In materia di reati fiscali e in particolare del reato di evasione per omesso versamento dell'IVA, occorre richiamare in primo luogo l'articolo 11 del Decreto Legislativo n. 158/2015, che ha sostituito il previgente articolo 13 del Decreto Legislativo n. 74/2000, attribuendo all'integrale pagamento dei debiti tributari previsti dagli articoli 10 bis e 10 quater comma 1 del Decreto Legislativo n. 74/2000, efficacia estintiva e non più soltanto attenuante.
Precisamente, il novellato articolo 13 del Decreto Legislativo n. 74/2000 prevede oggi una vera e propria "causa di non punibilità"  in caso di pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Il pagamento deve comprendere anche sanzioni e interessi, pur se dovuti a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.
Nel caso particolare in cui il contribuente abbia chiesto la rateazione, comunque prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il giudice concede un termine di tre mesi, prorogabile al massimo di ulteriori tre mesi, per consentire il pagamento del debito tributario residuo. Durante tale periodo di tre o sei mesi, la prescrizione è sospesa. 
                  
Orbene, si è posta la questione se tale causa di non punibilità possa essere applicata ai procedimenti già in corso alla data di entrata in vigore della riforma, per i quali sarebbe già superato il limite della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, oltre il quale, come sopra detto, il pagamento del debito non potrebbe più avere efficacia estintiva.
           
Sul punto è intervenuta la Cassazione, la quale, con la sentenza del 28 settembre 2016, n. 40314, ha affermato che il pagamento integrale del debito ha efficacia estintiva del reato sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, per i procedimenti già in corso, che avvenga dopo tale momento, purchè prima del giudicato.
         
Se così non fosse, afferma la Cassazione, si realizzerebbe una irragionevole disparità di trattamento in situazioni sostanzialmente uguali, in cui l'imputato ha comunque posto in essere la condotta restitutoria richiesta dalla norma, così privando di ragione l'applicazione della pena.
In altri termini la pena astrattamente prevista non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria implichi, sotto il profilo teleologico, il venir meno della funzione rieducativa a essa assegnata.