Sta assumendo particolare rilevanza il dibattito dottrinale sulla illegittimità del vincolo sportivo per violazione di diritti costituzionali fondamentali ovvero la nullità per contrarietà a norme imperative e di ordine pubblico, e come tale immeritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico ex art. 1322 cod. civ.. In particolare, nella prospettazione di taluni autori ed esperti del settore, il vincolo sportivo “imposto” dalle  norme regolamentari della F.I.G.C. integrerebbe gli estremi di una illegittima violazione: - del diritto di praticare senza difficoltà la propria attività agonistica, sancito dai principi generali dell’ordinamento, nonché dall’art. 1 della legge 23 marzo 1981 n. 91; - del limite al patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 – I comma – cod. civ.; - della libertà di associazione, che comprende anche il diritto di dissociazione, tutelato dall’art. 18 della Cost., nonché dall’art. 11 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti e delle Libertà fondamentali e dall’art. 22 del Patto Internazionale sui Diritti civili e politici; - del principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Cost., data la parzialità del trattamento riservato illogicamente agli atleti professionisti, per i quali il vincolo sportivo a tempo indeterminato è stato abrogato con l’art. 16 della legge n. 91/1981; - dell’ottavo principio fondamentale della Carta Olimpica deliberata dal Comitato Olimpico Internazionale, per il quale la pratica dello sport è un diritto umano e che ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport secondo le sue necessità; - del divieto di ogni discriminazione fondata sull’età stabilito dall’art. 2 del D.Lgs n. 216/2003, di attuazione della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in tema di occupazione e condizioni di lavoro. Sul punto tuttavia è possibile fare alcune considerazioni di segno contrario. Innanzitutto giova evidenziare che il tema in parola non riguarda la mera applicazione/disapplicazione di regole sportive, quanto piuttosto la dedotta incompatibilità del vincolo sportivo con un diritto soggettivo della personalità variamente prospettato sul piano, anche costituzionale, della libertà associativa e della libertà di prestazione dell’attività sportiva. Diritti che sarebbero posti gravemente in crisi dal mantenimento di una regola (cfr. ex multis art. 32 bis NOIF) volta a mantenere una esclusiva pluriennale in favore di una singola associazione sportiva, non risolvibile, se non nei limiti del regolamento federale. Ciò posto, appare in tutta evidenza che l’esame della disciplina normativa in subiecta materia consente all’interprete di verificare quale sia stata la evoluzione normativa (primaria e secondaria) del “sistema sportivo” all’interno dell’autonomia negoziale, riconosciuta ai privati nei rapporti associativi ai sensi dell’art. 16 cod. civ., e per lo effetto di escludere la stessa possibilità di configurare nell’ambito del settore dilettantistico un rapporto contrattuale (e di lavoro) tra l’atleta e la singola associazione affiliata alla Federazione (salvo infra). In punto di diritto, infatti, se il contratto si connota per la natura patrimoniale della prestazione oggetto della regolamentazione pattizia, non è revocabile in dubbio che, per quanto ne occupa, si è in presenza di un rapporto di natura associativa diretto unicamente a regolamentare la prestazione dell’attività sportiva anche in forma agonistica, a nulla rilevando che la pratica sportiva possa implicare dei costi in termini di spese per la partecipazione ai campionati ovvero per il reperimento degli spazi di allenamento: circostanze queste che, da sole, non sono sufficienti a mutare la natura del rapporto dilettantistico, che rimane comunque estraneo a profili immediati di carattere patrimoniale. Dal tesseramento presso un’associazione sportiva a carattere dilettantistico non deriva infatti un obbligo alla prestazione dell’attività sportiva patrimonialmente apprezzabile (di qui la inconferenza dei richiami alla legislazione lavoristica ed ai limiti al patto di non concorrenza),  ma soltanto una limitazione in negativo alla libertà di svolgimento della pratica sportiva, nel senso che la suddetta limitazione non è assoluta, ma relativa alla specifica disciplina per la quale è avvenuto il tesseramento, con la ovvia conseguenza che per effetto dell’adesione all’associazione l’atleta è legato da un vincolo pluriennale a quest’ultima, che, a sua volta, potrà consentire il trasferimento o al prestito nei limiti delle prescrizioni federali. In questi termini, la presenza del vincolo sportivo pluriennale in ambito dilettantistico non rappresenta una limitazione alla libera esplicazione dell’attività sportiva, posto che, come già detto, da questo non derivano obblighi di natura positiva, ma solo limitazioni in negativo. Di converso la logica contrattuale e patrimoniale trova pieno accesso in campo professionistico dove il fenomeno lavorativo trova la sua puntuale regolamentazione nell’ambito di contratti di lavoro dipendente o autonomo (cfr. legge n. 91/1981). Senza voler negare la possibilità che anche in campo dilettantistico vi possa essere spazio per rapporti contrattuali (quali non sono certamente quelli che legano l’atleta all’associazione), non è revocabile in dubbio che vi sia una profonda differenza, legislativamente voluta ed in tal senso disciplinata, tra il rapporto che si instaura tra l’atleta professionista e quello dilettante con la società sportiva, tale da escludere la contestata violazione del principio, costituzionalmente garantito, dell’uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione. Del pari, il vincolo sportivo che ne occupa non può ritenersi in contrasto con la libertà di associazione (e/o di dissociazione) tutelato anch’esso a livello costituzionale e di accordi internazionali per la tutela dei diritti della personalità: sull’atleta dilettante, infatti, come già detto, non grava un obbligo di prestazione, ma solo un vincolo pluriennale di esclusiva, nulla impedendo al singolo di recedere dall’associazione, con il limite, però, che la possibilità di continuare a svolgere la pratica sportiva nello specifico settore di provenienza deve soggiacere alle regole federali, in armonia, proprio, con la richiamata autonomia negoziale. D’altro canto la legittimità del vincolo sportivo in ambito dilettantistico trae origine proprio dalla sua funzione essenziale al mantenimento del sistema dell’associazionismo sportivo: assicurare la giusta remunerazione a quei soggetti che investono nella formazione dei giovani. L’assenza del vincolo sportivo, e per lo effetto la possibilità di recedere ad nutum dal rapporto senza la possibilità per l’associazione sportiva di origine di conseguire la corresponsione di una indennità, costituirebbe un forte ostacolo all’investimento nella promozione dello sport giovanile, non tanto in una prospettiva di lucro derivante dalla gestione dell’associazione sportiva, quanto piuttosto di copertura di costi che la pratica sportiva inevitabilmente impone. Di qui la necessità di contemperare opposte esigenze, senza ledere alcun diritto ovvero limitare la libertà di ciascuno nell’esercizio della pratica sportiva dilettantistica.
Massimo Garzilli
(avvocato del Foro di Napoli)