Il familiare che ha prestato lavoro subordinato nell’ambito dell’impresa familiare (art. 230 bis del codice civile) ha diritto alla liquidazione della propria quota nel momento in cui l’impresa si scioglie.

Per impresa familiare si intende quella in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
La legge di riforma del diritto di famiglia ha disciplinato l'istituto, al fine di apprestare una tutela giuridica al congiunto che presta, normalmente per affetto e benevolenza - e quindi senza alcuna regolamentazione contrattuale - la propria opera nell'impresa.

La quota ha per oggetto gli utili, i beni acquistati e gli incrementi di azienda.

Gli utili dovranno essere ripartiti in proporzione alla qualità ed alla quantità di lavoro prestato, mentre le percentuali indicate nella scrittura di costituzione dell’impresa hanno soltanto valore indiziario ai fini della ripartizione degli utili (Cassazione – Sezione Lavoro – sent. N. 20574 del 29/07/2008).


La Cassazione ha riconosciuto una natura residuale all'istituto, che si rende applicabile quando non sia configurabile un diverso rapporto (ad esempio, nell'ipotesi di un rapporto di lavoro subordinato o associativo -) e purché il familiare non sia posto in una posizione deteriore rispetto a quella prevista dall'art. 230-bis (Cassazione sentenza 24 marzo 2000 n. 3520)

Nel caso di recesso dall'impresa familiare, la somma liquidata al coniuge afferisce alla sfera personale dei soggetti del rapporto e non è riconducibile a nessuna delle categorie reddituali previste dal Tuir.

L'articolo 5 del Tuir prevede che i redditi delle imprese familiari, limitatamente al 49% dell'ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell'imprenditore, siano imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo prevalente e continuativo attività di lavoro nell'impresa, limitatamente alla sua quota di partecipazione agli utili.
Inoltre, l'articolo 60 del Tuir stabilisce l'indeducibilità dei compensi del lavoro prestato o dell'opera svolta dall'imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all'impresa familiare.

L'importo non va, pertanto, assoggettato a Irpef in capo al soggetto percipiente. Lo stesso non è, inoltre, rilevante e non è deducibile come componente negativo del reddito d'impresa, per mancanza del requisito dell'inerenza che si configura per le spese riferite ad attività da cui derivano proventi che concorrono a formare il reddito (risoluzione n. 176/E del 28 aprile 2008 dell’Agenzia delle Entrate ).