Con la sentenza depositata il primo Luglio 2016, le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla possibilità di installare un software in grado di captare le conversazioni tra presenti.
E’ un tema assai importante, sopratutto nell’epoca moderna, dove strumenti di comunicazione come tabletsmartphone e pc portatili hanno assunto un ruolo predominante nella vita di tutti i giorni.
Infatti, oggi la tecnologia consente agli organi inquirenti di ascoltare a distanza ed in modo occulto le conversazioni tra privati attraverso l’installazione di trojan-horse su smartphonetablet e pc portatili, potendo quindi:
  • captare tutto il traffico dati sia in entrata che in uscita;
  • attivare il microfono e la webcam;
  • perquisire gli hard disk e di fare copia del loro contenuto;
  • decifrare tutto quello che viene digitato sulla tastiera e fotografare le immagini e i documenti visualizzati dallo schermo c.d. screenshot;
L’aspetto sul quale le Sezioni Unite si sono soffermate maggiormente – trattandosi di intercettazioni – è se il provvedimento con cui viene concessa l’installazione del trojan debba indicare a pena di inutiliazzabilità i luoghi in cui le captazioni devono essere eseguite, come affermato dalla sentenza Cass. Pen., Sez. VI, n. 27100/2015 Musumeci.
La possibilità di poter cogliere i colloqui tra presenti rientra nell’ambito delle c.d. intercettazioni ambientali, un mezzo di ricerca della prova conosciuto da tempo nel nostro ordinamento.
Ai sensi dell’art. 266, secondo comma, c.p.p. è consentita l’intercettazione tra presenti (quando si procede per i reati indicati al primo comma), tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., l’intercettazione è consentita solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
Il problema sorge poiché con l’installazione del virus su un dispositivo elettronico è possibile captare le conversazioni avvenute in abitazioni o luoghi privati che a mente dell’art. 266, comma secondo, c.p.p. possono essere eseguite solo se vi è fondato motivo di ritenere che sia in atto un’attività criminosa.
La probabilità che tale divieto venga infranto è molto alta dal momento che dispositivi come i telefoni cellulari o smartphone seguono il possessore in tutti i suoi spostamenti, tra i quali possono essere certamente ricompresi le abitazioni o qualsiasi altro luogo di privata dimora.
Da tali premesse il quesito di diritto rimesso alle Sezioni Unite “Se – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa – sia consentita l’intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone ecc.)”.
Come anticipato, il fulcro della questione è se il decreto di autorizzazione debba indicare (o meno) con precisione i luoghi in cui le intercettazioni devono essere eseguite.
In conclusione, il principio di diritto affermato dalle SS. UU. stabilisce che il provvedimento con cui il giudice autorizza l’installazione del captatore informatico nel device deve indicare in maniera specifica l’ambiente in cui devono essere eseguite le intercettazioni solo quando si tratti di luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p. con l’ulteriore limitazione che, in detti luoghi, ci sia fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo un’attività criminosa.
Quando si devono cogliere i dialoghi tra presenti in luoghi diversi da quelli di cui all’art. 614 c.p., invece, è sufficiente che il decreto autorizzativo indichi solo il destinatario della captazione e la tipologia di ambiente in cui deve essere eseguita.
In altre parole, sono stati adottati gli stessi criteri stabiliti per le intercettazioni ambientali c.d. “classiche”, senza utilizzo di virus.
Diverso è il caso di intercettazioni svolte in relazione a procedimenti per delitti di criminalità organizzata.
In questi casi, infatti, non è necessaria alcuna precisazione né dei luoghi, né tantomeno degli ambienti, ciò che rileva è che il giudice motivi adeguatamente le proprie determinazioni.
Tale deroga deriva dall’art. 13 del D.L. 152/1991 (convertito dalla legge 203/1991) che concede la possibilità di eseguire intercettazioni c.d. “ambientali” nei luoghi di privata dimora anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo attività criminosa.
La ragione di tale deroga è facilmente intuibile poiché si tratta di reati contraddistinti da un rilevante allarme sociale, tali da poter permettere anche una parziale compressione dei diritti costituzionalmente garantiti dagli articoli 14 e 15 della Costituzione.