Fondamentali poteri del datore di lavoro, giuridicamente collocati in stretta correlazione con il dovere di obbedienza e diligenza del lavoratore. Il potere direttivo in senso stretto si configura come potere organizzativo diretto a conformare l’attività utile di ciascun lavoratore alle esigenze dell’impresa stessa. Esso si traduce sul piano generale nelle istruzioni che il datore ed i suoi collaboratori impartiscono per l’esecuzione e la disciplina del lavoro (art. 2104 c.c.). In tale ambito la dottrina e la giurisprudenza sono soliti ricomprendere l’esercizio dei seguenti poteri:
  • potere gerarchico, che designa la posizione di supremazia del datore di lavoro quale capo dell’impresa dal quale dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori (art. 2086 c.c.). Tale potere, come emerge dallo Statuto dei lavoratori è da ritenersi ammissibile solo in quanto funzionalmente necessario ai fini della prestazione lavorativa, senza ingerenza alcuna nella sfera privata e personale del lavoratore, e nel rispetto della sua libertà e dignità;
  • potere conformativo, indica il potere di specificazione dell’attività lavorativa, consistente nella concreta determinazione della modalità per l’esecu-zione del lavoro preordinando le singole prestazioni lavorative, qualifica per qualifica, reparto per reparto;
  • potere direttivo in senso stretto, consiste nell’emanazione delle disposizioni concernenti l’organizzazione del lavoro, stabilendo una determinata disciplina tecnica del lavoro (es. orari, turni ecc.). Esso si individua nella stessa previsione dell’art. 2104 c.c., il quale determina l’ambito di operatività delle disposizioni emanate dal datore di lavoro al settore dell’esecuzione e della disciplina del lavoro.
Il potere di vigilanza e di controllo Il potere di vigilanza e di controllo è strettamente correlato al potere direttivo ed è diretto a verificare che l’esecuzione dell’attività lavorativa venga effettuata secondo le modalità stabilite dal datore di lavoro. Tale potere incontra alcuni limiti, previsti espressamente dagli artt. 2 – 3 – 4 – 5 – 6 della legge 300 del 1970:
  • divieto di avvalersi, per il controllo dell’attività lavorativa, di guardie giurate utilizzabili solo per la tutela del patrimonio aziendale (art. 2). Ad esse viene conseguentemente preclusa la facoltà di accesso nei locali di lavorazione, se non per motivate esigenze attinenti alla salvaguardia dei beni aziendali;
  • obbligo di comunicare ai lavoratori i nominativi e le specifiche mansioni del personale di vigilanza sul lavoro (art. 3);
  • divieto di avvalersi di impianti audiovisivi o altre apparecchiature automatiche atte a sorvegliare a distanza (art. 4 – salvo esigenze di sicurezza previo accordo con le rappresentanze sindacali – in difetto di accordo la decisione è demandata ai servizi ispettivi della DPL che provvede su istanza dell’imprenditore con atto impugnabile dinanzi al Ministro del lavoro e poi innanzi al giudice);
  • divieto di accertamenti da parte del datore o da un medico privato dallo stesso incaricato sulla idoneità fisica e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore (art. 5). La norma disciplina le modalità di controllo sull’idoneità fisica del lavoratore alla mansione e sul suo stato di malattia nel caso si assenti dal luogo di lavoro. Al riguardo i commi 2 e 3 dell’art. 5 dispongono che il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare la idoneità fisica e lo stato di malattia del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico. La ratio della norma è di garantire l’imparzialità del controllo sullo stato di salute, demandando il relativo accertamento a soggetti pubblici;
  • divieto di effettuare perquisizioni sul lavoratore e immediate pertinenze, salvo quelle che risultino indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale in ragione della qualità delle materie prime lavorate o del valore intrinseco degli strumenti di lavoro. In ogni caso le visite personali di controllo sono sottoposte a talune modalità in modo che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del perquisito (le visite sono effettuabili solo all’uscita dei luoghi di lavoro con sistemi di selezione automatica o a sorte dei soggetti).
