La Cassazione, con sentenza del 28 agosto 2014 n. 36392, ha ribadito che la custodia cautelare in carcere rappresenta sempre e comunque l'estrema ratio, anche in presenza di un "grave quadro indiziario", da cui pure emerga che l'indagato abbia posto in essere una serie di violente aggressioni contro la moglie e i figli minori (nel caso esaminato, si procedeva per il reato di "maltrattamenti in famiglia").
In tali circostanze, infatti, il giudice deve prima di tutto valutare se possano essere applicate misure meno invasive ma ugualmente idonee, quali l'allontanamento dalla casa familiare.
Si tratta, infatti, di misure che devono essere modellate in relazione alle peculiarità della condotta illecita considerata, compito questo che spetta appunto al giudice in sede cautelare.
Il giudice, pertanto, potrà (e dovrà) stabilire le specifiche prescrizioni ritenute essenziali per raggiungere l'obiettivo cautelare e in ragione delle quali risulterà sufficientemente idonea la misura meno afflittiva rispetto alla custodia in carcere.
Ad esempio, specifica la Cassazione, nel provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il giudice penale "può prescrivere determinate modalità di visita del soggetto allontanato dalla abitazione coniugale, tenendo presenti le esigenze educative dei figli minori"; ancora, con il provvedimento di divieto di avvicinamento il giudice "deve individuare i luoghi ai quali l'indagato non può avvicinarsi e in presenza di ulteriori esigenze di tutela può anche prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e, addirittura, indicare la distanza che l'indagato deve tenere da tali luoghi o da tali persone".
Infine, spetta sempre al giudice vietare che l'indagato comunichi con la vittima, "indicando i mezzi vietati".
Qualora poi la frequentazione dei luoghi sia necessaria per motivi di lavoro, o esigenze abitative, "il giudice prescrive le modalità e può imporre specifiche limitazioni".