La legge di riforma della professione forense, Legge 31 dicembre 2012, n. 247, entrata in vigore il 2 febbraio 2013, offre l’occasione per riepilogare le norme in vigore circa l'incompatibilità fra la professione di avvocato e l'essere dipendente pubblico.
La disciplina delle incompatibilità trova la sua base normativa nell’articolo 18 della Legge n. 247/2012 rubricato “incompatibilità”.
La sua ratio è quella di garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale, “indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti”, ai sensi  dell’art. 1, comma 2, lett. b), della citata legge, nonché i principi su cui si fonda l’esercizio dell’attività di avvocato. Infatti, Ai sensi degli artt. 2, comma 1 e 3, comma 1, primo periodo, “L’avvocato è un libero professionista che, in libertà, autonomia e indipendenza svolge le attività di cui ai commi 5 e 6” e “L’esercizio dell’attività di avvocato deve essere fondato sull’autonomia e sulla indipendenza dell’azione professionale e del giudizio intellettuale”.
Tale norma di carattere generale conosce però delle eccezioni, ossia quelle previste dall’art. 19 del nuovo ordinamento forense. In particolare, il Legislatore ha previsto che “l’esercizio della professione di avvocato è compatibile con l’insegnamento o la ricerca in materie giuridiche nell’università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed enti di ricerca e sperimentazione pubblici.” Il comma 2 dello stesso articolo  prevede testualmente che “i docenti e ricercatori universitari a tempo pieno possono esercitare l’attività professionale nei limiti consentiti dall’ordinamento universitario” e, per questo, “devono essere iscritti nell’elenco speciale, annesso all’albo ordinario.” Infine, al comma 3, “fa salva l’iscrizione nell’elenco speciale per gli avvocati che esercitano attività legale per conto degli enti pubblici con le limitate facoltà disciplinate dall’art. 23.”
L’art. 23, in particolare, si riferisce agli avvocati degli enti pubblici. 
Per poter invocare l’applicabilità della deroga al principio generale dell’incompatibilità, e per poter dunque essere iscritti nell’apposito elenco speciale annesso all’albo, gli avvocati  avranno l’onere di dimostrare la sussistenza di due condizioni:
- che presso l’ente dal quale dipendono sia stato istituito stabilmente un ufficio legale con lo specifico compito di trattare le cause e gli affari legali dello stesso;
- che esista una deliberazione dell’ente dal quale risulti che essi sono stati adibiti in via esclusiva all’ufficio legale dell’ente.
Gli avvocati iscritti nell’elenco sono soggetti al potere disciplinare del consiglio dell’ordine, prosegue l’art. 23. In altri termini, il Legislatore ha previsto un “doppio controllo” per gli avvocati dipendenti degli enti pubblici: sia da parte del consiglio dell’ordine sia da parte del datore di lavoro.
Dalla natura eccezionale della deroga di cui si tratta discende la conseguenza   quale lo ius postulandi degli avvocati degli enti pubblici è limitato esclusivamente alle cause e agli affari inerenti l’ente presso il quale svolgono l’attività impiegatizia. La ratio dei tale limitazione deve rintracciarsi, oltre che nell’opportunità di evitare che questi soggetti, approfittando del proprio ruolo pubblico, possano sottrarre clienti ai privati professionisti, anche e soprattutto nella necessità di assicurare agli enti pubblici presso cui prestano servizio l’esclusività della loro opera intellettuale.