La risposta è "si", ma con alcune necessarie limitazioni.
Ogni riflessione sul punto, d’altro canto, deve partire dalla considerazione che il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione rientra tra i diritti fondamentali tutelati dalla nostra Costituzione (art. 15) ed ammette di essere sottoposta a vincoli solo nei casi previsti dalla legge.
Il nostro codice di procedura penale prevede, tra i mezzi di prova ammissibili, la così detta prova documentale, vale a dire qualunque scritto o documento che rappresenti “fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo” (art. 234 cpp).
Al di là del linguaggio, piuttosto obsoleto, utilizzato dal legislatore, è ormai fuori di dubbio che i video girati o le registrazioni audio, anche se effettuate utilizzando i nostri smartphone, possono essere fatti rientrare tra le prove documentali utilizzabili nell’ambito di un procedimento penale o civile.
Quanto detto, tuttavia, non vale in assoluto. Vediamo, dunque, alcune delle ipotesi che si possono prospettare.
Per giurisprudenza ormai consolidata, è lecita la registrazione effettuata da parte di chi partecipa alla conversazione o, eventualmente, da parte di chi sia stato ammesso ad assistervi, persino nel caso in cui uno dei due interlocutori non sia stato messo al corrente della registrazione in corso.
Addirittura, la Suprema Corte ha affermato che “è del tutto irrilevante che le registrazioni siano effettuate in conformità alla disciplina della privacy, la quale non costituisce sbarramento all'esercizio dell'azione penale” (Cass. n. 2304/2015).
A ciò si aggiunga che nella recente pronuncia n. 5421 del 03.02.2017, la Corte di Cassazione ha affermato che si tratta di una prova documentale non solo valida, ma particolarmente attendibile, perché "cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico – il colloquio tra presenti (e tutto l’incontro, se con video) o la telefonata -; la persona che registra (o, come nel nostro caso, che viene filmata dallo stesso autore del fatto) infatti è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso, anche se la registrazione fosse avvenuta su consiglio o su incarico della Polizia Giudiziaria".
Al contrario, una registrazione compiuta da chi è completamente estraneo alla conversazione può costituire una condotta penalmente rilevante, come nell’ipotesi in cui, magari al fine di procurarsi una prova da utilizzare in giudizio, si procede alla registrazione audio o video di una conversazione che si sta svolgendo tra due o più soggetti rispetto ai quali si mantenga una posizione di completa estraneità.
È il caso, ad esempio, di chi installa nel telefono del coniuge un software, una applicazione o, in generale, un apparato attraverso il quale sia in grado di intercettarne tutte le conversazioni: non solo si tratterebbe di prove inutilizzabili, ma porterebbe con buona probabilità ad una condanna penale. 
Questo perché il nostro codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiprende cognizione di una comunicazione o di una conversazione, telefoniche o telegrafiche, tra altre persone o comunque a lui non dirette” (art. 617 cp); e  con la reclusione da uno a quattro anni chi “fuori dei casi consentiti dalla legge installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone”(art. 617 bis cp).
Un’altra ipotesi, in parte sovrapponibile a quelle già esaminate, si verifica nel caso in cui la registrazione sia eseguita da uno dei soggetti coinvolti nella conversazione (o ammessi ad assistervi), ma non di propria iniziativa, bensì previo accordo con la polizia giudiziaria e utilizzando gli strumenti da questa forniti. In questi casi, la registrazione non rientra più nella categoria della prova documentale, bensì in quella delle attività di documentazione di una vera e propria attività di indagine che, incidendo su un diritto fondamentale sancito dalla costituzione alla segretezza delle conversazioni, richiede una preventiva autorizzazione da parte della Autorità Giudiziaria (Cass. n. 7035/2014).
D’altro canto, ai sensi dell’art. 15 della Costituzione già citato, il diritto fondamentale in questione può subire limitazioni solo “per atto motivato della autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
Cosa dire, infine, delle riprese eseguite in ambito lavorativo da parte del datore di lavoro?
L'art. 4 dello Statuto dei lavoratori stabilisce, come regola generale, che "Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali".
Dunque, se si tratta di telecamere posizionate per finalità legate alla organizzazione o alla produzione dell’azienda, alla sicurezza sul lavoro o per prevenire i furti, i video possono essere utilizzati in sede giudiziaria a condizione che l’installazione sia stata oggetto di un accordo con i sindacati.
Tuttavia, non è sempre facile individuare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, con il rischio di porre in essere condotte penalmente rilevanti.
È il caso, ad esempio, di alcuni datori di lavoro condannati ai sensi dell’art. 615 bis cp per il reato di “Interferenze illecite nella vita privataper aver installato delle telecamere nascoste al fine di controllare l’operato dei propri collaboratori. (Corte App. Milano, Sez. V, n. 1630 del 26.2.2014).
La condanna è stata fondata, in primo luogo, sul fatto che l’attività di sorveglianza era stata concentrata esclusivamente su alcune specifiche persone e non sulla generalità dei dipendenti; in secondo luogo, i lavoratori posti sotto osservazione non erano sempre inquadrabili come “dipendenti”; infine, l’installazione delle telecamere era avvenuta all’interno degli uffici privati dei lavoratori, luoghi che rientrano nella nozione di domicilio ex art. 614 cp.
In conclusione, anche i nostri smartphone possono essere utili strumenti per procurarsi una prova da utilizzare in giudizio, ma è necessario conoscere e, poi, rispettare i limiti imposti dalla legge.