L'articolo 11 del Decreto Legislativo n. 74/2000 prevede il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
In particolare, la norma punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
La condotta illecita consiste quindi, sotto il profilo materiale, nel compimento di atti fraudolenti sul patrimonio.
Ciò tuttavia non è sufficiente ai fini della sussistenza del reato, essendo anche necessaria la specifica finalizzazione all'elusione delle imposte, ossia il "dolo specifico".
Sul punto, la Cassazione ha affermato che la mera costituzione del trust, di per sè, non è sufficiente ad integrare il reato in questione, in quanto, oltre ad una condotta materiale idonea a incidere sul patrimonio, è anche necessario il dolo specifico, ossia l'intento evasivo o elusivo dell'agente (Cassazione, sentenza del 25 luglio 2017, n. 36801).
La Cassazione, infatti, evidenzia che il trust può essere utilizzato per molteplici scopi, per cui di volta in volta andrà verificata la causa concreta dello stesso.
Soltanto se risulta dimostrato che il trust è stato creato allo scopo specifico di eludere il fisco, potrà affermarsi la penale responsabilità dell'agente (Cassazione, sentenza del 25 luglio 2017, n. 36801).