L'articolo 3 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 (legge forense) statuisce che l'esercizio della professione di avvocato è incompatibile con altre professioni puntualmente enumerate e con ogni altro impiego retribuito.

Sono eccettuati dalla suddetta incompatibilità i professori e gli assistenti delle università e degli altri istituti superiori e i professori degli istituti secondari dello Stato. La nostra riflessione si accentra proprio su questi ultimi, cioè sui professori degli istituti secondari dello Stato.

Da un primo esame sembrerebbe che i professori degli istituti primari dello Stato (docenti della scuola elementare) non abbiano titolo ad essere iscritti all'albo degli avvocati.

La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte di cassazione che, l'ultima volta che è stata chiamata a statuire sulla portata normativa dell'art. 3 l. f., ha deciso di porre fine alla disputa fra insegnati e vari Consigli dell'Ordine degli avvocati statuendo a Sezioni Unite.

Con la sentenza n. 22623, del 12 ottobre 2010, le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso di una Collega che aveva ricevuto un netto rifiuto dal Consiglio dell'Ordine di riferimento. Rifiuto confermato anche dal Consiglio Nazionale Forense.

Sul punto si era già espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2006 affermando che il dato normativo in commento deve essere considerato alla luce del principio costituzionale della libertà di insegnamento (art. 33 Cost.), dal quale discende che il rapporto d'impiego (…) come non può incidere sull'insegnamento (…) così, ed a fortiori, non può incidere sulla libertà richiesta dall'esercizio della professione forense.

Nell'anno 2006, quindi, la Corte costituzionale aveva in qualche misura ampliato la cerchia dei docenti ricompresi fra quelli eccettuati dal regime di incompatibilità.

La riforma dell'Ordinamento Forense (Disegno di legge 23 novembre 2010, n.1198-A) ancora in discussione al Parlamento (o forse parcheggiato al Parlamento) ha inserito ulteriori limiti all'esercizio della professione forense da parte dei Docenti. In effetti l'art. 18 di detto disegno di legge, rubricato eccezioni alle norme sulla incompatibilità, al primo comma statuisce. “1. In deroga a quanto stabilito nell'articolo 17, l'esercizio della professione di avvocato è compatibile con l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell'università e nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate”.

La differenza rispetto al vecchio regime delle eccezioni è evidente e pacifica. Nel vecchio articolo 3 R.D.L. 1578/1933 l'eccezione era riferita ai (…) professori degli istituti secondari dello Stato. Nel nuovo articolo 18 disegno di legge 1198-A/2010 l'eccezione è riferita all'insegnamento in materie giuridiche (…) nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate.

Con la riforma Forense, così come è stata proposta, il docente-avvocato di istituto superiore che oggi insegna una disciplina che non è materia giuridica sarà cancellato dall'albo se non esercita il diritto di opzione, vale a dire se non abbandona l'insegnamento entro tre anni dall'entrata in vigore della legge di riforma forense.

Tralasciando di rappresentare il nostro pensiero sulle ragioni che hanno indotto il Legislatore ad inserire ulteriori limitazioni all'esercizio della professione forense, una nostra riflessione sull'evoluzione più significativa dell'istituto dell'incompatibilità comunque deve essere fatta.

Per comprendere meglio la suddetta evoluzione, tentiamo di inserire nel ragionamento il criterio temporale.

Il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, con l'art. 3, lascia facoltà all'insegnante delle scuole superiori di esercitare la professione di avvocato.

La Carta costituzionale, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, nel titolo II, all'art. 33 statuisce che l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La Corte costituzionale nella sentenza n. 390 del 2006 afferma che l'incompatibilità ex art. 3 R.D. L. 1578/1933 non può incidere sull'insegnamento, ed a fortiori, non può incidere sulla libertà ad esercitare la professione forense.

Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione numero 157/09, a seguito di procedimento R.G.N. 227/08, negava ad una Collega – insegnante di scuola elementare - il diritto all'iscrizione all'Albo degli Avvocati.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 22623, del 12 ottobre 2010, Sezioni Unite, accoglieva il ricorso della Collega.

Il Disegno di legge 23 novembre 2010, n.1198-A statuisce nel senso che solo il docente che insegna materie giuridiche può mantenere l'iscrizione all'Albo degli Avvocati.

Infine, come ultimo momento temporale del nostro ragionamento, interviene il D.L. 13 agosto 2011, n.138.

Detto decreto, all'articolo 3 mira a liberalizzare le professioni e le liberalizza. Emblematica è la rubrica, che si riporta: “Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche”. Il nostro Ordinamento afferma che sta abrogando indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni. Ha affermato che le pregresse restrizioni (oggi abrogate) erano indebite. Atteso che questa riflessione è rivolta ad addetti ai lavori, sarebbe superfluo evidenziare il significato di senso (come direbbe Gustavo Zagrebelsky) della voce indebite.

Il comma 5 del suddetto articolo 3 inserisce dei principi a cui l'Ordinamento tutto si deve adeguare.

L'esercizio delle libere professioni deve rispondere senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, deve rispondere alla diffusa presenza dei professionisti su tutto il territorio nazionale ed alla differenziazione e pluralità di offerta. Unica eccezione, la limitazione per ragioni di interesse pubblico con espresso riferimento alla tutela della salute umana.

Provando a trarre delle conclusioni, dopo questo breve ragionamento, possiamo osservare quanto segue.

A seguito della deliberazione dell'Assemblea Costituente 22 dicembre 1947, con l'entrata in vigore della Costituzione Italiana, l'incompatibilità ex art. 3 legge forense diviene incostituzionale nella parte in cui consente l'esercizio della professione ai soli insegnanti delle scuole superiori e non a tutti. Di ciò nessuno ne aveva preso atto prima della sentenza n. 390/2006.

Dopo detta sentenza il Consiglio Nazionale Forense nega l'iscrizione all'albo ad una Collega insegnante nelle scuole elementari ma le Sezioni Unite le riconoscono il diritto. Il principio di diritto statuito dalla Corte è stato disatteso dal Legislatore del 2010 (disegno riforma forense). Oggi, col D.L. 138/2011, il Legislatore afferma che quelle restrizioni erano indebite e le abroga.

Ora, in virtù dell'elementare ragionamento sviluppato in queste due ore di riflessione, ci viene da pensare che l'invito rivolto al docente che insegna discipline non giuridiche ad abbandonare l'avvocatura sia completamente fuori luogo ed ingiusto dal punto di vista sostanziale, oltre ad essere palesemente incostituzionale. Non solo il docente ha studiato come gli altri colleghi ma gode anche dei diritti quesiti e se ci fosse una cattedra di diritto disponibile potrebbe sostituirla a quella di discipline della ristorazione.

Vincenzo Loprevite