La responsabilità delle società di revisione è stata di recente interessata dal decreto legislativo 61/2002 recante la “Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali, a norma dell’art 11 della legge 3 ottobre 2001 n. 366”.

La riforma ha modificato l’art. 2624 del Codice Civile (1) che punisce i responsabili della revisione che attestino il falso od occultino informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto alla revisione. L’articolo  in esame sostituisce l’abrogata fattispecie di cui all’art 175 del d.lg. 24 febbraio 1998 n. 58.

L’art. 2624 c.c. prevede due fattispecie criminose, che si distinguono fra loro in quanto nella prima non si determina l’evento del danno patrimoniale. La prima ipotesi di reato (ossia quella senza danno patrimoniale) è quindi meno grave ed  è punita con l’arresto fino ad un anno, mentre la seconda è un’ipotesi delittuosa, più grave, punita con la reclusione da uno a quattro anni.

La ragione di tale scelta è illustrata nella Relazione di accompagnamento, ove si legge che l’introduzione di due ipotesi di reato  “ha consentito di meglio calibrare il disvalore del fatto, analogamente a quanto stabilito per le false comunicazioni sociali e per il falso in prospetto, a seconda che dalla stessa condotta intenzionale derivi o no l’evento materiale del danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni”.

Ciò per altro è coerente con la generale tendenza seguita dal legislatore del 2002 di patrimonializzare e privatizzare la tutela del bene giuridico leso dai reati societari.

Chi sono i soggetti “responsabili della revisione” che possono essere chiamati a rispondere per i reati in esame ai sensi dell’art. 2624 c.c.? La norma  utilizza  una terminologia atecnica, che crea dei dubbi riguardo il rispetto del principio di determinatezza della fattispecie penale.

Ad ogni modo, possiamo dire che, al di là della qualifica formale rivestita da un soggetto all’interno della società, ciò che rileva ai fini dell’individuazione del responsabile è l’esercizio di fatto della funzione di revisione.

Non va dimenticato, infatti, che la riforma del diritto societario ha sancito espressamente l’equiparazione dell’amministratore di fatto a quello ufficiale operata dall’art 2639 c.c., ai sensi del quale “al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”.

Ci si chiede a questo punto se i reati previsti dall’art. 2624 c.c. possano determinare la responsabilità della società di revisione.

Al riguardo l’art. 3 del D.lg. 61/2002 ha introdotto un nuovo art 25 ter nel d.lg. 231 del 2001, il quale richiama entrambi i commi dell’art 2624 c.c.

E’ quindi possibile affermare una responsabilità della società di revisione per i reati in esame purchè ricorrano i presupposti di cui al D.lg. 231 del 2001. E’ necessario quindi  che il reato in questione sia commesso “nell’interesse della società” da amministratori, direttori generali, liquidatori o persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica.

In caso di condanna è prevista una sanzione pecuniaria per la società di revisione  compresa tra 100 e 130 quote per l’ipotesi contravvenzionale e tra 200 e 400 quote per l’ipotesi delittuosa.

Se la società di revisione ha conseguito un profitto di rilevante entità (comunque oggetto di confisca), la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo (art 25 ter comma 3).

Alla società non si applica alcuna sanzione interdittiva (cfr. art 13 comma 1 d.lg. 231).

I soggetti apicali o dipendenti della società di revisione, inoltre, possono incorrere nella responsabilità penale ex art 622 c.p. (Rivelazione di segreto professionale).

A tale disposizione il d.lg. n. 61 del 2002 ha aggiunto un’aggravante per il caso in cui la rivelazione del segreto professionale sia commessa da chi svolge la revisione contabile della società.

Tale aggravante comunque è suscettibile di bilanciamento quantomeno con le circostanze attenuanti generiche, ai sensi dell’art. 69 del Codice Penale, trattandosi di una aggravante comune.

Ad ogni modo il reato di cui all’art. 622 del Codice Penale non può coinvolgere direttamente la società, non essendo tale reato richiamato dall’art 25 ter.

Certamente la società di revisione che omette i dovuti controlli può cagionare danni a terzi. In tal caso è ipotizzabile una responsabilità civilistica per i danni cagionati ai terzi a carico della società.

Al riguardo si segnala una recentissima sentenza del Tribunale di Milano - sez. VIII, del 4 novembre 2008, per la quale la società di revisione è responsabile del danno causato a coloro che abbiano investito i propri risparmi nell’acquisto di azioni e obbligazioni emesse da una società per azioni quotata in borsa  quando nell’esercizio dell’attività di revisione non siano state rilevate, per difetto della dovuta diligenza, falsità materiali, irregolarità formali, carenza di informazioni e informativa fuorviante.

La responsabilità dell’ente non è necessariamente collegata a un accertamento di responsabilità colposa o dolosa dei suoi dipendenti, poiché le norme che regolano l’Audit delle società quotate sono indirizzate alla società di revisione in quanto unico soggetto – persona giuridica - abilitato a svolgere detta attività. Sicché non si tratta di responsabilità indiretta dell’ente per attività di persone fisiche, alla stregua dell’art. 2049 c.c., ma di responsabilità diretta, paragonabile pertanto al modello di responsabilità della società controllante oggi prevista anche nell’art. 2497 c.c. in riferimento all’attività di controllo e di direzione del gruppo.

Si è fatto riferimento in proposito all’art. 164 d.lgs. 58/1998, che delinea lo spettro di responsabilità della società di revisione a tutela dell’ all’interesse dei terzi all’informazione corretta: «1. Alla società di revisione si applicano le disposizioni dell’articolo 2407 del codice civile. 2. I responsabili della revisione e i dipendenti che hanno effettuato l’attività di revisione contabile sono responsabili, in solido con la società di revisione, per i danni conseguenti da propri inadempimenti o fatti illeciti nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati».

L’art. 2407 comma 1 c.c. (richiamato dall’art. 164 comma 1 d.lgs. n. 58/1998) richiede che le società di revisione soddisfino determinati requisiti di “professionalità”, non essendo sufficiente che agiscano secondo il criterio della “diligenza”. Il tipo di diligenza loro richiesta, quindi, non è quella generica dell’art. 1176 comma 1 c.c., bensì quella specifica dell’art. 1176 comma 2 c.c. secondo cui “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

(1) L’art. 2624 c.c recita: “1. I responsabili della revisione i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nelle relazioni o in altre comunicazioni, con la consapevolezza della falsità e l’intenzione di ingannare i destinatari delle comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto alla revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione, sono puniti, se la condotta non ha loro cagionato un danno patrimoniale, con l’arresto fino ad un anno.

2. Se la condotta di cui al primo comma ha cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni, la pena è della reclusione da uno a quattro anni.”