La retribuzione costituisce, secondo la definizione generale desumibile dagli artt. 2094 e 2099 c.c., l'obbligazione fondamentale a cui il datore di lavoro è tenuto nei confronti del prestatore. La sua determinazione è rimessa  in una norma costituzionale, l'art. 36, co. I". Questa norma testualmente recita "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa". Nonostante la genericità dell'art. 36, co. I, Cost., è possibile individuare il significato:
  • sia del criterio della proporzione, in virtù del quale la retribuzione deve essere determinata secondo un criterio oggettivo di equivalenza alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, per cui la sua commisurazione dipende non soltanto dalla durata e dall'intensità della prestazione, ma anche dal tipo di mansioni espletate e dalle loro caratteristiche intrinseche;
  • sia del criterio della sufficienza, che corregge o almeno tempera il rigido criterio proporzionalistico, rispetto al quale assume un'importanza maggiore; in base al criterio della sufficienza, la misura della retribuzione deve oltrepassare il minimo vitale o di sussistenza, al fine di assicurare un livello di vita sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa non soltanto al prestatore come singolo, ma pure alla sua famiglia;
  • infine, correlativamente al disposto dell’art. 2099 c.c., del criterio della determinatezza o determinabilità: in caso di riconosciuta incongruità del trattamento economico previsto per il lavoratore subordinato da un contratto individuale di lavoro, il giudice ben può adeguare il trattamento stesso ricorrendo ai parametri stabiliti nella contrattazione collettiva di categoria, anche se essa non è direttamente applicabile al caso di specie.
Altri caratteri della retribuzione, desumibili dall’art. 2099 c.c., sono:
  • l’obbligatorietà, in quanto trattasi di un diritto irrinunciabile del lavoratore;
  • la corrispettività, in quanto trova la sua causa nel rapporto di lavoro;
  • la continuità, dal momento che la retribuzione spetta per tutta la durata del rapporto di lavoro.
  L'art. 36, Cost., ha innanzitutto natura programmatica, in quanto vincola il legislatore a stabilire, con provvedimenti del Governo o con appositi meccanismi procedurali di carattere amministrativo, il salario minimo spettante al lavoratore. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico, non è mai stata emanata una legislazione determinatrice dei minimi salariali, per cui la giurisprudenza riconosce all'art. 36, Cost., oltre che la natura di norma direttiva, anche una funzione precettiva, considerandola direttamente vincolante nei confronti dell'autonomia privata. In altri termini, i giudici affermano che, in assenza di determinazione convenzionale della retribuzione o nell'ipotesi in cui la retribuzione pattuita sia insufficiente, il datore deve corrispondere un emolumento equivalente alla retribuzione minima prevista nei contratti collettivi di categoria o del settore produttivo di appartenenza del lavoratore, integrando i medesimi il requisito della sufficienza voluto dall'art. 36, Cost.. Per tale via, si realizza l'estensione erga omnes delle norme dei contratti collettivi riguardanti le tariffe salariali, che si applicano, infatti, in tal modo, anche ai prestatori dipendenti da imprese non aderenti alle associazioni sindacali. L’obbligo retributivo caratterizza il rapporto di lavoro come rapporto oneroso di scambio o a prestazioni corrispettive. La corrispettività è un carattere tradizionalmente attribuito alla retribuzione, in quanto essa costituisce la prestazione del datore strutturalmente e funzionalmente correlata alla esecuzione della prestazione di lavoro. Gli elementi della retribuzione La retribuzione presenta una struttura composita perché si compone di vari elementi, quali:
  • la paga base, il cui ammontare è fissato dai contratti collettivi per l'orario normale di lavoro, corrispondentemente alle varie categorie e qualifiche. Ad essa si aggiungono i c.d. scatti di anzianità, aumenti percentuali della retribuzione, previsti dalla contrattazione collettiva, con frequenza generalmente biennale;
  • le attribuzioni patrimoniali accessorie, previste dai contratti collettivi ed individuali, consistenti, nella maggior parte dei casi, in attribuzioni corrisposte, in aggiunta alla paga base, in maniera saltuaria o, più spesso, continuativa. Rientrano nella categoria:
    • i superminimi, incrementi collettivi od individuali che corrispondono a quella parte di retribuzione che supera i minimi tariffari;
    • le maggiorazioni per il lavoro straordinario, notturno e festivo;
    • le gratifiche (si pensi, ad esempio, alla tredicesima mensilità o gratifica natalizia);
    • i premi di produzione o di rendimento.
