L’art 612 bis del codice penale recita infatti che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da

sei mesi a quattro anni”.

Volendo tralasciare l’ipotesi più grave della formulazione di una minaccia che infligga un grave disagio psichico ovvero determini un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina (condotte di vera e propria persecuzione), desidero invece soffermarmi su comportamenti - piuttosto diffusi - che l’amante abbandonato potrebbe orgogliosamente rivendicare ed ostentare come gesti di “semplice non desistenza” o di “caparbietà” o come “prove d’amore” ma che possono altresì costituire, a determinate condizioni, atti di molestia finalizzati a pregiudicare in maniera rilevante il modo di vivere dell’amata e tali da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita.

Ai nostri fini, é possibile pertanto circoscrivere[1] il reato di c.d. “stalking”, quando il presunto (e solo presunto) innamorato:

A) commetta, in danno della vittima, reiteratamente condotte di molestia,

tali
b.1) da cagionare alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di

paura;

ovvero
b.2) da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di

vita;

con la dovuta precisazione che, una volta accertato che la condotta costituisce molestia e che la molestia é ripetuta, il perdurante e grave stato di ansia o di paura e la necessità di alterare le abitudini di vita costituiscono conseguenze tra loro alternative, capaci tutte e ciascuna di integrare il reato in discussione.

A) La molestia.

Per comprendere cosa sia la molestia, potrebbe essere utile richiamarsi alla giurisprudenza sviluppatasi relativamente alla contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. in base alla quale sono tali quei comportamenti che consistono in un’insistente ed inopportuna interferenza nell’altrui sfera di libertà, produttiva di una fastidiosa intromissione nella vita privata della vittima. Tanto basterebbe per concludere che inopportuni e fastidiosi sono tutti quei comportamenti che risultano tali agli occhi della vittima ed é per questa ragione che la Legge non fornisce un elenco di condotte penalmente rilevanti. Sicuramente, rientrano nella condotta di molestia i pedinamenti della vittima dalla propria casa al luogo di lavoro, gli appostamenti sotto la casa familiare, alla fermata dell’autobus, l’invio di numerosi sms, le ripetute telefonate[2] mute e l’invio di messaggi su social network.[3]

La condotta penalmente rilevante, quanto alla molestia, è costituita quindi da una condotta a forma libera connotata dall’intrusione fastidiosa nella sfera individuale altrui.

Quando l’intrusione é fastidiosa? La risposta é semplice: quanto una condotta é percepita come intrusione significa che il gesto non é gradito e che, di conseguenza, l’autore deve sentire il campanello d’allarme.
Se fosse gradita non sarebbe intrusione bensì interessamento, partecipazione, empatia, etc...

B) La reiterazione della molestia.

La molestia é considerata reiterata quando si realizzino - quanto meno - due atti di minaccia o di molestia[4], purché abbiano indotto un perdurante stato di ansia o di paura nella vittima ovvero il costringimento a modificare le proprie abitudini di vita.[5]

C) Il perdurante e grave stato di ansia o di paura.

Il Tribunale di Milano[6] ha osservato che, in tema di stalking, il concetto di perdurante e grave stato di ansia o di paura non si riferisce ad uno stato patologico (oggetto di valutazione medico-legale) bensì a conseguenze sullo stato d'animo della persona offesa (come, ad esempio, al sentimento di esasperazione e di profonda prostrazione concretamente accertabile e non transitorio), in quanto rappresentano la conseguenza di una vessazione continuata che abbia sostanzialmente comportato un mutamento nella condizione di normale stabilità psicologica del soggetto.

Anche la Corte di Cassazione ha confermato sussiste il perdurante e grave stato di ansia o di paura anche in assenza della prova della causazione di una patologia della vittima, poiché l’ansia coincide con l’apprensione e con lo stato d’animo derivante dall’essere fatti oggetto, per un lungo periodo, di una condotta di grave intromissione nella propria vita privata, di perdurante turbativa del riposo e della tranquillità e che, avuto riguardo alle modalità della condotta e della sua reiterazione, il danno può essere provato e risarcito anche sulla base di presunzioni.

D) La necessità per la vittima di alterare le proprie abitudini di vita.

La fattispecie ricorre quanto, al fine di evitare la molestia, la vittima é costretta a modificare il proprio stile di vita – personale o lavorativo – e ad alterare la routine della propria giornata tipo[7], poiché provata nella serenità e nell'equilibrio.

In conclusione, una cosa é un sano desiderio di riconquista – perseguito, magari, anche con comportamenti goliardici -, altro é la negazione della personalità dell’individuo tramite strategie - più o meno volontarie e consapevoli – di moleste intromissioni e coartazione dell’altrui quotidianità e

serenità.
Per comprendere la differenza tra amore e possesso – che segna poi il discrimine tra riconquista e persecuzione – occorre in conclusione porsi questa domanda:”Ma come mi sentirei IO se mi trovassi dall’altra parte?”.
Insomma, giocatevela con le armi che avete e, se la donna o l’uomo che amate vi respinge, allora fermatevi a riflettere e allora pettinatevi, curatevi, fatevi la barba oppure la french, siate ordinati nel vestire e nel mangiare, guardatevi allo specchio e sorridete soddisfatti perché siete forti e perché l’amore più grande deve ancora arrivare.



