L’attività di ricerca consente frequentemente di pervenire a delle nuove soluzioni di uno specifico problema tecnico suscettibili di avere un’applicazione nel settore della produzione di beni e/o di servizi.
Il brevetto è il titolo giuridico che conferisce al titolare il diritto esclusivo e temporaneo di produrre, utilizzare e vendere questa nuova soluzione tecnica nello stato in cui il brevetto è stato richiesto e successivamente concesso.
Nel brevetto risultano compresenti due diversi diritti: a) lo sfruttamento commerciale dell’invenzione e b) l’impedimento a terzi di produrre o commercializzare la stessa senza il consenso del titolare.
Nello specifico, il soggetto che abbia ottenuto un brevetto potrà disporre in via esclusiva a) se oggetto del brevetto è un prodotto, del diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione; b) se oggetto del brevetto è un procedimento, del diritto di vietare ai terzi, senza autorizzazione, di applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto ottenuto con il procedimento in questione.
È bene precisare, in considerazione dell’accenno sopra esposto, che le idee inventive sono distinte in tre categorie:
a) invenzioni di prodotto, che hanno ad oggetto un nuovo prodotto materiale (es. un macchinario);
b) invenzioni di procedimento, che, secondo il testo dell’art. 2585 c.c., possono consistere in un nuovo metodo di produzione di beni già noti, in un nuovo processo di lavorazione industriale, in un nuovo dispositivo meccanico;
c) invenzioni derivate, che sono una derivazione di una precedente invenzione. Queste si diversificano, a loro volta, in invenzioni di combinazione (combinazione di altre invenzioni così da ricavarne un trovato tecnicamente nuovo), in invenzioni di perfezionamento (miglioramento di un’invenzione precedente attraverso la sua modifica) e in invenzioni di traslazione (nuovo utilizzo di una sostanza o di una composizione di sostanze già note).
I trovati suddetti possono diventare oggetto di brevetto solo se abbiano specifici requisiti, quali la liceità, la novità, l’attività inventiva e l’industrialità.
Dei suddetti presupposti sono meritevoli di alcune note i seguenti.
Un’invenzione è considerata nuova se non rientra nello “stato della tecnica”, ovvero tutto ciò che sia comunque accessibile al pubblico, in Italia o all’estero, prima della data di deposito della domanda di brevetto (art. 46 c.p.i). Per verificare con esattezza il carattere di novità dell’invenzione sono opportune accurate ricerche di anteriorità, mediante le quali si ha la possibilità di a) dettagliare i contenuti delle rivendicazioni, b) di evitare conflitti con brevetti di terzi, c) di acquisire un significativo patrimonio di conoscenze, d) di ottimizzare gli sforzi e i fondi dedicati alla ricerca, e) di individuare quanti già operano nell’ambito della soluzione proposta che possono rappresentare
potenziali licenziatari o concorrenti.
L’attività inventiva, invece, sussiste quando ad una persona esperta del ramo l’invenzione non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica (art. 48 c.p.i.).
L’invenzione deve essere originale ed emergere nell’ambito di un momento creativo, senza che possa essere ovvia ad una persona esperta del ramo a cui l’invenzione appartiene. La stima dell’attività inventiva, spesso complessa, deve considerare lo stato della tecnica più vicino, individuando il problema oggettivo a cui l’invenzione intende dare soluzione e valutando l’originalità della soluzione proposta.
L’industrialità, infine, è insita in un’invenzione che può essere fabbricata o utilizzata in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola (art. 49 c.p.i.). Vanno pertanto esclusi dalla brevettabilità quei trovati che non siano suscettibili di sfruttamento industriale.
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Il titolare di un brevetto ottiene una tutela giuridica che ha un contenuto sia morale che patrimoniale.
Da un lato, egli ha diritto ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione (art. 62 c.p.i.) e, dall’altro, può sfruttare economicamente in via esclusiva il proprio trovato. Quest’ultimo diritto è trasferibile a terzi (art. 63 c.p.i.).
Il brevetto ha una durata di vent’anni a decorrere dalla data del deposito della domanda presso l’Ufficio Brevetti e non può essere rinnovato alla scadenza. Ne consegue che allo scadere della termine ventennale l’uso della soluzione inventiva è libera. È possibile perdere prima della scadenza del termine suddetto il diritto di esclusiva qualora sia dichiarata la nullità del brevetto (art. 76 c.p.i.) o sia sopraggiunta una causa di decadenza dello stesso (art. 70 c.p.i.).
In sintesi, la legge concede, su domanda e previo pagamento delle tasse di deposito e mantenimento, una posizione di esclusiva per l’attuazione e lo sfruttamento dell’invenzione, fatte salve alcune forme di libera utilizzazione dell’invenzione da parte di terzi per scopi privati e non commerciali (art. 68, comma 1, c.p.i.).
