La legittima difesa è un istituto giuridico che, in determinate condizioni, rende lecito un comportamento previsto dalla Legge come reato.

L’art. 52 c.p. recita che “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

La legittima difesa presuppone uno stato di necessità, ravvisabile nei casi in cui non sia possibile evitare il pericolo se non con la reazione e l’esercizio della forza, con la dovuta precisazione che la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la possibilità di ricorrere alla forza tramite la legittima difesa, poiché chi agisce può ragionevolmente prevedere di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata (fra le tante, Cass., Sez. I, 7 dicembre 2007, n. 2911).

La reazione deve poi avere come obiettivo la difesa immediata di un diritto proprio o altrui, inclusi anche i diritti patrimoniali, da un pericolo incombente.

E’ sufficiente infatti che trascorra un’apprezzabile lasso di tempo tra l’offesa ricevuta e la reazione per esorbitare dalla legittima difesa e per configurare invece una illegittima aggressione.

L’offesa deve essere ingiusta cioè non consentita dall’ordinamento giuridico: è evidente che non si possa invocare la legittima difesa contro chi eserciti un diritto o adempia un dovere. Ciò equivale a dire che, ad esempio, non sarà legittima la reazione esercitata nei confronti di chi ci preceda nella fila alla posta, al cinema o al supermercato (in effetti noi subiamo un danno, un’offesa che però è giusta secondo l’ordinamento) o nei confronti di un agente di pubblica sicurezza che proceda legittimamente ad un arresto.

La difesa deve infine essere proporzionata. Sul requisito della proporzionalità, avvocato della difesa e della parte civile hanno sempre da scontrarsi.

Secondo un primo orientamento, la proporzionalità tra offesa e difesa sarebbe da valutare raffrontando i mezzi difensivi a disposizione dell’aggredito e quelli effettivamente adoperati: ben potrebbe, pertanto, un individuo anziano o portatore di handicap sparare al giovane ladruncolo per farlo desistere dal rubare i frutti sugli alberi.

La tesi dell’anziano che spara al ragazzo per difendere le mele, in effetti, lascia spazio ad una critica di fondo che è quella del mancato bilanciamento di valore tra beni giuridici aggrediti: nel caso di cui sopra, l’ordinamento giuridico consentirebbe la compressione – ed anzi la soppressione – del bene giuridico supremo (la vita) per la difesa di un bene giuridico di natura patrimoniale (la proprietà).

L’orientamento prevalente assume invece a termine di giudizio di proporzione il rapporto di valore tra i BENI e gli INTERESSI in conflitto.

I Giudici operano un bilanciamento tra il bene giuridico che viene minacciato e il bene giuridico leso, con la conseguenza che all’esercente la legittima difesa non è consentito di ledere un bene dell’aggressore che sia marcatamente superiore a quello posto in pericolo dall’iniziale aggressione illecita.

E, allora, ben si comprende come il principio di proporzionalità tra offesa e difesa vada operato in concreto e come non sia possibile in astratto disegnare una tabella o immaginare le combinazioni di beni giuridici per affermare quale debba prevalere sull’altro.

Questo è il cuore del problema perché - avendo di fronte un nemico che vuole aggredirci - non avremmo mai la certezza di quali siano i mezzi da usare e l’intensità lesiva da usare per poterci avvalere nel giudizio della legittima difesa.

D’altra parte, un brutto proverbio dice che è meglio un brutto processo che una bella morte.

Personalmente, per evitare sia il brutto processo che la bella morte, consiglio di evitare di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato e, se del caso, darsi immediatamente alla fuga appena se ne ravvisi la possibilità, pur potendo apparire ciò poco dignitoso.

Non ci possiamo nascondere dietro un dito: se qualcuno vuole ferirci o ucciderci, l’ultima cosa alla quale penseremmo è l’art. 52 del codice penale e ai criteri di bilanciamento da adottare.

E’ comunque interessante annotare quale sia l’orientamento del Giudice.

Si legge in alcune sentenze che occorre riferirsi alla distinzione tra conflitto tra beni omogenei e beni eterogenei; se il conflitto intercorre tra beni omogenei (ad es., integrità fisica contro integrità fisica) sarà agevole porre a confronto il rispettivo grado di lesività dell’azione aggressiva e dell’azione difensiva mentre laddove il conflitto intercorra tra beni eterogeni (ad es., vita contro patrimonio) il giudizio si complica.

In realtà, nel febbraio del 2006, nel lambito dell’onda emotiva causata dalle rapine in villa e dai furti negli esercizi pubblici, e  è stato aggiunto all’art. 52 del codice penale un secondo comma a mente del quale “Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma (violazione di domicilio), sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità :

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

La legittima difesa può ricorrere anche in forma putativa laddove, per un errore di fatto scusabile, l’autore ritienga di essere in pericolo senza che lo sia (un caso può essere quello dell’ombra di un presunto aggressore di notte ingigantita da un gioco di luci che costituisce in realtà quella di un normale individuo che indicava le stelle con un braccio): ebbene, in taluni casi è sufficiente a rendere lecito il comportamento la semplice presunzione di dovere difendere un proprio diritto da un pericolo che é solo presuntivamente incombente.

Il presupposto della legittima difesa putativa é, dunque, la ragionevole opinione (meglio, la ragionevole percezione della realtà), fondata non su dati meramente immaginari né semplicemente soggettivi, bensì su fatti e circostanze che - fondatamente e oggettivamente - lasciano presumere - secondo il giudizio che ne darebbe l’uomo medio in relazione alla peculiarità della specifica situazione in corso - una imminenza di pericolo per un diritto proprio od altrui non altrimenti evitabile.

Per la configurabilità della legittima difesa putativa è dunque necessario che l'agente provi di avere commesso il fatto per una falsa rappresentazione o percezione del reale dovuta ad errore di fatto incolpevole, nella giustificata convinzione di trovarsi in una situazione reale di pericolo attuale e, conseguentemente nella necessità di dover agire per difendere un diritto proprio o altrui .

Legittima difesa reale o putativa costituiscono causa di giustificazione a patto che la violenza esercitata si esaurisca nella necessità di difesa e non travalichi i limiti necessari e sufficienti a porre in salvo il proprio bene (vita o patrimonio); diversamente, non si configura più legittima difesa reale o putativa bensì eccesso di legittima difesa, nella forma colposa e dolosa.

In realtà, soltanto l’eccesso colposo può ancora ascriversi alla legittima difesa (si superano i limiti della difesa per negligenza, imperizia, superficialità) laddove l’eccesso volontario configura la coscienza e la volontà di superare ciò che è necessario alla difesa e si configura come atto volontario e pienamente autonomo rispetto all’aggressione.

In conclusione, fatevi il favore di salvarvi la vita a costo di apparire codardi!