Il trasferimento di azienda L’art. 32 del D. L.vo n. 276/2003 ha modificato il comma 5 dell’art. 2112 c.c. affermando che “per trasferimento di azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità dell’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Le disposizioni trovano applicazione anche al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento La valutazione della autonomia funzionale va effettuata al momento del trasferimento, a prescindere dalla tipologia contrattuale adoperata (cessione, affitto, usufrutto, ecc.). Quando vi è il trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa cambia il titolare dell'attività e quindi cambia il datore di lavoro. La legge tutela il lavoratore con alcune disposizioni specifiche e prevede che in caso di trasferimento: 1.     il rapporto di lavoro non si estingue, ma continua con il nuovo titolare dell'azienda; il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano; 2.     il lavoratore può chiedere al nuovo datore di lavoro il pagamento dei crediti da lavoro che aveva maturato al momento del trasferimento; il nuovo datore di lavoro è pertanto obbligato in solido con il vecchio titolare per tali crediti; 3.     nel caso di stipulazione di un contratto d'appalto tra azienda d'origine e ramo trasferito, il lavoratore dipendente di questo ultimo può agire in giudizio direttamente nei confronti dell'azienda di origine per obbligarla al pagamento dei debiti che questa ha contratto con il ramo trasferito; 4.     il nuovo titolare deve continuare ad applicare il contratto collettivo nazionale, in vigore al momento del trasferimento, fino alla sua scadenza; a meno che non siano sostituiti da altro contratto collettivo dello stesso livello applicato nella sua impresa. 5.     il trasferimento d'azienda non costituisce motivo di licenziamento; il lavoratore (art. 2112, comma 2, c.c.), può consentire la liberazione del cedente attraverso un accordo sottoscritto in sede sindacale o presso la commissione di conciliazione istituita presso la Direzione provinciale del Lavoro.   Se per effetto del trasferimento, c’è stata una sostanziale modifica nelle condizioni di lavoro, è possibile per il lavoratore dimettersi .Ovviamente, qualora le dimissioni siano motivate da un complessivo peggioramento delle condizioni di lavoro, il datore di lavoro potrebbe subirne gli effetti sul piano giudiziale. Il comma 1 dell’art. 47 della L. 428/90 ha stabilito che quando si intende effettuare un trasferimento d’azienda in cui siano occupati più di 15 lavoratori, l’alienante e l’acquirente devono darne comunicazione scritta, almeno 25 giorni prima, alle rappresentanze sindacali, costituite ex. art. 19 St. Lav., e alle rispettive associazioni di categoria. Ove le rappresentanze sindacali lo richiedano per iscritto, l’alienante e l’acquirente sono tenuti ad avviare un esame congiunto della situazione con le forze sindacali richiedenti. Il contenuto dell’informativa deve riguardare la data del trasferimento, le motivazioni, le conseguenze giuridiche per i lavoratori e le misure previste nei loro confronti. va effettuata prima che i lavoratori vengano lesi dal trasferimento nelle loro condizioni di impiego e di lavoro. Come detto, l’art. 2112 c.c. dispone che “in caso di trasferimento d’azienda il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”. Una deroga a tale norma è introdotta dall’art. 47 co.5 della L. 428/90 in riferimento ad aziende o unità produttive di cui sia stato accertato lo stato di crisi aziendale o imprese sottoposte a procedure concorsuali. Nell’ipotesi di trasferimento di dette imprese, qualora via sia un accordo sindacale per il mantenimento dei posti di lavoro, si consente in relazione ai lavoratori il cui rapporto continua con l’acquirente, la disapplicazione dei principi di continuità e di responsabilità solidale dell’art. 2112 c.c. e ciò per non gravare di ulteriori oneri l’acquirente di un’impresa già economicamente sofferente. Il fallimento del datore di lavoro Il forza dell’art. 2119 ultimo comma, il fallimento dell’imprenditore e la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda in crisi non costituiscono giusta causa di licenziamento. I rapporti di lavoro continuano con il curatore del fallimento il quale può effettuare licenziamenti solo qualora ricorrano giustificati motivi oggettivi. Morte o estinzione del datore di lavoro Nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona fisica, il rapporto di lavoro continua con i suoi eredi o legatari. Nel caso di estinzione della persona giuridica, il rapporto di lavoro continua con i liquidatori ma in determinati casi (es. società costretta a chiudere per un consistente calo nelle vendite) la messa in liquidazione della società potrà accompagnarsi al licenziamento collettivo dei lavoratori.