Il medesimo disegno criminoso, è l’elemento che distingue l'ipotesi del concorso materiale da quella del reato continuato. Se Tizio commette più reati senza uno scopo unitario si ha concorso materiale (e quindi si applica il sistema del cumulo materiale delle pene); se invece gli stessi reati sono commessi con un unico scopo allora abbiamo reato continuato (e si applica il sistema del cumulo giuridico, cioè quello della pena più grave aumentata fino al triplo).
L"art. 81 c.p. è norma "neutra", che non fornisce all"interprete alcuna indicazione circa la sottesa volontà del Legislatore: difatti, attraverso la rubrica <> si limita sostanzialmente a indicare una tecnica di calcolo di pena allorquando si manifesti un concorso formale di reati, specificando, al secondo comma, la peculiarità del reato continuato.
Il reato continuato è stato modificato mediante l"art. 8 del decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220: con siffatto intervento la norma, originariamente fondata sull"omogeneità della fattispecie, veniva ampliata ammettendo altresì disegni criminosi essenzialmente eterogenei.

REATO CONTINUATO PRECISA LA CORTE:
Il provvedimento impugnato, laddove ha escluso che lo stato di tossicodipendenza del condannato potesse avere rilievo ai fini della individuazione della unitarietà del disegno criminoso, in relazione alla applicazione dell’istituto del reato continuato invocato dal ricorrente in sede esecutiva, era in effetti del tutto in linea con una giurisprudenza da tempo consolidata di questa Corte per cui la unitarietà del disegno criminos
o, richiesta dall’articolo 81, comma 2 Cp, poteva essere ravvisata soltanto quando la decisione di commettere i vari reati fosse stata presa dall’agente in un momento precedente la consumazione del primo e fosse estesa a tutti gli altri, già programmati nelle loro linee generali, non potendo quindi rientrare nella previsione della norma in questione tutti quei fatti costituenti reato posti rispetto al primo in un rapporto di occasionalità , ovvero costituenti, con il primo, espressione di una abitualità o addirittura di un costume di vita, come è proprio dei tossicodipendenti i quali ricorrono abitualmente alle commissioni di reati per procurarsi i mezzi occorrenti per soddisfare i loro bisogni quotidiani di sostanze stupefacenti.



Si deve peraltro rilevare che è ora sopravvenuta la modificazione dell’articolo 671, comma 1 Cpp, per effetto dell’articolo 4vicies della legge 49/2006, che ha convertito in legge con modificazioni il Dl 272/05, aggiungendo, infine, il seguente periodo: «Fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza».



Tale disposizione, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge di conversione citata, è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione della legge nella GU e cioè il 28 febbraio 2006, per cui si pone il problema che sia o meno applicabile al presente procedimento.
Questo Collegio ritiene in primo luogo che lo ius superveniens, in quanto relativo allo specifico punto della decisione impugnato dal ricorrente, sia applicabile anche d’ufficio e che sia inoltre immediatamente applicabile non solo ai procedimenti successivi alla entrata in vigore della legge citata, ma anche ai procedimenti in corso, quale quello in esame, qualora le censure portate all’esame della Corte di legittimità attengano specificamente alla incidenza dello stato di tossicodipendenza sulla disciplina del reato continuato. L’istituto della continuazione infatti un istituto di diritto sostanziale, come tale rientrante nella disciplina dell’articolo 2 del Cp, per cui si applica la disposizione più favorevole al reo, costituita chiaramente da quella introdotta dalla modifica legislativa dell’articolo 671 Cpp che è diretta ad attenuare le conseguenze penali della condotta sanzionatoria nel caso di tossicodipendenti, sotto tale particolare aspetto ed anche con riguardo ad alcune misura alternative alla detenzione specificamente previste in relazione a programmi diretti a consentire il recupero di tossicodipendenti anche condannati a pene medio-alte.

