullabile se, dal conferimento, derivi al Cliente grave pregiudizio.

A mio giudizio, la fattispecie é rilevante anche da un punto di vista deontologico, se si considera che l’art. 35 del Codice Deontologico Forense prescrive all’avvocato obblighi d’informazione nei confronti del Cliente e ben si comprende che il senso della norma sarebbe violato allorquando il Patrono si rendesse conto che il proprio assistito potrebbe non essere in grado di comprendere le informazioni (verbali o scritte) che gli vengono comunicate.

Inoltre, si tenga presente che la dichiarazione d’incapacità della parta rappresentata é atto dovuto per il difensore che deve immediatamente darne notizia agli eredi o a chi spetta la rappresentanza della parte incapace e che il sottrarsi a tali doveri, indipendentemente dalle ragioni che possono influenzare nel caso di specie la decisione del difensore, non é giustificabile e può fare incorrere il difensore in responsabilità, potendo altresì costituire nei riguardi della parte avversaria un comportamento non conforme alla lealtà processuale.[16]

Laddove non sussista per il Cliente grave pregiudizio, la procura non sarà quindi annullabile ma sussisterebbe comunque l’eventualità che l’avvocato sia chiamato a rispondere avanti il competente Organo Disciplinare.

La questione é davvero delicata perché il professionista dovrebbe astenersi dal ricevere l’incarico da persona che egli sospetti versare in stato di incapacità naturale e dovrebbe anzi darne notizia agli eredi o al Giudice Tutelare.

Nel caso in cui la persona non avesse eredi, l’alternativa per l’avvocato sarebbe netta: potrebbe correre il rischio di assumere la difesa di una persona a favore della quale sa che non potrebbe dare adempimento all’obbligo informativo oppure potrebbe denunciare la situazione di (presunta) incapacità naturale (anche transitoria) agli Organi competenti (Servizi Sociali), con la conseguenza di provocare a carico del Cliente un trattamento sanitario obbligatorio.

E se l’eventualità di un t.s.o. - con successiva ablazione della capacità giuridica e nomina di un rappresentante legale - può costituire adeguato pronostico nei confronti dell’incapace che possa ritenersi affetto da abituale infermità di mente, ciò appare quanto meno rischioso laddove si nutra il forte sospetto che la compromissione (seppur temporanea e giurisdizionalizzata) della libertà individuale possa essere effettuata nei confronti di un soggetto che  - per qualsiasi causa anche transitoria (magari per dispiaceri anche gravi) – possa ritenersi solo hic et nunc incapace d'intendere o di volere.

La situazione é proprio quella - descritta in premessa – di una persona che comprende lucidamente di non potercela fare da sola ma che é sola perché non ha eredi; che comprende le cure che gli sono somministrate e ha familiarità con il dosaggio (ha consapevolezza che, da più di 25 anni soffre di disturbo bipolare e che deve assumere carbolithium in misura di 150 ml. ma lamenta una somministrazione pari al doppio), che ha condotto una vita complessivamente normale, manifestando atteggiamenti del tutto compatibili con le eccentricità caratteriali del quive de populo, che ha buona padronanza dei propri ricordi e conduce conversazioni di normale lucidità ma con momenti di confusione, di eccitazione, di rallentamento, di accelerazione, di anormalità.

Come comportarsi dunque? Occorre essere assolutamente fedeli all’obbligo informativo e rifiutare l’incarico ovvero accettare l’incarico sapendo di dovere “mettere nel cassetto” l’art. 40 del Codice Deontologico?

Io ho una mia idea ma, per il momento, é sufficiente quanto illustrato.



[1] Art. 2 del Codice Civile;

[2] Potranno infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’istituto dell’interdizione, quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.

[3] Legge 9 gennaio 2004, n°6.

[4] Poiché é soltanto l'incapacità legale che dà luogo anche all'incapacità processuale, la persona che sia naturalmente incapace conserva la piena capacità processuale sino a che non sia stata pronunciata nei suoi confronti sentenza di interdizione, ovvero non le sia stato nominato durante il giudizio di interdizione, il tutore provvisorio previsto dall'art. 419 c.c. Tribunale di Milano, 7 settembre 2011.

