In materia di infortuni sul lavoro, il datore è ritenuto responsabile del delitto di lesioni colpose tutte le volte che l'evento dannoso sia ricollegabile all'inosservanza della normativa antinfortunistica, ai sensi degli articoli 40 e 41 del Codice penale.
In particolare, nel caso esaminato dal Tribunale di Campobasso, con sentenza del 27 marzo 2017, n. 172, il datore di lavoro è stato condannato per il delitto di cui all'articolo 590 del Codice penale (lesioni colpose) a seguito di un infortunio subito dal lavoratore che si era fratturato il piede durante lo scarico della merce.
La colpa del datore di lavoro era consistita nel non aver elaborato il documento di valutazione dei rischi previsto dall'articolo 17 del Decreto Legislativo n. 81/2008 e nell'aver assegnato alla mansione di scarico un lavoratore privo di adeguata formazione e informazione sulle misure di protezione.
A tal proposito, si ricorda anche l'orientamento univoco della giurisprudenza di legittimità secondo cui il datore di lavoro è tenuto sia ad adottare le idonee misure protettive, sia ad accertare e vigilare che di queste misure venga effettivamente fatto uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, laddove l'imprenditore abbia comunque violato le norme antinfortunistiche (Cassazione, sentenza del 16 aprile 2013, n. 9167).
La responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa solo laddove questi abbia rispettato le norme sulla sicurezza e d'altra parte il lavoratore abbia posto in essere una condotta "esorbitante" o "abnorme".
In particolare, la condotta del lavoratore è da considerarsi:
  • "esorbitante" quando rappresenta un'attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite;
  • "abnorme"  quando, pur essendo connessa allo svolgimento delle mansioni lavorative, è comunque consistita in qualcosa di radicalmente lontano dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.