Rileva, pertanto, che ferma restando l'ammissibilità della continuazione anche nel caso in cui qualcuno dei reati contestati sia punito con pene proporzionali in senso proprio, secondo la dottrina prevalente e secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, l'individuazione della violazione più grave, ai fini del computo della pena del reato continuato, deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, Rv. 246895; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, Angioni, Rv. 243723). Di conseguenza, comparando la pena irrogabile in concreto per il reato di ricettazione e quella stabilita dalla legge per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, risulta evidente che, a fronte di una parità del minimo edittale della pena detentiva, pari a due anni di reclusione per entrambi i reati (minimo edittale, a cui il primo giudice si è sostanzialmente tenuto vicino nella individuazione della pena-base), sussiste una palese differenza nella congiunta pena pecuniaria della multa, che, per il reato di ricettazione, arriva a un massimo edittale di Euro 10.329, mentre, per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, è di Euro 45.300 di multa, avuto riguardo al quantitativo contestato.
Pertanto, la valutazione di maggiore gravità del reato di ricettazione si appalesa illegittima e, comunque, non sorretta da alcuna motivazione in ordine ai criteri del calcolo della pena e la multa di 5.300 Euro è illegittima per difetto.
3. La Seconda Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato ratione materiae, registrata l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul tema centrale che ha formato oggetto dell'impugnazione, con ordinanza emessa il 25 settembre 2012, ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618 cod. proc. pen..
Evidenzia che l'applicazione del principio invocato dal ricorrente - per il quale l'individuazione del reato più grave, da considerare ai sensi dell'art. 81 cpv. cod. pen. ai fini della determinazione della pena-base, deve essere compiuta tenendo conto del trattamento sanzionatorio nella sua globalità così come in concreto determinato dal giudice - si fonda su un'interpretazione giurisprudenziale del predetto art. 81 cpv. cod. pen. non uniforme né prevalente, perché oggetto di contrasto, nonostante i ripetuti interventi delle Sezioni Unite che hanno fissato i seguenti principi di diritto.
Per la determinazione del reato più grave agli effetti della continuazione non deve farsi riferimento alla comparazione degli indici di gravità concreta dei reati ex art. 133 cod. pen., bensì al criterio della più grave pena edittale prevista dal legislatore per ciascun reato da comparare (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 03/02/1998, Varnelli, Rv. 209485; Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/1/1994, Cassata, Rv. 195805; Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, Rv. 191128).
Il riconoscimento della continuazione non presuppone necessariamente reati sanzionati con pene omogenee ed è consentito pur se la contravvenzione è punita con una pena edittale che, valutata sotto il profilo della conversione (art. 135 cod. pen.), risulta più elevata rispetto a quella prevista per il delitto; anche in questa ipotesi, deve ritenersi violazione più grave quella costituente delitto (Sez. U, n. 4901 del 27/03/1992, Cardarilli, cit.).
I principi, così sintetizzati, espressi dalle decisioni delle Sezioni Unite in precedenza richiamate, sono stati seguiti dalla giurisprudenza maggioritaria, la quale ha affermato che, in tema di reato continuato, ai fini della determinazione della violazione più grave, il giudice deve fare riferimento alla pena edittale prevista per ciascuno dei reati contestati, con la conseguenza che più grave deve essere considerata la violazione punita più severamente dalla legge (Sez. 6, n. 34382 del 14/07/2010, Azizi Aslan, Rv. 248247; Sez. 5, n. 12473 dell'I 1/02/2010, Salviani, Rv. 246558; Sez. 3, n. 11087 del 26/01/2010, S., Rv. 246468; Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, Rv. 246431; Sez. 4, n. 6853 del 27/01/2009, Maciocco, Rv. 242866; Sez. 1, n. 26308 del 27/05/2004, Micale, Rv. 229007).

