Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 51.

Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d'ufficio.
Si commette il reato di minaccia con ogni manifestazione esterna a mezzo della quale, a fine intimidatorio, venga rappresentato ad un soggetto il pericolo di un male ingiusto che, in un futuro più o meno prossimo, possa essergli causato dal colpevole, o da altri per lui, nella persona o nel patrimonio. Ovviamente, se si prospetta un qualcosa di assolutamente generico, occorre che il contesto della vicenda e i rapporti tra le parti, e cioè la situazione di fatto, del momento, rendano evidente l'ingiustizia del danno futuro che viene prospettato. Si può commettere il reato di minaccia con ogni mezzo e con ogni comportamento. E’ necessario però che essi siano idonei a suscitare, in chi li subisce, il timore o la preoccupazione di dover sopportare o soffrire un male ingiusto. Non è indispensabile quindi che la persona destinataria resti effettivamente intimidita.
Se si è sottoposti ad indagine per il reato di minaccia, è necessario nominare un avvocato penalista di fiducia, affinché possa verificare la fondatezza dell’accusa, gli elementi raccolti a carico e scegliere la miglior strategia difensiva possibile, magari svolgendo indagini difensive. Sarà utile verificare, con il supporto del legale, se effettivamente il fatto di cui si è accusati possa rientrare nella descrizione fatta dal codice penale e sia quindi qualificabile come reato. Se mancano degli elementi formali o sostanziali, infatti, il reato potrebbe non sussistere.
Il reato di minaccia è procedibile a querela; se la minaccia è particolarmente grave o è stata posta in essere con armi, o da più persone riunite, o da persone che si siano rese irriconoscibili perché “travisate”, non c’è bisogno di querela: si procede d’ufficio, bastando cioè che il magistrato abbia ricevuto in qualunque modo notizia del fatto. 
Il reato sussiste anche se la persona offesa non è presente; infatti, non occorre che la minaccia si realizzi in presenza della persona offesa. E’ solo necessario che questa ne sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone, in un contesto spaziale, temporale o inter-personale che faccia ritenere che l'agente abbia la volontà di produrre l’effetto intimidatorio. Si pensi al caso, ad esempio, in cui la minaccia sia esternata appositamente a persona legata al soggetto passivo da relazioni di parentela, amicizia e di lavoro, e che in quanto tale certamente riferirà al diretto interessato. 

La gravità della minaccia, che fa scattare l’ipotesi del secondo comma dell’articolo 612 del codice penale (che punisce con la reclusione e non con la multa) non dipende unicamente dalla gravità del danno minacciato, ma va accertata con riferimento all'entità del turbamento psichico causato alla vittima. Questa entità deve valutarsi tenendo conto di tutto l’insieme delle circostanze e delle particolari condizioni sia dell'agente che della persona offesa. (In un caso di cronaca, il Giudice aveva infatti escluso che la frase "io ti ammazzo" integrasse gli estremi della minaccia grave, sia perché era stata pronunciata nel contesto di una lite coniugale sia perchè la stessa destinataria della minaccia aveva riferito di non averla reputata seria ed attendibile). L'impossibilità di realizzare il male minacciato esclude il reato solamente qualora si tratti di impossibilità assoluta, non anche quando la minaccia sia comunque idonea ad ingenerare un timore nel soggetto passivo e ad incidere sulla sua libertà morale.