Il principio di omnicomprensività della retribuzione Problema particolarmente discusso in dottrina ed in giurisprudenza è quello dell'individuazione delle attribuzioni patrimoniali da far rientrare nel concetto giuridico di retribuzione. Esso inerisce alla sussistenza o meno, nel nostro ordinamento, del principio di onnicomprensività della retribuzione, per il quale essa ricomprende non solo il compenso che costituisce il diretto corrispettivo della prestazione lavorativa, ma anche tutti gli emolumenti che presentano carattere continuativo, periodico o costante nel tempo. Tale principio non è privo di risvolti sul piano pratico: primo fra tutti, quello dell'individuazione delle erogazioni che possono essere prese in considerazione per il calcolo di istituti che assumono la retribuzione come base di computo. La giurisprudenza era, in passato, nel senso della omnicomprensività della retribuzione, sostenuta sulla base di una congerie di argomentazioni, delle quali la più rilevante era quella dell'applicazione estensiva dell'art. 2121, c.c.. Oggi, anche a causa della modifica di tale articolo ad opera della L. 297/1982, tale orientamento è mutato e prevale quello per cui non esiste nel nostro ordinamento un concetto monolitico di retribuzione ed è da escludere che l'omnicomprensività valga oltre i casi richiamati espressamente dalla legge e dai contratti collettivi. I sistemi retributivi L’art. 2099 c.c. codifica una tipologia delle varie forme retributive, stabilendo che la retribuzione può essere determinata: a tempo, a cottimo, con partecipazione agli utili o a prodotti con provvigione, ed infine, in natura. Tali diversi sistemi di retribuzione costituiscono dei metodi per calcolare l’ammontare della retribuzione, a sua volta determinata dai contratti collettivi o, anche, degli accordi individuali. In realtà la retribuzione a tempo è il metodo adoperato in maniera esclusiva nel senso che le altre forme in precedenza indicate costituiscono forme di compenso parziale o di elementi della retribuzione, la quale mantiene sempre una parte fissa, determinata a tempo, al fine di garantire al lavoratore un minimo retributivo dovuto per il semplice fatto di aver prestato l’attività di un determinato periodo di tempo. Alla stregua dell'art. 2099, c.c., la retribuzione può essere:
  • a tempo, se commisurata alla frazione di tempo di lavoro svolto (ora, giorno, mese). In tale sistema retributivo assume importanza la distinzione tra:
    • retribuzione oraria, o salario, tipica del lavoro operaio e rapportata al numero di ore effettivamente lavorate, con la conseguenza che qualsiasi sospensione del lavoro comporta l'automatica perdita della retribuzione;
    • retribuzione mensile, o stipendio, propria del lavoro impiegatizio e stabilita in misura fissa mensile, comprensiva anche dei giorni di riposo settimanale o infrasettimanale;
  • a cottimo, se commisurata alle unità di prodotto fornite dal lavoratore, cioè al risultato produttivo. Nell'ambito di tale forma retributiva occorre distinguere:
    • il cottimo pieno, che si ha quando la retribuzione viene determinata in base alla quantità di lavoro prestato;
    • il cottimo misto, in cui la retribuzione è calcolata in parte a tempo ed in parte in base al sistema del cottimo;
    • il cottimo collettivo, legato al rendimento, non del singolo lavoratore, ma di un gruppo organizzato di lavoratori;
    • il concottimo, che designa un particolare trattamento retributivo riservato a lavoratori non cottimisti, il cui lavoro può aumentare con l'intensificarsi del ritmo di lavoro di prestatori cottimisti.
Il cottimo può poi essere:
    • obbligatorio, quando, in ragione dell'organizzazione del lavoro il prestatore deve osservare un determinato ritmo produttivo e quando la valutazione della sua prestazione è fatta in base al risultato delle misurazioni dei tempi di lavorazione (art. 2100 c.c.);
    • vietato, per gli apprendisti.
A tutela dei prestatori, l'art. 2101, c.c., dispone che "L'imprenditore deve comunicare ai prestatori di lavoro i dati riguardanti gli elementi costitutivi della tariffa di cottimo, le lavorazioni da eseguirsi e il relativo compenso unitario". L’art. 2101 c.c. disciplina poi, in via generale, l’intervento del sindacato nella formazione delle tariffe di cottimo, disponendo che i contratti collettivi possono stabilire che le tariffe non divengano definitive se non dopo un periodo di esperimento e che possono essere sostituite oe modificate soltanto se intervengono mutamenti nelle condizioni di lavoro e in ragione degli stessi, aggiungendo inoltre che la sostituzione o variazione non diviene definitiva se non dopo un periodo di esperimento stabilito dalla norme dei contratti collettivi (c.d. assestamento). Ancora, sempre a termini dell'art. 2099, c.c., la retribuzione può essere:
  • a provvigione, se è commisurata al numero degli affari conclusi;
  • con partecipazione agli utili o ai prodotti, quando il lavoratore è retribuito, in tutto o in parte, con una percentuale sugli utili conseguiti dall'imprenditore nell'esercizio della sua attività;
  • in natura, ipotesi residuale, che si riscontra in alcune forme di lavoro domestico, agricolo e nel settore della pesca.