Vanno infine menzionate le due fondamentali norme (artt. 1 e 8 St. Lav.) poste a tutela del principio di libertà del lavoratore, e per tale via operanti come limite di carattere generale ai poteri del datore di lavoro: ·         art. 1: riconosce il diritto dei lavoratori a manifestare liberamente, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali, di fede religiosa, il proprio pensiero nei luoghi lavorativi, nel rispetto dei principi della costituzione e dello statuto dei lavoratori; ·         art. 8: tale norma completa il principio posto dall’art. 1, vietando al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione e nel corso del rapporto, di effettuare indagini, anche tramite terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale. La norma assicura in sostanza il principio di libertà e di non discriminazione del lavoratore, esprimendo la tendenza alla spersonalizzazione del rapporto di lavoro a vantaggio di una funzionalizzazione degli obblighi delle parti.   Le sanzioni disciplinari La facoltà di irrogare sanzioni disciplinari è concessa dalla legge al datore di lavoro ogni qualvolta uno dei lavoratori non si comporti con la dovuta diligenza, obbedienza e fedeltà, come specificamente previsto dal dettato normativo.Il codice civile, all'art. 2106, - di fatto norma in bianco che necessita di ulteriore produzione legislativa per la sua concreta applicabilità, produzione che si è realizzata con lo Statuto dei Lavoratori all'art. 7- , prevedono e disciplinano espressamente il potere, in capo al datore di lavoro, di irrogare sanzioni disciplinari al lavoratore che non rispetta i doveri che gli derivano dal suo contratto, ovvero i doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà nei confronti del datore di lavoro (obblighi che trovano la loro fonte di principio negli artt. 2104 e 2105 cod. civ.). Gli stessi artt. 2106 cod. civ. e 7 St.Lav. stabiliscono le modalità dell'esercizio del potere disciplinare : sono previste una particolare procedura, nonché una serie di limiti. Nell’ambito del procedimento, e relativamente alla sospensione ,va osservato che essa può anche rappresentare non già una sanzione disciplinare autonoma ma un rimedio intertemporale necessario affinché la istruttoria possa giungere a completa definizione. Ciò ovviamente in quei casi nei quali il procedimento disciplinare è sotteso ad una sanzione di carattere espulsivo essendo la circostanza dell’inadempimento relativa a comportamenti così gravi da non permettere lo svolgimento in piena operatività del rapporto lavorativo.In ordine alla sanzione della multa, tale provvedimento non determina un incameramento del corrispettivo in favore del datore in quanto non avente carattere risarcitorio. Tale importo verrà devoluto, per il tramite delle denunce mensili, all’apposito fondo gestito dall’INPS.    La legge prevede espressamente che il datore di lavoro non può legittimamente irrogare alcuna sanzione disciplinare, ad eccezione del richiamo verbale, prima di aver contestato l'addebito al lavoratore, il quale ha diritto ad un termine non inferiore a 5 giorni per presentare le proprie difese. Ne consegue che la sanzione non può essere applicata prima che siano trascorsi 5 giorni.
In particolare, poi, per quanto concerne la contestazione dell'addebito, questa deve contenere l'eventuale menzione delle recidive che incidono sulla sanzione da irrogare.
La contestazione dell'addebito deve essere comunicata al lavoratore in forma scritta, ad eccezione del solo richiamo verbale; poiché la legge non specifica una particolare modalità di consegna, l'interpretazione della Corte di Cassazione ha precisato che è ammessa sia la lettera raccomandata con avviso di ricevimento sia la consegna a mano da parte di un incaricato del datore di lavoro sia, ancora, il telegramma, in quanto in tutti e tre i casi è rispettata la forma scritta La contestazione non richiede particolari formalità, ma solo l'esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto materiale sanzionabile per via disciplinare: è valida quindi la contestazione di addebito contenuta in una missiva qualificata come "comunicazione" ma nella quale siano esposti i fatti addebitati al lavoratore (si cfr .Cass. 7 gennaio 1998, n. 67) come è valida la contestazione che faccia riferimento, per una più precisa descrizione dei fatti, ad una precedente comunicazione inviata al lavoratore (ex multis Cass. Sez. lavoro, 1 giugno 1988, n. 3716; Cass. Sez. lavoro, 23 ottobre 2000, n. 13959).

