Il contratto di lavoro è un contratto consensuale, che si perfeziona con l'incontro delle volontà espresse dalle parti. Come è stato osservato, nella formazione del contratto di lavoro, la disciplina generale del contratto dettata dal Codice Civile si applica con alcuni rilevanti caratteri di specialità, a causa dei numerosi limiti imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, che restringono in misura notevole il margine dell'autonomia privata. L'efficacia di tali limiti è particolarmente penetrante e si attua per mezzo del meccanismo dell'inserzione automatica di clausole (art. 1339, c.c.), e della sostituzione di diritto delle clausole difformi del contratto individuale (art. 1419, c.c.). Tuttavia, essa, incidendo solo sul piano della libera determinazione del contenuto del contratto, non esclude l'origine contrattuale del rapporto di lavoro e, in secondo luogo, non inficia la natura del contratto di lavoro che è e resta, come si è detto, un contratto consensuale. Il contratto di lavoro è un contratto a forma libera. Al principio della libertà della forma, tuttavia, si deroga in tutte le ipotesi in cui particolari patti, ovvero gli elementi accidentali del contratto, costituiscano clausole negoziali sfavorevoli al prestatore. Così devono risultare a pena di nullità da atto scritto:
  • il patto di non concorrenza, per il periodo successivo alla cessazione del rapporto, con il quale il lavoratore si obbliga a non svolgere attività professionali in concorrenza con il precedente datore;
  • l'apposizione del termine, che deve essere altresì giustificata dalla specialità del rapporto;
  • la determinazione del periodo di prova.
Al principio della libertà della forma si deroga anche per determinati tipi di contratti di lavoro, tra cui si ricordano:
  • il contratto di arruolamento marittimo, (richiede l'atto pubblico);
  • il contratto di formazione e lavoro;
  • il contratto a tempo parziale.
Ipotesi a sé stante è, poi, quella rappresentata dal contratto di lavoro a tempo determinato del personale di volo, per il quale è richiesta, sì, la forma scritta, ma non ad substantiam, bensì ad probationem, cioè ai soli fini probatori. Gli elementi accidentali del contratto di lavoro Gli elementi accidentali del contratto sono quegli elementi che le parti sono libere di apporre o meno, ma che una volta apposti incidono sull'efficacia del contratto stesso. Essi possono essere inseriti anche nel contratto di lavoro: nella pratica, ricorrente è soprattutto l'apposizione della condizione e del termine. La condizione ed il patto di prova La condizione - che è un avvenimento futuro ed incerto dal quale le parti fanno dipendere la produzione degli effetti del contratto, cui la condizione è opposta, ovvero l'eliminazione degli effetti già prodotti dal contratto - può inerire in maniera esplicita od implicita al contratto di lavoro, e può essere:
  • sospensiva, se da essa dipende la produzione degli effetti del contratto di lavoro (es. patto di prova);
  • risolutiva, se da essa dipende l'eliminazione degli effetti già prodotti; qualora essa tenda, però, all'elusione delle norme limitative del licenziamento, è da ritenersi illecita.