La determinazione della retribuzione L’ammontare della retribuzione, secondo quanto disposto dall’art. 36 Cost., deve essere commisurata alla quantità e qualità del lavoro svolto. Per quanto concerne la concreta determinazione della misura della retribuzione, ai sensi dell’art. 2099 c.c., essa è stabilità: ·         dalla contrattazione collettiva, dovendosi intendere così il rinvio che la norma fa alle norme corporative. Tale rinvio primario alla contrattazione collettiva consente di riconoscere ad essi la fondamentale funzione tariffaria, e cioè di determinazione della retribuzione minima, inderogabile in peius, ma suscettibile di modifiche migliorative ad opera della contrattazione individuale; ·         dall’accordo delle parti: nella previsione dell’art. 2099 c.c. il riferimento all’accordo individuale delle parti ha riguardo alle ipotesi residuali in manchino determinazioni dei contratti collettivi; ·         dal giudice: l’art. 2099 c.c. stabilisce che in mancanza di determinazione collettiva o negoziale la misura della retribuzione è stabilita dal giudice. Le modalità di pagamento della retribuzione La retribuzione è, di regola, corrisposta in danaro ed è, quindi, soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 1277 e ss., c.c.. La contrattazione, collettiva ed individuale, fissa generalmente l'ammontare della retribuzione con riferimento ad un anno di lavoro; la corresponsione avviene, tuttavia, in ratei periodici e, per il principio c.d. della post-numerazione, dopo l'espletamento della prestazione lavorativa. Le modalità ed i termini di corresponsione della retribuzione sono quelli in uso nel luogo in cui il lavoro viene svolto, che è anche il luogo in cui la retribuzione viene pagata. In ordine alle modalità, la L. 5 gennaio 1953, n. 4, sanzionata penalmente, fa obbligo al datore di accompagnare la corresponsione della retribuzione con la consegna di un "prospetto paga", recante l'indicazione di tutti gli elementi costitutivi di essa. L’adempimento dell’obbligazione retributiva: tempo, luogo e modalità La retribuzione è, come detto, una tipica obbligazione corrispettiva da ricomprendere tra le obbligazioni pecuniarie, avente come oggetto una somma di denaro e sottoposte alla disciplina degli artt. 1277 c.c. e seg.. Per ciò che riguarda la corresponsione della retribuzione, il datore è sottoposto alle regole generali degli art. 1176 e 1182 c.c.. L’art. 2099 c.c. si limita a stabilire le modalità ed i termini e cioè i tempi e le circostanze del pagamento che devono essere desunti da quelli in uso nel luogo ove il lavoro viene eseguito. Quanto al luogo dell’adempimento, la retribuzione viene corrisposta nella sede dell’imprenditore, che è il luogo di lavoro nel quale il lavoratore presta la propria attività. La legge impone al datore di consegnare al lavoratore, unitamente alla retribuzione, un prospetto paga analitico delle diverse voci che compongono la retribuzione, con indicazione delle trattenute di legge, fiscali, previdenziale ed assistenziali.  Il termine per la corresponsione della retribuzione è, di regola, stabilito dai contratti collettivi o in mancanza dagli usi. Il diritto al pagamento della retribuzione sorge a lavoro compiuto: è questo il principio della postnumerazione, in forza del quale il pagamento della retribuzione è posticipato rispetto alla erogazione della prestazione lavorativa. La tutela del credito di lavoro Nel caso in cui un datore ometta in tutto o in parte di corrispondere al lavoratore il pagamento della retribuzione, sorge in capo a questi un diritto di credito nei confronti del primo, garantito da varie disposizioni di legge. Le principali ipotesi di tutela del credito lavorativo sono: ·         l’art. 429, comma 3, c.p.c. che prevede il cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria sui crediti di lavoro. La norma prevede che quando il giudice pronuncia sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme di denaro in favore del lavoratore, deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. In particolare sulla somma rivalutata vanno calcolati gli interessi nella misura legale. Tale previsione si giustifica nell’intento di conservare il calore economico della prestazione dovuta al lavoratore in forza del rapporto di lavoro, e preservarlo, quindi, dalla perdita del potere di acquisto per effetto del fenomeno inflativo; ·         le sentenze di condanna per crediti di lavoro sono immediatamente esecutive sin dal dispositivo della sentenza. Il giudice d’appello può tuttavia sospendere l’esecuzione, qualora possa derivarne al datore gravissimo dallo (art. 431 c.p.c.); ·         i crediti retributivi, in caso di insolvenza del datore, sono assistiti da privilegio generale sui beni mobili (art. 2751 bis c.c.). Essi pertanto devono essere soddisfatti prima degli altri crediti e sono posposti soltanto alle spese di giustizia. Il lavoratore insoddisfatto può proporre domanda al Fondo di garanzia istituito presso l’INPS, affinché si sostituisca al datore di lavoro insolvente nel pagamento di quanto a lui spettante. Il fondo garantisce il pagamento del TFR e degli altri crediti di lavoro inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, rientranti nei dodici mesi che precedono la dichiarazione di insolvenza; ·         il credito di lavoro è parzialmente pignorabile a istanza di eventuali creditori del lavoratore. L’art. 545 c.p.c. fissa infatti dei limiti alla possibilità di pignorare la retribuzione corrisposta dal datore: in generale la trattenuta sullo stipendio per effetto del pignoramento, non può superare la misura di un quinto. Lo stesso vale per il sequestro conservativo e per la compensazione.