L'immediatezza della contestazione dell'addebito ha carattere relativo in quanto deve essere valutata tenuto conto anche della peculiarità della fattispecie e, in particolare, della possibilità del datore di lavoro di venire a conoscenza della illegittimità della condotta del lavoratore e di reagire alla condotta medesima (Cass. 16 maggio 2000, n. 6348), nonché della complessità dell'azione di accertamento e dell'organizzazione aziendale (Cass. 26 maggio 2000, n. 6925). L'immutabilità della contestazione riguarda i fatti su cui si fonda il provvedimento sanzionatorio e non la loro qualificazione giuridica. Il principio preclude al datore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazioni disciplinari, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell'infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva (Cass. 28 agosto 2000, n. 11265).Nei 5 giorni successivi al ricevimento dell'addebito, il lavoratore ha diritto di presentare giustificazioni sia in forma orale sia in forma scritta. Al termine di 5 giorni viene applicata la regola generale secondo cui devono ricomprendersi nel numero di giorni assegnato dalla legge anche le giornate festive intermedie, nelle quali la decorrenza del termine suddetto non può considerarsi né sospesa né interrotta (Cass. 13 novembre 2000, n. 14680). Entro il termine indicato le controdeduzioni del lavoratore devono pervenire al datore di lavoro; conseguentemente il termine non può ritenersi rispettato quando, pur avendo il lavoratore predisposto le proprie difese prima del suo decorso, la ricezione dell'atto da parte del datore di lavoro avvenga in data successiva Una volta trascorsi i 5 giorni concessi al lavoratore per presentare le proprie giustificazioni, il datore di lavoro può legittimamente irrogare la sanzione disciplinare che ritiene più idonea, nel rispetto del principio di proporzionalità fra sanzione scelta e violazione comunicata nella contestazione dell'addebito.
Poiché la legge prevede solo un termine a partire dal quale è irrogabile la sanzione disciplinare, ma non un termine entro il quale questa deve essere irrogata, in alcuni casi questo secondo termine è stabilito ed indicato nei CCNL, come, ad esempio, dal CCNL per le aziende metalmeccaniche che prevedono l'applicazione della sanzione entro i 6 giorni successivi alla presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore, pena il tacito accoglimento delle stesse; o dal CCNL per le aziende del settore terziario che prevede la comunicazione del provvedimento disciplinare al lavoratore entro 15 giorni dal termine concesso al lavoratore per presentare le sue giustificazioni, termine prorogabile di ulteriori 30 giorni se l'azienda che ne ha necessità lo comunica preventivamente al lavoratore.
Il lavoratore può scegliere tre differenti azioni per impugnare la sanzione disciplinare:
- la costituzione di un collegio arbitrale presso la Direzione Provinciale del Lavoro, entro 20 giorni - il ricorso al giudice del lavoro, dopo aver esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione;
- il ricorso alle procedure arbitrali previste dai CCNL. Una questione frequente nella casistica dei procedimenti disciplinari è quella dell’assenza del dipendente in sede di audizione a causa dell’insorgenza di uno stato di malattia. Uno stato di incapacità naturale nei cinque giorni previsti dall’art. 7, comma quinto, della L. n. 300/1970,che non consente al lavoratore di esercitare il diritto di difesa, finendo con l’impedire la realizzazione degli scopi per cui la procedura è preordinata, non può non avere rilevanza: il relativo onere della prova grava indubbiamente sul prestatore d’opera.la Corte di cassazione ha recentemente (Cass. 4 aprile 2006, n. 7848) affermato che «ove l’audizione sia di fatto impedita - e quindi rinviata - per lo stato di malattia del dipendente, che certo non autorizza il datore di lavoro ad omettere l’audizione del dipendente incolpato che l’abbia espressamente richiesta, il conseguente ritardo nell’intimazione del licenziamento disciplinare non inficia quest’ultimo come carente del requisito della tempestività».   È inoltre esente da censure il comportamento datoriale di irrogazione del licenziamento disciplinare intervenuto dopo che era ampiamente decorso il termine di cinque giorni dalle contestazioni allorquando venga invocato uno stato di incapacità naturale impeditivi dell’esercizio del diritto di difesa avente una collocazione temporale successiva alla scadenza del suddetto termine di cinque giorni, contemplato dalla legge «per contemperare le insopprimibili esigenze di difesa del lavoratore incolpato […], come corrispondenti ai principi di coerenza di civiltà giuridica, e le contrapposte esigenze datoriali alla tempestiva interruzione del rapporto » .