[5] L'art. 429 c.c. stabilisce che "quando cessa la causa dell'interdizione o della inabilitazione, queste possono essere revocate". La riforma operata dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 impone di considerare tra le "cause" dell'interdizione o dell'inabilitazione, di cui all'art. 429 c.c. predetto, anche la disciplina vigente al tempo della sentenza, e di dare rilevanza, nell'ambito del giudizio di revoca, allo ius superveniens. L’nterdizione e l’inabilitazione sono oggi misure a carattere residuale poiché il nuovo assetto delineato dalla legge n. 6/2004 richiede una costante verifica della misura in concreto applicata e la sua idoneità a realizzare la piena tutela della persona. Pertanto, se la necessità di mantenere l'interdizione o l'inabilitazione viene meno a seguito della possibilità di applicare la nuova (e prioritaria) misura dell'amministrazione di sostegno, va revocata l'interdizione (o l'inabilitazione), che oggi non sarebbe stata pronunciata (fra le tante, Tribunale Bologna, 19 marzo 2007).

[6] Art. 428 del Codice Civile

[7] Si veda, di recente, Cass. Civile, 8 febbraio 2012, n° 1770.

[8] Cass. Civile 1 settembre 2011, n.°17977.

[9] Cass. Civile14 maggio 2003 n° 7485 e Cass. Civile 15 gennaio 2001, n° 515.

[10] Cass. Civile 8 marzo 2005, n° 4967.

[11] Cass. Civile 26 maggio 2000, n° 6999 che precisa che é necessario provare, in modo rigoroso e specifico, che le facoltà intellettive e volitive del soggetto siano, a causa della malattia, perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio.

[12] La Prassi esclude che si possa argomentare una presunta incapacità naturale anche sulla base di una pure conclamata malattia che, pur tuttavia, ammetta fasi o momenti di lucido intervallo (riferita al morbo di Alzheimer di grado medio); si veda, Cass. Civile 25 novembre 2003, n° 17915.

[13] Si veda, Tribunale di Roma, 17 dicembre 2010, secondo cui “La sussistenza di uno stato di incapacità naturale ravvisabile in ogni stato emotivo abnorme suscettibile di dar luogo ad un'alterata formazione della volontà contrattuale rappresenta uno dei presupposti necessari ai fini della pronuncia di annullamento de contratti in conformità a quanto disposto dall'art. 428 c.c. In tal senso, si rileva come sia sufficiente la menomazione delle facoltà intellettive e volitive, tale da impedire la formazione di una volontà cosciente. Ulteriore presupposto per il predetto annullamento è la malafede dell'altro contraente consistente nella consapevolezza che l'altra parte contrattuale sia affetta da una menomazione della sfera intellettiva o volitiva, ovvero nella mera conoscenza dell'altrui stato di incapacità, senza necessità di uno specifico vantaggio.

[14] Si veda, Cass. Civile 9 agosto 2007, n° 17583 secondo cui “Ai fini dell'annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato d'incapacità naturale, è sufficiente la malafede dell'altro contraente, senza che sia richiesto un grave pregiudizio per l'incapace; laddove, in concreto, tale pregiudizio si sia verificato, esso tuttavia ben può costituire un sintomo rivelatore di detta malafede (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che ha ritenuto a maggior ragione provata la malafede dell'acquirente, dal momento che era stato accertato, mediante consulenza tecnica psichiatrica, espletata nel giudizio relativo all'interdizione dell'alienante, il suo stato di grave infermità psichica irreversibile da etilismo cronico)”.

[15] La procura é cosa diversa dal sottostante rapporto professionale: la procura é lo strumento attraverso il quale l’avvocato é incaricato di svolgere determinate attività professionali, laddove il rapporto d’opera professionale regola i diritti e i doveri delle Parti.

Per un approfondimento di veda, DANOVI, Commentario del Codice Deontologico Forense, Giuffré, 2001, pagg. 461- 462.

[16] Parere C.O. Milano, in Rivista, 19776, n°5 pag. 23).