La questione di fatto e diritto
La Commissione Tributaria Centrale – sezione regionale di Bologna – respingeva il ricorso del contribuente, confermando l’avviso di accertamento relativo ad Irpef per l’anno di imposta 1975 con cui era stato rettificato il reddito percepito dal contribuente, configurando a tal fine il reddito in esame, non alla stregua di “reddito da lavoro autonomo”, ma classificandolo come “reddito di impresa”.
Ebbene, già la Commissione Tributaria Regionale competente aveva motivato la propria decisione, affermando che “l’organizzazione e l’utilizzo di beni strumentali di ampie dimensioni aveva snaturato l’attività svolta dal contribuente (caratterizzata dall’assunzione di dati, dalla loro elaborazione e dalla loro redazione ed illustrazione in carte topografiche)” di conseguenza tale struttura lavorativa (rectius: organizzazione di beni e persone) non poteva supportare il lavoro professionale del geometra.
In altre parole, prendendo spunto da questa premessa argomentativa (confermata peraltro dai giudici della S.C.), “la professione di geometra era al servizio della ponderosa organizzazione che, complessa com’era la struttura imprenditoriale, poteva benissimo agire in modo indipendente e fuori dalla stragrande maggioranza dei casi dal controllo tecnico del geometra”.
A ben vedere, dall’analisi “aziendale” operata sul contribuente, il quale riteneva di dover tassare il proprio reddito conseguito come lavoratore autonomo, vi era una presumibile assenza della c.d. preminenza del lavoro intellettuale su quello imprenditoriale.
Il contribuente – di contro – ribadiva che l’attività tecnica espletata comprendesse le “mansioni” tipiche del geometra e che quindi era da valutare come infondata la motivazione dei giudici di merito, i quali aveva dato risalto al fatto della prevalenza della struttura organizzativa autonoma rispetto all’opera intellettuale.
Non solo: lo stesso ricorrente, a sostegno della propria tesi, illustrava le differenze intercorrenti tra il professionista e l’imprenditore: 1) carattere personale delle prestazioni (art. 2232 c.c.); 2) caratteristiche e le misure del compenso (art. 2233 c.c.); 3) diverso rischio che grava sull’imprenditore.
Innanzi a queste formali e sostanziali diversità tra le due figure lavorative, il ricorrente considerava che non fossero mai state contestate dall’Agenzia delle Entrate in esame e pertanto la Commissione Tributaria Centrale non avrebbe potuto qualificare il reddito come quello di impresa.
La decisione
Come accennato brevemente nei capoversi pregressi, la Suprema Corte ha motivato la propria pronuncia in tal senso: la nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, in quanto l’art. 51 del D.P.R. n° 917/86 intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c.[1], anche se sprovviste della c.d. struttura di impresa, quindi prescinde dal requisito organizzativo, il quale rappresenta un aspetto “qualificante” ed essenziale per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, ma si trasforma in semplice accessorio sotto l’aspetto tributario (ed in particolare in sede di tassazione del reddito percepito)
 


[1]Art. 2195 c.c. – imprenditori soggetti a registrazione – Sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un’attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;