[1] Cassazione penale, 22 giugno 2010), n. 34015

[2] 68 telefonate nell'arco di 50 ore oppure quattro telefonate di pochi secondi nel giro di quattordici minuti.

[3] Tra le tante, Cass., 27 novembre 2008, n. 4623; Cass. 9 aprile 2008, n. 17787.

[4] Trib. Reggio Emilia, Sez. G.I.P, 12 marzo 2009; Trib. Milano, 31 marzo 2009, n. 595; Trib. Milano, 17 aprile 2009, n. 770.

[5] Cass. Pen., 02/03/2010, n. 25527

[6] Trib. Milano, 17 aprile 2009.

[7] Appello Milano, 27 settembre 2011 che si pronuncia si di una vicenda di persecuzione durata 5 anni (ma, come abbiamo visto, il termine può essere anche più breve) e di cui ritrascrivo la parte motiva relativa al capo di imputazione b) “612 bis c.p.”, imputato perché, con costante ed ossessiva condotta persecutoria protrattasi nel tempo, e nonostante i ripetuti richiami delle forze dell'ordine e le precedenti denunce sporte dalla vittima, minacciava Caia, procurandole fondati timori per l'incolumità personale propria e dei familiari, e costringendola a modificare le proprie abitudini.

In estrema sintesi, Caia riferiva di avere trovato sul parabrezza dell'auto un biglietto di un ignoto corteggiatore - cui peraltro non aveva dato peso - e che, da quel giorno, aveva ricevuto sistematiche telefonate, inizialmente "mute" e poi individuate come riferibili a Caio mediante il servizio di rintraccio della chiamata.

Caia aveva poi riconosciuto Tizio in quanto vicino di casa dei genitori e aveva notato che - con frequenza pressoché quotidiana - questi si "appostava" di fronte alla sua abitazione.
In altre occasioni, aveva notato di essere seguita in auto; altre volte, Tizio aveva adottato particolari comportamenti per farsi vedere e notare (ndr marcato narcisismo), al punto che - dopo essere stata avvicinata con fare provocatorio (ndr segni di violenza) - si era decisa a denunciare l'accaduto.

Peraltro, anche successivamente, Tizio aveva persistito, tanto che Caia aveva iniziato a nutrire timore di uscire di casa; le continue telefonate, spesso pervenute anche sul posto di lavoro, l'avevano indotta a cambiare il numero di telefono.

Tizio aveva allora iniziato a telefonare alla madre per chiederle informazioni sul suo conto e aveva continuato a seguirla in auto; l'aveva anche avvicinata pretendendo di uscire insieme per chiarire tutto.

A questo punto, Caia si era vista costretta a non uscire più da sola, facendosi sempre accompagnare dal marito, a ricorrere ad espedienti per evitare di essere seguita, ed anche a rinunciare a recarsi in determinati luoghi.

La denunciante aveva inoltre ricevuto scritti anonimi contenenti apprezzamenti, richieste di incontri e anche pesanti ingiurie; dopo essere stata seguita, Caia aveva trovato Tizio che l’attendeva al lavoro e l’aveva poi visto in attesa davanti alla propria abitazione.

La sentenza del Tribunale viene confermata dalla Corte d’Appello che:

·       ribadisce la positiva valenza accusatoria delle dichiarazioni di Caia, dalla quale non risulta né veniva motivatamente prospettato alcun interesse a false accuse ed il cui racconto era soggettivamente credibile ed anche riscontrato documentalmente e per testi, si da costituire elemento di prova essenziale ma non certo esclusivo;

·       ribadisce la positiva valenza probatoria dei conformi racconti dei familiari, nei limiti ovviamente di quanto loro riferito dalla persona offesa;

·       ribadisce la positiva valenza probatoria delle dichiarazioni rese da testi "neutri" quali una collega di lavoro, negli appunti manoscritti, le cui - talvolta confuse - annotazioni erano semmai sintomatiche dell'alterato stato d'animo;

·       esclude efficacia scriminante alle eventuali "provocazioni" di Caia, in quanto smentite dalle denunce per le molestie subite ad opera di Tizio;

·       osserva che il farsi accompagnare od il demandare ad altri eventuali incombenze per timore di uscire di casa da sola, l'escludere l'abituale frequentazioni di alcuni luoghi o l'adottare cautele negli spostamenti necessari, il cambiare infine il numero di telefono - dopo la presentazione di plurime denunce -, costituiscono indubbiamente evidenti manifestazioni, per un verso, di un perdurante e grave stato d'ansia e di timore, e, per altro verso, di una coartata alterazione delle abitudini di vita, a nulla rilevando che, per ovvi motivi, Caia continuasse a recarsi al lavoro o che la condotta di Tizio non avesse mai assunto connotazioni violente;

·       esclude l’asserita buona fede di Caio, in considerazione dell'oggettiva invasività sistematica della propria condotta, come tale inevitabilmente percepibile, tanto più a fronte delle ripetute diffide della persona offesa.