L’esclusiva comprende non solo la fabbricazione, ma anche il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione si riferisce (art. 66, comma 2, c.p.i.). In ambito commerciale l’esclusiva si esaurisce con la prima immissione in circolazione del prodotto brevettato.
La concessione del brevetto presuppone il deposito di una specifica domanda di brevetto. La redazione di tale domanda è un passaggio molto delicato, in quanto è di assoluta importanza che le rivendicazioni dell’inventore siano scritte in modo completo e chiaro consentendo a una persona esperta del ramo di attuarla. La domanda può contenere una sola invenzione o un gruppo di invenzioni costituenti un unico concetto inventivo. Infine, la domanda di brevetto, in sede di estensione internazionale, non può essere modificata così che il suo oggetto si estenda al di là del contenuto della prima domanda depositata.
Trascorsi diciotto mesi dalla data di deposito, la domanda di brevetto viene resa pubblica ed entra a far parte dello stato della tecnica, ovvero viene inserita tra le conoscenze a disposizione della collettività. I tempi per la pubblicazione possono, eventualmente, essere ridotti per volontà espressa del titolare a novanta giorni dalla data di deposito. Il periodo di segretezza di diciotto mesi, non derogabile a meno di novanta giorni, è riservato all’autorità militare per verificare il proprio interesse sul trovato e può rappresentare un utile intervallo temporale per il titolare della domanda per mettere a punto le strategie commerciali di sfruttamento dell’invenzione, oltre che quelle di tutela della stessa.
Allo scopo di garantire un compenso per gli investimenti necessari al conseguimento dei nuovi risultati, l’ordinamento riconosce il diritto di uso esclusivo dell’invenzione per un certo intervallo temporale, ma dall’altro chiede come contropartita la messa a disposizione della collettività del contenuto del brevetto, così da favorire la diffusione della conoscenza, quale vettore di sviluppo e crescita economica e sociale.
Indipendentemente dall'oggetto dell'invenzione, il diritto di utilizzo esclusivo dato dal brevetto non si estende agli atti compiuti in ambito privato, purché non a fini commerciali, e all’impiego delle soluzioni brevettate a fini di sperimentazione e di ricerca scientifica. È altresì ammessa la preparazione estemporanea di farmaci su ricetta medica.
Oltre ai casi appena richiamati di uso lecito e consentito di brevetti altrui, non compie alcuna violazione chi gode del diritto di preuso, che consiste nella possibilità per chiunque, che nel corso dei dodici mesi anteriori alla data di deposito di una domanda di brevetto o anteriormente alla data di priorità, abbia fatto uso nella propria azienda dell'invenzione poi oggetto della domanda di un terzo, di continuare ad usarla nei limiti del preuso dimostrato.
Tale facoltà è trasferibile soltanto insieme all'azienda in cui l'invenzione viene utilizzata.
La prova del preuso e della sua estensione è a carico del preutente. L’ordinamento garantisce così il soggetto che ha impiegato nella propria azienda, mantenendola segreta, una soluzione tecnica successivamente brevetta da altri.
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Non soddisfano i requisiti richiesti e non sono perciò tutelabili con brevetto le creazioni estetiche; le teorie scientifiche, leggi fisiche, scoperte, formule e metodi matematici, presentazioni di informazioni, codici di scrittura, metodi relativi ad attività mentali (es. metodi di apprendimento), i programmi per elaboratori o regole di gioco; i metodi commerciali e pubblicitari; i metodi di chirurgia, diagnostici o terapeutici applicati al corpo umano o agli animali.
Le fattispecie di esclusione sopra indicate non escludono la brevettabilità di prodotti, dispositivi o soluzioni tecniche che si avvalgano di dette teorie, formule, leggi, scoperte o programmi; infatti anche se una scoperta scientifica non è brevettabile in quanto tale, può trovare tutela il suo utilizzo pratico o il procedimento individuato.
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Sul tema delle invenzioni dei ricercatori dell’università e degli enti pubblici di ricerca il legislatore è intervento in diverse occasioni a decorrere dal 2001.
L’art. 7 della Legge n. 383/2001, c.d. Tremonti-bis, modificando la previsione normativa secondo cui l’invenzione apparteneva di regola al datore di lavoro, stabiliva, con conseguente innovazione del testo dell’art. 24 bis del regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127, che il ricercatore era il titolare esclusivo del brevetto. A seguito di tale riconoscimento, il ricercatore aveva il dovere di depositare il brevetto e di avvertirne l’amministrazione.
Il comma 2 dell’art. 24 bis aggiungeva poi che spettava alle Università determinare l’importo massimo del canone delle licenze concesse a terzi. Del canone delle licenze al ricercatore era riconosciuto non meno del cinquanta per cento.
Le suddette previsioni suscitarono però diverse perplessità dal punto di vista applicativo.
