I lavoratori a tempo parziale non debbono ricevere un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori full time ad essi comparabili, per il solo motivo che lavorano meno ore, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. Il divieto di discriminazione non è che l'espressione specifica del principio generale di uguaglianza. Pertanto il minore numero di ore lavorative prestate si traduce in una retribuzione più bassa e in una pensione più bassa, ma non incide sull'anzianità contributiva che sarà identica a quella del lavoratore impiegato a tempo pieno comparabile.
In tema di anzianità contributiva dei lavoratori a tempo parziale, l'articolo 7, comma 1, del d.l. n. 463 del 1983, conv. con mod. dalla l. n. 638 del 1983, in conformità al principio di non discriminazione di cui all'articolo 4 della direttiva n. 97/81/CE, come applicato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 10 giugno 2010 C-395/08 e C-396/08, va interpretato nel senso che, ai fini dell'acquisizione del diritto alla pensione, i lavoratori con orario part-time verticale ciclico hanno diritto all'inclusione anche dei periodi non lavorati, incidendo la contribuzione ridotta sulla misura della pensione e non sulla durata del rapporto di lavoro.
L'ammontare dei contributi determinato ex Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 7, deve essere riproporzionato sull'intero anno cui i contributi si riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part-time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell'anzianità contributiva. E non v'ha dubbio che codesta possibile disparità di trattamento genererebbe sospetti di illegittimità costituzionale ex articolo 3 Cost.
Il canone secondo cui, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, non si possono escludere i periodi non lavorati dal calcolo dell'anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, costituisce una logica conseguenza del principio per cui, nel contratto a tempo parziale verticale, il rapporto di lavoro perdura anche nei periodi di sosta: ne è prova la circostanza che ai lavoratori impiegati secondo tale regime orario non spettano per i periodi di inattività né l'indennità di disoccupazione, né l'indennità di malattia, essendo quest'ultima correlata ad una perdita di retribuzione che, nel periodo di inattività, non è dovuta per definizione (da ultima: Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 6 luglio 2017 n. 166