I fatti del processo

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Nocera Inferiore aveva disposto la misura cautelare patrimoniale sui conti correnti intestati al rappresentante legale di una S.r.l., che con le “modalità tipiche della c.d. frode carosello” aveva realizzato – secondo la tesi dell'accusa – una consistente evasione fiscale, afferente sia a titolo di Iva che di Irap, attraverso l'emissione (da parte delle imprese “cartiere”) di fatture per operazioni inesistenti.

Per effetto di tale “impianto accusatorio”, veniva disposto il sequestro fino a concorrenza del valore di €. 934.153,00, corrispondente – secondo quanto riportato nella richiesta del P.M. e nel decreto del Gip - alla sommatoria tra l'asserito mancato pagamento dell'Irap sui redditi relativi all'anno 2008 (€. 182.410,78) e l'importo dell'Iva “incamerata” indebitamente nel medesimo esercizio (€. 751.743,82).

In buona sostanza, la difesa del contribuente veniva basata sul dato giuridico che il sequestro e la confisca per equivalente non possono avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, pertanto il giudice di merito – in tale fattispecie – ha il compito da un lato di individuare “l'effettivo profitto del reato” e dall'altro di procedere (anche in sede di sequestro) alla valutazione tra il valore dei beni e l'entità reale dello stesso “guadagno”1.

La ratio decidendi della sentenza

In effetti, l'art. 2 del D. Lgs. n° 74/2000 (“dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”) stabilisce che “è punito con la reclusione da un anno a sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altro documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

A ben vedere – alla luce della menzionata norma – il Tribunale, in relazione all'attività di accertamento circa la quantificazione del profitto da reato, ha tenuto conto anche dell'asserito mancato versamento Irap sui redditi relativi all'anno di imposta 2008, ossia nel conteggio era stato “incluso” indebitamente l'importo di €. 182.410,78 (imputabili a titolo di Irap non versata).

Proprio su questo aspetto la Corte di Cassazione ha rilevato che la normativa vigente non conferisce rilevanza penale all'eventuale evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive, in quanto a) l'Irap non deve essere qualificata come “un'imposta sui redditi in senso tecnico” e b) le dichiarazioni costituenti l'oggetto materiale del reato (D. Lgs. n° 74/2000, art. 2) riguardano esclusivamente le imposte sui redditi e l'Iva.

A ciò si aggiunga che sempre in riferimento all'irrilevanza penale della presunta evasione Irap a carico del contribuente, si era già espresso il Ministero delle Finanze con la Circolare n° 154/E del 4 agosto 2000, in forza della quale anche se la dichiarazione presentata in forma unificata (a norma dell'art. 3 del D.P.R. 22 luglio 1998, n° 322) accoglie più dichiarazioni prodotte ai fini delle imposte dirette, dell'Iva, nonché dell'Irap, “acquistano rilievo solo le violazioni in materie di imposte dirette e di Iva […] di conseguenza sono escluse dalla fattispecie criminosa le dichiarazioni ai fini Irap”.

Conclusioni della Suprema Corte

In considerazione delle argomentazioni illustrate in precedenza, la Corte di Cassazione nella sentenza in commento, ha pertanto annullato l'ordinanza del Gip impugnata dal contribuente, rinviando ad un nuovo giudizio che riesamini il provvedimento di sequestro e le deduzioni formulate dal ricorrente sotto i profili: a) dell'individuazione dell'effettivo profitto del reato e b) della valutazione circa l'equivalenza tra il valore dei beni sequestrati e l'entità del profitto conseguito.

A ben vedere, in virtù del punto b), i giudici hanno censurato (accogliendo le eccezioni sollevate dal ricorrente) l'operato posto in essere dal Gip, in quanto quest'ultimo aveva tenuto conto dell'asserito mancato versamento dell'Irap, quando in realtà la normativa vigente, nonché la prassi amministrativa (cfr. Circolare n° 154/E del 4 agosto 2000) esclude qualsiasi rilevanza penale nelle ipotesi di evasione di Irap.

Conseguentemente, l'ipotizzato art. 2 del D. Lgs. n° 74/2000 (che configura un reato di pericolo concreto) “tutela il bene giuridico patrimoniale della percezione del tributo ed è all'indebito vantaggio dell'imposta” (sui redditi “in senso proprio” e sull'Iva) che deve farsi “riferimento per l'individuazione del c.d. profitto da reato”.

In breve deve essere escluso da tale computo l'ammontare dell'Irap non versato all'Amministrazione Finanziaria: il citato importo (eccedente il reale profitto conseguito dal contribuente) non può formare oggetto di sequestro (finalizzato alla confisca per equivalente2).

In conclusione, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il sequestro e la confisca per equivalente, che hanno per obiettivo la privazione di qualsiasi beneficio economico derivante dalla commissione del reato, non possono avere per oggetto beni per un valore eccedente il profitto; a tal fine sarà compito dell'autorità giudiziaria quella di procedere - in sede di sequestro - alla valutazione tra il valore dei beni e l'entità dei profitti: la misura cautelare patrimoniale dovrà essere disposta “limitatamente al prezzo del reato”.


 

1A conferma di questa interpretazione cfr. la sentenza della Corte di Cassazione n° 26176/2009;

2Come chiarisce la stessa S.C. nella sentenza in commento: “la ratio dell'istituto […] è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, anche di fronte all'impossibilità di aggredire l'oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione” (cfr. Cass, SS. UU., n° 2665/2008);