Il concetto di imputabilità è allo stesso tempo empirico e normativo ed in primis spetta alle scienze del comportamento umano individuare i presupposti empirici, in presenza dei quali è possibile valutare se l’essere umano sia in grado o meno di recepire il messaggio contenuto nella sanzione punitiva. Difatti questa ultima secondo la Costituzione italiana ha una funzione rieducativa e pertanto tende alla rieducazione del delinquente in modo da permettergli di capire l’errore commesso con il fine di ravvedersi e di non commettere più reati in futuro; mentre è, in secundis, di competenza del legislatore la fissazione delle condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali e tale scelta legislativa implica pertanto valutazioni che trascendono gli aspetti strettamente scientifici del problema dell’imputabilità e che attengono più direttamente agli obiettivi di tutela perseguiti dal sistema penale. Se l’imputata non è stabile mentalmente è palese che la funzione rieducativa della pena non riuscirebbe ad assolvere al compito posto dal legislatore. L’art. 85 c.p. fissa i presupposti dell’imputabilità nella capacità di intendere e di volere. Tale duplice capacità deve sussistere al momento della commissione del fatto che costituisce reato e lo stesso legislatore puntualizza la disciplina dell’istituto attraverso il riferimento ad alcuni parametri legalmente predeterminati, ossia l’età del soggetto, e soprattutto, come nel caso di specie, l’assenza di infermità mentale ex art. 88 c.p. o altre condizioni capaci di incidere sull’autodeterminazione responsabile dell’agente, cause in ogni caso non tassative. Un’invalidità civile per ritardo mentale non permette all’imputata di intendere pienamente le conseguenze delle sue azioni. La psiche dell’uomo deve essere considerata una entità fondamentalmente unitaria, per cui le diverse sue funzioni si rapportano l’una all’altra influenzandosi vicendevolmente e per essere non imputabile il soggetto deve non possedere né la capacità di intendere né quella di volere. La prima può essere in ogni caso definita come l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della realtà, e quindi come quella capacità di comprendere il significato del proprio comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive o negative sui terzi e pertanto essa può mancare anche in assenza di una vera e propria malattia mentale e soprattutto in tutte le ipotesi-limite di sviluppo cosi ritardato o deficitario da precludere al soggetto il potere di orientarsi nel rapporto col mondo esterno, mentre la capacità di volere consiste, invece, nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore, ossia l’attitudine a scegliere in modo consapevole tra motivi antagonistici, presupponendo pertanto necessariamente la capacità di intendere il significato dei propri atti (nihil volitum nisi praecognitum). L’imputata affetta da infermità mentale pertanto non potrebbe essere condannata in quanto manca uno degli elementi essenziali per la responsabilità penale nella commissione di un reato.
Perizia psichiatrica al fine di valutare la capacità di intendere e di volere dell’imputata
Perizia psichiatrica al fine di valutare la capacità di intendere e di volere dell’imputata. Il concetto di imputabilità è allo stesso tempo empirico e normativo ed in primis spetta alle scienze del comportamento umano individuare i presupposti empirici, in presenza dei quali è possibile valutare se l’essere umano sia in grado o meno di recepire il messaggio contenuto nella sanzione punitiva.
Avv. Enrico S. Antonazzo
di Ugento, LE, Italia
Letto 1317 volte dal 27/10/2013
Il concetto di imputabilità è allo stesso tempo empirico e normativo ed in primis spetta alle scienze del comportamento umano individuare i presupposti empirici, in presenza dei quali è possibile valutare se l’essere umano sia in grado o meno di recepire il messaggio contenuto nella sanzione punitiva. Difatti questa ultima secondo la Costituzione italiana ha una funzione rieducativa e pertanto tende alla rieducazione del delinquente in modo da permettergli di capire l’errore commesso con il fine di ravvedersi e di non commettere più reati in futuro; mentre è, in secundis, di competenza del legislatore la fissazione delle condizioni di rilevanza giuridica dei dati forniti dalle scienze empirico-sociali e tale scelta legislativa implica pertanto valutazioni che trascendono gli aspetti strettamente scientifici del problema dell’imputabilità e che attengono più direttamente agli obiettivi di tutela perseguiti dal sistema penale. Se l’imputata non è stabile mentalmente è palese che la funzione rieducativa della pena non riuscirebbe ad assolvere al compito posto dal legislatore. L’art. 85 c.p. fissa i presupposti dell’imputabilità nella capacità di intendere e di volere. Tale duplice capacità deve sussistere al momento della commissione del fatto che costituisce reato e lo stesso legislatore puntualizza la disciplina dell’istituto attraverso il riferimento ad alcuni parametri legalmente predeterminati, ossia l’età del soggetto, e soprattutto, come nel caso di specie, l’assenza di infermità mentale ex art. 88 c.p. o altre condizioni capaci di incidere sull’autodeterminazione responsabile dell’agente, cause in ogni caso non tassative. Un’invalidità civile per ritardo mentale non permette all’imputata di intendere pienamente le conseguenze delle sue azioni. La psiche dell’uomo deve essere considerata una entità fondamentalmente unitaria, per cui le diverse sue funzioni si rapportano l’una all’altra influenzandosi vicendevolmente e per essere non imputabile il soggetto deve non possedere né la capacità di intendere né quella di volere. La prima può essere in ogni caso definita come l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno secondo una percezione non distorta della realtà, e quindi come quella capacità di comprendere il significato del proprio comportamento e di valutarne le possibili ripercussioni positive o negative sui terzi e pertanto essa può mancare anche in assenza di una vera e propria malattia mentale e soprattutto in tutte le ipotesi-limite di sviluppo cosi ritardato o deficitario da precludere al soggetto il potere di orientarsi nel rapporto col mondo esterno, mentre la capacità di volere consiste, invece, nel potere di controllare gli impulsi ad agire e di determinarsi secondo il motivo che appare più ragionevole o preferibile in base ad una concezione di valore, ossia l’attitudine a scegliere in modo consapevole tra motivi antagonistici, presupponendo pertanto necessariamente la capacità di intendere il significato dei propri atti (nihil volitum nisi praecognitum). L’imputata affetta da infermità mentale pertanto non potrebbe essere condannata in quanto manca uno degli elementi essenziali per la responsabilità penale nella commissione di un reato.
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