Pertanto, il giudice non può liberamente scegliere quale sia la violazione più grave, essendo, invece, tenuto, nel rispetto del principio di legalità, ad effettuare la valutazione di maggiore gravità del reato sulla base della comminatoria più grave. Tale approdo ermeneutico si fonda sull'interpretazione letterale dell'art. 81, cod. pen., contenente il riferimento alla “violazione più grave” e non alla “pena più grave”, espressione quest'ultima che sarebbe stata più appropriata, qualora il legislatore avesse voluto attribuire alla pena da infliggere in concreto -tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. - l'efficacia determinatrice della più grave violazione.
L'ordinanza di rimessione evidenzia, inoltre, che il principio secondo cui, in caso di continuazione di reati, la pena irrogata per la violazione più grave non può mai essere inferiore a quella che sarebbe irrogabile per il reato o i reati-satellite sanzionati con pena edittale maggiore nel minimo, va applicato tenendo conto del trattamento sanzionatorio nella sua globalità (Sez. 2, n. 47447 del 06/11/2009, Sali, cit.).

A tale orientamento se ne contrappone un altro minoritario (richiamato dal Procuratore generale ricorrente) secondo cui, ai fini del computo della pena, l'individuazione della violazione più grave deve essere effettuata in concreto e non già con riguardo alla valutazione compiuta in astratto dal legislatore (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit; Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, Angioni, cit.; Sez. I, n. 4322 del 13/01/1996, dep. 10/5/1997, Murgioni, Rv. 207433).
Questo indirizzo esegetico recepisce i principi espressi da una risalente pronuncia delle Sezioni Unite in base alla quale, ai fini della determinazione della pena-base, la più grave delle violazioni deve essere individuata con riferimento alla pena che in concreto dovrebbe essere inflitta per ciascuno dei reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, qualora non dovesse procedersi al cumulo giuridico di esse, con la conseguenza che, in tale ottica, è irrilevante l'entità edittale delle pene, astrattamente considerate, riferibili ai singoli reati (Sez. U, n. 9559 del 19/06/1982, Alunni, Rv. 155673).

