L'articolo 2 del Decreto Legge n. 463/83, convertito  con modificazioni dalla Legge n. 638/83, prevede il reato di omesso versamento da parte del datore di lavoro delle ritenute previdenziali e assistenziali (reato che, a seguito del Decreto Legislativo del 15 gennaio 2016, n. 8, sussiste solo se l'importo delle ritenute non versate supera la soglia di 10.000 Euro annui).
In particolare il comma 1 bis dell'articolo 2 citato, come modificato dal  Decreto Legislativo n. 8/2016, prevede: "L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 < ossia le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153 > per un importo superiore a euro 10.000 annui, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032. Se l'importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore di lavoro non è punibile, nè assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione".
Orbene, si è posta la questione in giurisprudenza su quale sia il momento consumativo del reato (elemento che rileva, ad esempio, ai fini del calcolo della prescrizione).
In particolare ci si è chiesti se il momento consumativo coincida con la scadenza del termine utile in cui il datore di lavoro deve effettuare il versamento (ossia il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi omessi), o altrimenti con la scadenza dei tre mesi successivi alla contestazione.
Sul punto, la giurisprudenza propende per la prima soluzione, per cui il reato in questione, essendo un reato istantaneo, si consuma il giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi omessi, mentre il termine di tre mesi successivo alla contestazione rileva soltanto ai fini della sussistenza della causa di non punibilità (Corte di Appello di Roma, sentenza del 6 maggio 2015, n. 2658).
Inoltre il detto termine di tre mesi non rappresenta una condizione di procedibilità dell'azione penale, ma soltanto il limite temporale minimo per la trasmissione all'autorità giudiziaria della notizia di reato da parte dell'ente previdenziale.