Negli enti di piccole dimensioni non vi è l’onere per l’impresa di istituire un organismo di vigilanza ad hoc.

In questo caso, infatti, l’art.6, comma 4 (1) del d.lg. n. 231/01 stabilisce che i compiti attribuiti all’organismo di vigilanza possano essere svolti direttamente dall’organo dirigente.

Non è chiaro, tuttavia, cosa si intenda per “ente di piccole dimensioni”, dal momento che il D.lg 231/01 non ha fornito alcuna indicazione al riguardo.

Sul punto sono state elaborate dalla dottrina diverse soluzioni, incentrate per lo più sulla coincidenza tra direzione e proprietà e sulla variabile del numero dei dipendenti, ma non si è raggiunta una univocità di vedute tale da consentire agli operatori del diritto ed alle stesse società destinatarie del decreto un sicuro criterio ermeneutico nella fase di adeguamento della struttura organizzativa aziendale alle disposizioni del decreto 231 onde prevenire il rischio della responsabilità amministrativa da reato.

E’ possibile ricavare una definizione di piccola impresa dalle Linee-Guida di Confindustria nonché dalla Raccomandazione della Commissione europea, 6.5.2003, n 1442 relativa alla definizione di Piccola e Media Impresa, tenendo comunque presente che si tratta semplicemente di criteri ermeneutici non giuridicamente vincolanti.

Secondo Confindustria, la soglia dimensionale deve essere valutata in relazione alla struttura interna gerarchica e funzionale, più che in parametri quantitativi ed a prescindere dal settore merceologico in cui l’impresa opera.

In particolare l’impresa si può considerare piccola se la sua struttura organizzativa è connotata dall’essenzialità, ossia se essa è dotata dei soli elementi indispensabili per il suo funzionamento.

Occorre precisare che per struttura organizzativa si intendono le modalità attraverso le quali si ripartiscono compiti, poteri e responsabilità all’interno dell’organizzazione.

Nella struttura organizzativa si possono rinvenire componenti essenziali, indispensabili per la sopravvivenza dell’ente, e componenti aggiuntivi, finalizzati ad aumentare le capacità di coordinamento e controllo della struttura organizzativa.

I componenti essenziali consistono nella definizione di ruoli e poteri delle posizioni individuali e delle unità organizzative, e nelle relazioni tra detti organi.

In altre parole, specifica Confindustria, “in una piccola impresa la maggior parte delle funzioni è concentrata in capo a poche persone”.

Da un punto di vista pratico, potrebbe essere importante, ad esempio, effettuare un confronto tra il numero delle funzioni esistenti nella specifica realtà aziendale ed il numero di soggetti a cui le stesse sono affidate.

Ciò è in linea con quanto affermato anche dall’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), per la quale la dimensione dell’impresa deve essere valutata in base alla struttura organizzativa, all’articolazione territoriale dell’attività ed numero dei dipendenti impiegati su base annua.

Devono intendersi, in ogni caso, piccole imprese quelle che presentano un numero di dipendenti occupati, a tempo pieno, durante l’ultimo esercizio annuale, inferiore a dieci unità.

Nel caso di impiego di lavoratori a tempo parziale e stagionali, questi ultimi verranno computati come frazione di unità lavorativa annuale.

Si è fatto poi riferimento alla Raccomandazione della Commissione europea, 6.5.2003, n 1442 che offre una definizione di Piccola e Media Impresa ai fini dell’individuazione delle categorie di imprese beneficiarie degli incentivi previsti dai programmi comunitari (PIC), nazionali (PON) e regionali (POR), cofinanziati dall’Unione Europea e dalle leggi nazionali e regionali di agevolazione.

In base a tale Raccomandazione emerge la seguente classificazione:

1.     microimpresa: quella che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro;

2.     piccola impresa: quella con un numero di effettivi compreso tra 10 e 49 e che realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro;

3.    media impresa: quella che impiega un numero di effettivi compreso tra 50 e 249 per un fatturato annuo inferiore o pari ad euro 50 milioni “oppure il cui totale di bilancio annuo” non superi i 43 milioni di euro;

4.     enti non piccoli: quelli che non rientrano nella definizione riportata nel testo e che occupano oltre 249 effettivi ed hanno un fatturato annuo superiore ai 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo maggiore di 43 milioni di euro.

Alle categorie sub 3 e 4 non è pertanto applicabile il regime di cui all’art. 6, comma 4 del D.Lgs. n. 231/01.

In conclusione si può affermare che le caratteristiche che generalmente si riscontrano nelle piccole e medie imprese sono: concentrazione della proprietà e della direzione, limitatezza delle fonti di ricavi e semplicità dei sistemi contabili e di controllo interno.
Spesso in realtà aziendali di piccole e medie dimensioni lo stesso proprietario amministratore esercita un controllo diretto sull’attività dell’impresa.

La semplicità della struttura interna dell’impresa consente a quest’ultima di adottare modelli di complessità sicuramente inferiore rispetto al modello adottato in un’impresa medio-grande proprio in ragione del fatto che la maggior parte delle funzioni è concentrata in capo a poche persone.

Del resto le piccole imprese dispongono di minori risorse da poter dedicare alla predisposizione di un modello organizzativo.

I relativi costi potrebbero non essere economicamente sostenibili tanto più laddove si volesse istituire un organismo di vigilanza ad hoc.

(1) L'art. 6 del D.lg. 231 del 2001 recita “1. Se il reato e' stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che:

a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento e' stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi e' stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).

2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:

a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, puo' formulare, entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneita' dei modelli a prevenire i reati.

4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b), del comma 1, possono essere svolti direttamente dall'organo dirigente.

5. E' comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”.