Da un lato, non si comprendeva se fosse l’Università che agisse verso i terzi committenti e i licenziatari oppure se dovesse limitarsi a stabilire la percentuale di sua spettanza, dall’altro, nella prassi, come indicato nella Relazione della Commissione di riforma del Codice di proprietà industriale, si riscontrava l’inerzia dei ricercatori o dei dipendenti della struttura pubblica ad attivarsi per conseguire la titolarità del brevetto e per ottenere lo sfruttamento economico dell’invenzione.
Nonostante i dubbi suddetti, l’attuale impianto normativo contenuto nel Codice della proprietà industriale non prevede, in materia di invenzioni dei ricercatori universitari, delle innovazioni rispetto all’ultima riforma del 2001, ad eccezione della deroga inerente alle ricerche finanziate da soggetti privati.
Le suddette premesse ci consentono di poter approfondire il contenuto dell’art. 65 c.p.i., norma che disciplina le invenzioni dei ricercatori dell’università e degli enti pubblici di ricerca.
Il presupposto della sua applicazione è individuato nel primo comma (“in deroga all’articolo 64”, che riguarda le invenzioni dei dipendenti): il rapporto di lavoro deve intercorrere con una università o con una pubblica amministrazione avente tra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca.
Lo stesso primo comma precisa che il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In caso di più autori i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali salvo diversa pattuizione.
L’inventore presenta la domanda di brevetto e ne dà comunicazione all’amministrazione.
Come si nota il legislatore ha mantenuto inalterato il dispositivo introdotto con la riforma del 2001 nonostante le difficoltà applicative riscontrate.
Il ruolo delle Università e delle pubbliche amministrazioni è definito dal secondo comma dell’art. 65 c.p.i.. Esse hanno il compito di stabilire l’importo massimo del canone inerente alle licenze a terzi per l’uso dell’invenzione, spettante alla stessa università o alla pubblica amministrazione ovvero a privati finanziatori della ricerca nonché ogni ulteriore aspetto dei rapporti reciproci. All’inventore è riconosciuto il diritto a non meno del cinquanta per cento dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione (art. 65, comma 3, c.p.i.). Nel caso in cui le università o le amministrazioni pubbliche non provvedano alle determinazioni di cui al comma 2, alle stesse compete il trenta per cento dei proventi o canoni.
Il quarto comma dell’art. 65 c.p.i. contiene specifiche prescrizioni in merito al cd. onere di attuazione con riconoscimento del diritto allo sfruttamento economico dell’invenzione a favore dell’ente. Infatti, decorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla loro volontà, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore.
L’ultimo comma dell’art. 65 c.p.i. prevede una deroga all’applicazione delle sue disposizioni precedenti in caso di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati ovvero realizzate nell’ambito di specifici rapporti di ricerca finanziati da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore.
Ciò significa che nell’ipotesi di cui al comma 5 la titolarità del brevetto spetta all’Università che potrà negoziarlo liberamente col committente.
Dalla lettura delle norme contenute nell’art. 65 c.p.i. si può dedurre che il legislatore abbia voluto sia incentivare i ricercatori a conseguire risultati brevettabili in vista di un possibile beneficio economico (comma 1) sia agevolare i finanziatori privati ad investire in ricerca, contrattando con l’Università gli aspetti economici e la proprietà dei risultati (comma 5).
Questi due interessi vanno equilibrati nel caso di ricerche finanziate in quanto il comma 5 non chiarisce se in questo caso al ricercatore sia riconosciuto il diritto all’equo premio (art. 64, comma 2, c.p.i) e quindi spetterà all’Università prevedere nel contratto col finanziatore un compenso per il ricercatore al fine di non neutralizzare l’effetto incentivante di cui al comma 1.
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In conclusione, quali sono le ragioni che devono spingere a depositare un brevetto in sede univeristaria.
Si ritiene che, in tale ambito, il brevetto possa essere vantaggiosamente utilizzato al fine non solo di escluderne altri dalla titolarità, ma anche e soprattutto per concederne lo sfruttamento a terzi o per dar vita ad uno spin off.
L’impresa può acquisire dall’Università i risultati brevettati raggiunti a conclusione di un progetto di ricerca per applicarli concretamente in un nuovo prodotto/servizio da immettere sul mercato. Operativamente questa finalità può essere perseguita mediante la stipulazione di accordi di cessione e/o licenza del brevetto o di cessione del know how.
Molto interessante può essere l’opzione di costituire uno spin off utilizzando il brevetto.
Si tratta di una nuova società che si fonda esclusivamente sul contributo di docenti e ricercatori attraverso l’attività sviluppata dagli stessi fondatori. A questa nuova entità saranno conferiti, anche in via gratuita, i diritti sui risultati delle ricerche e/o sui brevetti dell’Università. Quest’ultima riceverà in cambio gli eventuali ritorni economici (partecipazione ai proventi derivanti da sfruttamento dei brevetti, licenze). In tale ipotesi la titolarità della proprietà intellettuale dei risultati della ricerca attivata dallo spin off apparterrà allo stesso.
Avv. Marco De Paolis – Avvocato in Brescia