L'individuazione del reato ritenuto in concreto più grave incontra, peraltro, un limite invalicabile nel fatto che la pena prescelta non può mai essere inferiore a quella che sarebbe stata irrogabile per un reato concorrente, sanzionato con pena edittale maggiore nel minimo (Sez. 1, n. 4322 del 13/01/1997, Murgioni, cit.).
4. Con decreto del 5 novembre 2012, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l'odierna udienza in camera di consiglio.
5. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Ancona per l'ulteriore corso.
Preliminarmente osserva che il ricorrente ha omesso di considerare che, nel caso di specie, è stato contestato il delitto di cui all'art. 291 ter, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 43 del 1973, introdotto dalla legge n. 92 del 2001, sanzionabile con la multa di Euro venticinque (e non cinque come indicato nel ricorso) per ogni grammo convenzionale di prodotto e la reclusione da tre a sette anni (e non da due a cinque anni, come erroneamente indicato dal ricorrente).Rileva, inoltre, che il contrasto denunciato è solo apparente, in quanto, delle due sentenze citate dal ricorrente, l'una (Sez. 5, n. 12765 del 09/02/2010, Scuderi, cit.) si limita a richiamare una pronunzia pregressa (Sez. 3, n. 19978 del 24/03/2009, Angioni, cit.) che, a sua volta, cita, a sostegno della tesi affermata, il disposto dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen., concernente, invece, pacificamente la fase dell'esecuzione in cui il giudice è, comunque, privo del potere discrezionale di individuare la violazione più grave.
Evidenzia, infine, che la pena base determinata dal giudice nella sentenza impugnata non è conforme ai principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., ord. n. 11 del 1997) e di legittimità (da ultimo, Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664): non è, infatti, consentito che colui che ha posto in essere più violazioni sia punito meno severamente, coeteris paribus, rispetto a chi ha realizzato solo una parte di esse, sicché la sanzione del reato-base non può mai essere inferiore a quella prevista come minima per uno qualsiasi dei reati-satellite.
6. I difensori di C. e Ca. hanno entrambi presentato memorie difensive con le quali, anche alla luce delle conclusioni scritte formulate dal Procuratore generale, chiedono il rigetto del ricorso. Osservano che, in tema di continuazione, per la determinazione della violazione più grave occorre fare riferimento alla pena astrattamente stabilita dalla legge. Sulla base di tale presupposto argomentativo rilevano che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questo principio, laddove ha considerato reato più grave il delitto di ricettazione che prevede la pena detentiva più elevata nel massimo rispetto a quella indicata per gli altri reati contestati. È irrilevante, quindi, l'entità della pena pecuniaria per stabilire, in astratto, quale sia il reato più grave.
Evidenziano, poi, che é stato rispettato il principio per il quale la pena base della violazione più grave non può mai essere inferiore a quella prevista come minimo edittale per uno qualsiasi dei reati-satellite (nel caso di specie il delitto di contrabbando di cui agli artt. 291-bis e 291-ter d.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche).
Infatti, nel calcolare la pena-base, tale risultato può essere raggiunto anche tenendo conto del ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, Cardarilli, cit.). Nel caso di specie il giudice è partito da una pena base di tre anni di reclusione ed Euro 10.329 di multa per il più grave delitto di ricettazione; tale pena non solo rispetta il minimo edittale irrogabile per il reato di cui all'art. 416 cod. pen (da tre a sette anni di reclusione senza previsione di pena pecuniaria), ma rispetta anche il minimo edittale del reato previsto dall'art. 291 bis, comma 1, d.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche (da due a cinque anni di reclusione e multa minima pari ad Euro 50.005). In particolare la pena pecuniaria andrebbe calcolata tenendo conto della soglia minima di kg. 10 (convenzionali) stabiliti dalla norma per aversi la violazione del primo comma della suddetta disposizione ((kg. 10 = gr. 10.000 + gr.l = 10.001 grammi convenzionali, moltiplicati per 5 Euro al grammo = Euro 50.005). Pertanto, poiché il giudice ha assunto come pena base quella di tre anni di reclusione, ragguagliando (art. 135 cod. pen.) l'anno che eccede il minimo della reclusione per il reato di contrabbando, si ottiene la pena-base ragguagliata di due anni di reclusione e 91.250 Euro (365 giorni per 250 Euro), oltre alla multa di Euro 10.329. Il risultato (ragguagliato) di due anni e 101.579 di Euro eccede, pertanto, il minimo edittale previsto per il reato di cui all'art. 291-bis, comma 1, d.P.R. n. 43 del 1973.Inoltre, non si può prescindere dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, dichiarate prevalenti sulle aggravanti contestate, compresa quella di cui all'art. 291-ter, comma 2, lett. c) d.P.R. n. 43 del 1973 e successive modifiche. In adesione ad un recente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale comminata dalla legge, avendo però riguardo al reato ritenuto in concreto e all'eventuale giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti e attenuanti (Sez. 4, n. del 9/10/2007, Ferrentino, Rv. 238352).
In ogni caso, quand'anche si ritenesse di non attribuire rilievo al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, occorre considerare che l'imputazione formulata, priva della contestazione di una precisa ipotesi fra quelle disciplinate dall'art. 291-bis, fa specifico richiamo solo all'aggravante di cui al comma 1 di tale disposizione, laddove precisa che il reato di contrabbando è stato commesso adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato. Atteso che la circostanza aggravante ex art. 291-ter, comma 1 prevede soltanto un aumento della pena irrogata per il reato di cui all'art. 291-bis (reclusione da due a cinque anni e cinque Euro per ogni chilogrammo convenzionale), la pena-base di due anni e sei mesi di reclusione non viola il minimo edittale per il reato-satellite nella forma aggravata.