In base al’art. 6 del Dl.gs. 231/01 le società hanno oggi l’onere di munirsi di un organismo di vigilanza (ODV) al fine di non incorrere in responsabilità per i reati commessi dai propri organi.

Fanno eccezione gli enti di piccole dimensioni, ove le funzioni dell’ODV possono essere svolte anche dall’organo dirigente (si rimanda sul punto al successivo approfondimento).

Il concetto di organismo di vigilanza invero è oggetto di ampi dibattiti e divergenze di opinioni, in quanto il legislatore delegato non ha fornito chiare e precise indicazioni al riguardo.

In particolare sono dubbie le caratteristiche strutturali che il detto organismo deve avere affinchè possa esercitare in maniera realmente indipendente i propri poteri di vigilanza ed assicurare l’effettività dei controlli in relazione alla dimensione ed alla complessità organizzativa dell’ente.

Probabilmente il legislatore non ha voluto dare una definizione univoca di organismo di vigilanza né ha voluto stigmatizzarne le caratteristiche concrete, in ragione delle diversità che connotano le strutture aziendali. Queste ultime quindi potranno valutare le modalità migliori con cui dare attuazione al D.lgs. 231 in relazione alla specifica realtà che le interessa.

In linea generale sono stati indicati alcuni principi che potranno orientare gli enti nella fase dell’istituzione dell’ ODV

In primo luogo è bene che l’ ODV sia un soggetto “dell’ente”, come dispone espressis verbis il D.lg. 231.

Deve escludersi cioè che l’ ODV possa essere un soggetto esterno tout court, quale ad esempio una società di revisione od un gruppo di consulenti esterni, come suggerito nelle Linee guida dell’ABI del febbraio 2004.

Ciò anche al fine di evitare un’ingerenza eccessiva nella vita dell’ente da parte di un soggetto terzo, che per altro ben poco sa della organizzazione e delle caratteristiche strutturali dell’impresa. Vi sarebbe inoltre anche un problema di segretezza, dal momento che si dovrebbe consentire ad un soggetto terzo di venire a conoscenza di informazioni particolarmente delicate per l’attività imprenditoriale.

Non è escluso però che l’ ODV possa avvalersi delle specifiche professionalità di consulenti esterni o di società di revisione per l’esecuzione delle operazioni tecniche necessarie per lo svolgimento della funzione di controllo. I consulenti, comunque, dovranno sempre riferire i risultati del loro operato all’organismo di vigilanza.

Ci si chiede poi se l’organismo di vigilanza debba essere un organo necessariamente costituito ad hoc o se le sue funzioni possano essere svolte piuttosto da un organo preesistente.

L’ABI si è espressa sul punto prospettando diverse possibili soluzioni.

  1. La prima è che le funzioni dell’organismo di vigilanza siano svolte dal Comitato per il controllo interno, laddove esistente.

Il Comitato, infatti, presenta una serie di caratteristiche che lo rendono idoneo a svolgere i compiti che il d.lg n. 231 attribuisce all’ ODV.

In primo luogo, i membri del Comitato per il controllo interno devono essere amministratori non esecutivi, la maggioranza dei quali indipendenti, a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza dell’organo.

Inoltre, i compiti del Comitato per il controllo interno sono assimilabili a quello dell ODV.

In particolare il Comitato:

·         presiede al sistema di controlli interni dell’impresa;

·         assiste il Consiglio di Amministrazione nella fissazione delle linee di indirizzo e nella verifica periodica della loro adeguatezza e del loro effettivo funzionamento;

·         si assicura che i principali rischi aziendali siano identificati e gestiti in modo adeguato;

·         valuta il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno;

·         riceve le relazioni periodiche dei preposti;

·         valuta, unitamente ai responsabili amministrativi della società ed ai revisori, l’adeguatezza dei principi contabili utilizzati e, nel caso di gruppi, la loro omogeneità ai fini della redazione del bilancio consolidato;

·         valuta le proposte formulate dalle società di revisione per ottenere l’affidamento del relativo incarico, nonché il piano di lavoro predisposto per la revisione e i risultati esposti nella relazione e nella lettera di suggerimenti;

·         riferisce al consiglio, almeno semestralmente, in occasione dell’approvazione del bilancio e della relazione semestrale, sull’attività svolta e sulla adeguatezza del sistema di controllo interno;

·         svolge gli ulteriori compiti che gli vengono attribuiti dal consiglio di amministrazione, particolarmente in relazione ai rapporti con la società di revisione.

