In materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore infortunato ha diritto ad un indennizzo a carico dell'INAIL per il danno biologico riportato, ai sensi dell'articolo 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000.
Come è noto, tuttavia, tale indennizzo non è integralmente satisfattivo dei danni subiti dal lavoratore: l'ulteriore danno (cosiddetto "danno differenziale"), determinato dalla differenza tra l’ammontare complessivo del risarcimento e quello delle indennità liquidate dall'I.N.A.I.L., dovrà essere corrisposto dal datore di lavoro.
E infatti, l'articolo 13 citato non fissa in via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitori del danno biologico, ma solo un "indennizzo", che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale o aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità.
Sul punto, la Cassazione ha precisato che, nella liquidazione del danno biologico differenziale di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico va detratto, non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale (Cassazione, sentenza del 21 novembre 2017, n. 26973, secondo cui "Dalla differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 cit. e il risarcimento del danno biologico ne è conseguita la preclusione a ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore, anche perché ritenere il contrario significherebbe attribuire al lavoratore un trattamento deteriore - quanto al danno biologico - del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato non lavoratore, con dubbi di legittimità costituzionale"; Cassazione, sentenza del 14 ottobre 2016, n. 20807; Cassazione, sentenza del 1 marzo 2016, n. 4025, secondo cui "il datore di lavoro risponde dei danni occorsi al lavoratore infortunato nei limiti del c.d. danno differenziale che non comprende le componenti del danno biologico coperte dall'assicurazione obbligatoria").
Il principio su esposto si fonda sul divieto di occulte duplicazioni o indebite locupletazioni risarcitorie in favore del danneggiato nonchè, allo stesso tempo, dalla necessità di garantire al lavoratore l'integrale risarcimento, tanto più quando vengano coinvolti beni primari della persona, in particolare il nucleo irriducibile del diritto fondamentale alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana (Cassazione, sentenza del 10 aprile 2017, n. 9166).
In conclusione, a fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all'espletamento dell'attività lavorativa, il giudice adito, una volta accertato l'inadempimento, innanzitutto dovrà verificare se, in relazione all'evento lesivo, ricorrano le condizioni soggettive e oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali stabilite dal D.P.R. n. 1124/1965.
In tal caso potrà procedere alla verifica di applicabilità dell'articolo 10 del Decreto citato nell'intero del suo articolato meccanismo, anche d'ufficio ed indipendentemente da una richiesta di parte in quanto si tratta dell'applicazione di norme di legge al cui rispetto il giudice è tenuto.
Va precisato che, per gli infortuni anteriori all'ambito temporale di applicazione dell'articolo 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000, il datore risponde dell'intero danno non patrimoniale, non potendo essere decurtati gli importi percepiti a titolo di rendita INAIL, corrispondenti, nel regime allora vigente che escludeva la copertura assicurativa obbligatoria, solo al danno patrimoniale legato al pregiudizio alla capacità lavorativa generica (Cassazione, sentenza del 5 maggio 2010, n. 10834).