Negli ultimi anni si è assistito al proliferare di termini molto simili al mobbing o a questo associato e questa confusione terminologica ha danneggiato l’aspetto applicativo del problema creando “falsi mobbing”.E’ opportuno quindi riferirsi all’accezione classica di Leymann supportandola d’ulteriori specificazioni.   il mobbing è dunque  una molestia o violenza psicologica che trova la sua manifestazione classica in un insieme d’azioni che devono avere specifiche caratteristiche quali: l’intenzionalità e l’iteratività per un periodo che solo convenzionalmente è indicato in sei mesi; la variabilità delle azioni in relazione alla struttura di personalità dei soggetti interessati; la tipologia stessa della violenza morale che può esercitarsi con attacchi alla persona ma anche verso lo stesso lavoro svolto o la funzione ricoperta, se non addirittura verso lo stesso status del lavoratore; la sistematicità  e la loro struttura, normalmente del gruppo verso il singolo e, solo molto raramente, da singolo a singolo; l’ambito eslusivamente lavorativo; la degenerazione che si può concretare con atti sanzionatori continui, spesso pretestuosi ma anche evidenti e dimostrabili. Scopo finale è l’isolamento completo del lavoratore-vittima, il suo sentirsi impotente di fronte all’evento fino all’esclusione lavorativa e, col tempo, il coinvolgimento dell’ambiente famigliare e delle amicizie il coinvolgimento, vale a dire, dell' ambiente sociale globalmente preso ed ormai accettato in letteratura col termine di “Doppio Mobbing”.             Risparmio alla platea l’esposizione dei 45 comportamenti individuati da Leymann e suddivisi in 5 categorie che formano un protocollo di studio ed analisi denominato L.I.P.T e definiscono il comportamento mobbizzante, anche perché per onestà intellettuale dovrei aggiungere a questi le ulteriori 39 azioni mobbizzanti e le ulteriori 2 categorie frutto di altri autorevoli lavori di ricercatori tedeschi ed italiani.             Studi recenti di ricercatori (Hirigoyen) dimostrano come spesso i bersagli sono lavoratori con elevato coinvolgimento nelle attività svolte o con capacità innovative e creative oppure, all’opposto, soggetti con ridotte capacità lavorative o di diversa provenienza socio-culturale (religione, abitudini di vita o sessuali ecc…).             Uno degli effetti, infatti, della mediatizzazione  del problema è la nascita di false positività di situazioni mobbizzanti ed è, a tal riguardo, importante riuscire, da parte di tutti gli attori, distinguere chiaramente il mobbing, ad esempio, da quei fattori di stress occupazionale che possono generare disagio o vera e propria sofferenza psicologica ma che costituiscono un problema assolutamente diverso da quello della violenza morale in ambiente di lavoro, senza ovviamente tenere in considerazione le sofferenze da turbe psicologiche che, anche se manifestatesi in ambiente di lavoro, hanno un’origine diversa.             Non bisogna, inoltre, demonizzare tutte le situazioni di conflitto ritenendole, a priori, negative o distruttive in ogni ambito lavorativo, non essendo in sé una forza distruttiva ma, a volte, potendo le stesse condurre a risultati anche costruttivi; semmai è il loro attuarsi in maniera sistematica, continuata, a volte abituale, con strategici meccanismi di coazione ed in cui l’aggressività del gruppo viene incanalata a senso unico verso un singolo soggetto ciò che può condurre ad un’azione mobbizzante.             Da non sottovalutare è anche il rischio di demonizzare gli aspetti competitivi o d’organizzazione gerarchica all’interno dei gruppi aziendali. Queste ultime considerazioni introducono un altro aspetto di studio del problema riferito all’organizzazione aziendale, al clima aziendale o “salute aziendale” dove vanno armonicamente integrate le condizioni relazionali, gerarchiche, organizzative che possono, se indirizzate in senso negativo, far nascere situazioni potenzialmente mobbizzanti.             Una situazione mobbizzante produce effetti anche sull’efficienza dell’amministrazione poiché genera una diminuzione della produttività nel lavoro, e conflitto organizzativo alterando la serenità dell’ambiente di lavoro, tutto questo con ripercussioni sui costi economici legati alla cura degli effetti negativi sulla salute del lavoratore mobbizzato e costi sociali relativi la sfera privata e familiare del lavoratore.             Problematico è invece il meccanismo col quale il mobbing si sviluppa essendo un fenomeno  che si nasconde tra le pieghe dei comportamenti restando sotterraneo fino al momento della sua esplosione, nota tipicità delle azioni messe in atto che non sono necessariamente illegittime, ma lo diventano con la loro ripetitività e sistematicità creando la classica trappola a tela di ragno da cui la “vittima” difficilmente riuscirà ad uscire.             La multidisciplinarietà del concetto ha costretto i giuristi a trovare una sua collocazione all’interno di una pluralità di situazioni, talora del tutto eterogenee ma certamente ascrivibili in condotte illecite, riconosciute come tali dall’ordinamento e quindi riconducibili a norme civili e penali.              Possiamo, infatti, già elencare tra queste la dequalificazione o l’adozione di sanzioni disciplinari illegittime, come anche le condotte che rientrano nel più generale contesto della lesione della salute psico-fisica del lavoratore sanzionata dall’art. 2087 c.c.             Alla base del mobbing vi sono comportamenti per se stessi non sempre illeciti ma che, proprio per il fine che voglio raggiungere e per le peculiari caratteristiche che li contraddistinguono, diventano, nel loro insieme, comportamenti concretanti mobbing e che il singolo atto, di per sé, non sarebbe altrimenti in grado di conseguire; diventa quindi indispensabile riconoscere la ratio delittuosa di tali specifici comportamenti e, se da un lato questo non può che essere un compito della giurisprudenza, spetterà poi al legislatore definire normativamente la figura tipica di reato da mobbing ed il relativo sistema delle sanzioni.             Attualmente, le protezioni che vari articoli del c.p. possono dare al lavoratore nei casi di maltrattamenti (572), lesioni personali (590), ingiuria (594), diffamazione (595), abuso d’ufficio (323) e, relativamente ai reati sessuali la stessa legge n. 66 del 1996, potrebbero costituire, a volte lo sono già, fattispecie di reato riconducibile al mobbing. Anche la recente legge sullo stalking del 23 aprile 2009, può portare a considerare certi comportamenti sanzionabili penalmente , se finalizzati a concretare una molestia che ha anche finalità espulsive dal mondo del lavoro