  1. La seconda soluzione possibile è affidare il ruolo di organismo di vigilanza all’Internal Auditing.

Questa funzione è richiamata dal D. Lg. n. 58/1998 (TUF) che, all’art. 150, prevede la figura di “colui che è preposto ai controlli interni”; dalle istruzioni di vigilanza per le banche della Banca d’Italia, pubblicate sulla G.U. n. 245 del 20 ottobre 1998; dai regolamenti emessi nei confronti degli intermediari autorizzati delle società di gestione del risparmio e delle SICAV dalla Banca d’Italia e dalla Consob, che obbligano questi soggetti all’istituzione di “un’apposita funzione di Controllo Interno”, da assegnare ”ad apposito responsabile svincolato da rapporti gerarchici rispetto ai responsabili dei settori di attività sottoposti al controllo”.

L’Internal Auditing comprende la funzione di effettuare indagini di carattere ispettivo nonché quella di verificare l’esistenza ed il buon funzionamento dei controlli idonei ad evitare il rischio di violazioni di legge.

  1. La terza possibilità è naturalmente quella di creare un organismo ad hoc costituito da professionalità interne ed esterne. Deve essere garantita in esso la presenza di almeno uno degli amministratori non esecutivi per garantire omogeneità di indirizzo e l’effettività del controllo sull’alta amministrazione; nonché i componenti delle diverse “anime” della società (base, vertice e controllo) per favorire la dialettica interna.
 

Qualora l’ente decida di non creare un organismo ad hoc bensì di avvalersi di organi e funzioni preesistenti, quali appunto l’internal auditing, detta funzione dovrebbe essere integrata nei poteri ed eventualmente nella composizione.

Non vi è dunque un obbligo di optare per l’una o per l’altra soluzione. L’ente è libero di scegliere in base alle proprie caratteristiche nonché in base alle risorse economiche a disposizione. L’importante è che la sua scelta sia motivata e siano illustrati i criteri della decisione finale.

Va esclusa tuttavia la possibilità di attribuire la funzione di ODV al Collegio sindacale. Questo infatti non dispone dei poteri autonomi di iniziativa e di controllo a cui fa riferimento il D.lg. 231.

 

In ogni caso nella scelta dei soggetti a cui affidare la funzione di vigilanza devono essere garantiti:

 

·         l’indipendenza dai responsabili di aree operative;

·         la presenza di personale qualitativamente e quantitativamente adeguato ai compiti da svolgere;

·         l’integrazione con soggetti terzi ove la complessità operativa non consenta a detta funzione di svolgere adeguatamente le proprie funzioni.

 

Altra questione è se l’ ODV debba essere un organo a composizione monocratica o collegiale.

Le Associazioni di categoria ABI, ASSTRA  e ASSIFACT ritengono preferibile la composizione collegiale.

Tale scelta è stata condivisa dal il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale Roma, nell’ordinanza del 4 aprile 2003, anche se con riferimento alle sole imprese medio grandi.

Per le piccole imprese infatti può essere sufficiente un organo monocratico.

In generale comunque la collegialità della struttura certamente offre maggiori garanzie di indipendenza rispetto ad un organo monocratico e soprattutto per garantire la presenza di specifiche competenze tecniche, in ragione dell’eterogeneità delle funzioni svolte all’interno dell’impresa.

  Quali sono i poteri dell’ ODV?

L’ ODV deve disporre di autonomi poteri di iniziativa e di controllo.

In particolare deve poter colloquiare con tutti i membri dell’impresa, vertici compresi, senza vincoli gerarchici di alcun tipo.

Deve poter richiedere informazioni e documenti da ogni settore e livello dell’ente.

Deve poter accertare le violazioni e proporre le relative sanzioni.

Deve inoltre avere autonomia di spesa per attuare concretamente i propri compiti.



L’art. 6 del D.lg. 231 del 2001 recita “1. Se il reato e' stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:

a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).

2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:

a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, puo' formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneita' dei modelli a prevenire i reati.

4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente.

5. E' comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.