In materia di reati tributari, è riconosciuta la possibilità di sequestrare i beni della persona giuridica, purchè si tratti di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato.
E' invece esclusa la possibilità di eseguire, nei confronti dell'ente, un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, salvo il caso in cui la società sia un mero schermo fittizio (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 10561/2014).
Ad ulteriore precisazione di quanto sopra, la Cassazione ha affermato che l'esistenza di beni della società che possano essere utilmente sottoposti a sequestro preclude la possibilità di sequestrare i beni degli organi sociali (ad esempio, i beni dell'amministratore).
In altre parole, i beni dell'amministratore della società responsabile del reato tributario in questione possono essere sequestrati (anche per equivalente) solo dopo aver verificato l'assenza di disponibilità in capo all'impresa.
Tale verifica viene compiuta dal Pubblico Ministero allo stato degli atti, sulla base degli indizi a carico dell'indagato, senza che sia necessario un accertamento complesso e specifico.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Cassazione con la sentenza del 15 gennaio 2015, n. 1738.
Nella specie, si trattava di un procedimento penale a carico del rappresentante legale di una s.r.l. indagato per il reato di omesso versamento Iva, previsto e punito dall'articolo 10-ter del Decreto legislativo n. 74/2000.
In tale ambito, il G.i.p. aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente su alcuni beni mobili ed immobili di proprietà dell'indagato.
La Cassazione ha annullato il provvedimento in questione, ritenendo appunto che, prima di procedere al provvedimento cautelare per equivalente nei confronti dell'amministratore, è necessario tentare direttamente il sequestro sui beni societari, frutto dell'illecito.