Si osservano i principi civilistici con una particolarità: la retroattività della condizione sospensiva non può risalire oltre l'effettivo inizio della prestazione di lavoro; la retroattività della condizione risolutiva è sicuramente esclusa per l'impossibilità di restituzione delle prestazioni di lavoro già eseguite. Una parte della dottrina configura, quale particolare forma di condizione sospensiva, il patto di prova, cioè la clausola scritta[1] inserita nel contratto di lavoro, con la quale le parti subordinano la definitiva assunzione all'esperimento positivo di un periodo di prova (art. 2096, c.c.).  Si è detto che il patto di prova è una clausola scritta: esso, infatti, deve risultare da atto scritto contenente l'indicazione della durata della prova: in mancanza, l'assunzione del lavoratore si considera definitiva. La funzione è quella di verificare, nel reciproco interesse, l’utilità della prosecuzione del rapporto di lavoro: in particolare, per il datore verificare la capacità professionale del lavoratore e la sua complessiva idoneità alle mansioni affidate ed al contenzioso aziendale; per il lavoratore, invece, il periodo di prova consente di valutare la sua convenienza all’occupazione del posto di lavoro. Poiché la prova è evidentemente uno strumento predisposto più nell'interesse del datore che del prestatore, la legge (o il contratto collettivo) fissa il limite massimo di sei mesi per la sua durata  L'art. 2096, co. III, c.c., regola il recesso dal periodo di prova, stabilendo che "ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine". Con riguardo al recesso, la Corte costituzionale, con la sent. 16/12/1980, n. 189, ha chiarito che esso non può essere immotivato, ma deve trovare la sua ragione nell'esito negativo della prova: è, dunque, illegittimo il licenziamento in periodo di prova se non è stato concretamente consentito al lavoratore di dimostrare le sue qualità professionali. Se poi l'esperimento dà esito positivo, il periodo di prova si trasforma nel rapporto di lavoro subordinato vero e proprio. Se, invece, l'esperimento dà esito negativo, il datore è obbligato a corrispondere al prestatore il trattamento di fine rapporto e le ferie retribuite o la relativa indennità sostitutiva, nonché ogni altro emolumento previsto per il lavoratore che non sia incompatibile con la particolare natura del periodo di prova. Interpretazione ed integrazione del contratto di lavoro Per quanto riguarda l’interpretazione del contratto di lavoro, non vi sono particolari differenze rispetto alla normativa civilistica generale. Assumono rilievo gli usi quando i datori di lavoro sono commercianti, artigiani, agricoltori. L’integrazione del contratto trova vasta applicazione: il contratto di lavoro si limita in generale alle indicazioni essenziali, rinviando poi alla contrattazione collettiva e alle leggi. La patologia negoziale: cause di nullità e di annullabilità del contratto di lavoro Le vicende patologiche del contratto di lavoro sono regolate dai principi comuni di diritto privato. Perciò, tale contratto può essere:
  • nullo, per contrarietà a norme imperative[2], per la mancanza di un requisito essenziale, per illiceità della causa o del motivo, per impossibilità, illiceità o indeterminabilità dell'oggetto;
  • annullabile, per incapacità legale o naturale di agire, per i vizi del consenso (errore – sulle qualità del lavoratore o errore di diritto, ad es. non rispettando una graduatoria concorsuale – violenza e dolo) di una delle parti e per stipulazione del contratto in violazione delle norme sul collocamento.
Ciò detto in generale, occorre segnalare una fattispecie proprie del diritto del lavoro in cui il legislatore fa scaturire effetti giuridici da contratti di lavoro radicalmente nulli, e cioè:
  • l'ipotesi della prestazione di fatto, contemplata dall'art. 2126, co. 1, c.c., a termini del quale "La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa". L'art. 2126, co. 1, c.c., non equipara il rapporto di lavoro invalido a quello valido e non disciplina lo svolgimento di un rapporto di fatto: esso regola unicamente gli effetti giuridici di un rapporto di lavoro in concreto svoltosi fra le parti, a cui riconosce efficacia per il tempo in cui ha avuto attuazione, al fine di evitare che la portata retroattiva della pronuncia di nullità del contratto incida sulla prestazione lavorativa già resa e, dunque, sul diritto del prestatore alla retribuzione ed al versamento dei contributi assicurativi. L’art. 2126, comma 1, esclude dalla regola della inefficacia della invalidità del contratto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, il caso in cui la nullità derivi dalla illiceità dell’oggetto o della causa. Nel caos di nullità del contratto di lavoro derivante dall’illiceità dell’oggetto o della causa per violazione di norme a tutela del lavoratore (art. 2126, comma 2, c.c.) questi ha in ogni casso diritto alla retribuzione;
Effetti dell’invalidità contrattuale L’invalidità del contratto di lavoro, come abbiamo visto, può derivare sia da cause di nullità, sia da cause di annullabilità. Le differenze sono rilevanti:
  • la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed è imprescrittibile;
  • l’annullabilità può essere fatta valere solo dalla parte interessata e la relativa azione è soggetta a prescrizione quinquennale, salva l’eccezione di cui all’art. 1442, comma 4.
In deroga alla disciplina di diritto comune, secondo la quale il contratto nullo è inefficace fin dall’origine e quello annullabile conserva la sua efficacia sino al momento della pronuncia di annullamento, in materia di lavoro entrambi i vizi fanno salvi gli effetti giuridici prodotti dal contratto invalido al fine di evitare che il prestatore di lavoro subisca le conseguenze sfavorevoli della dichiarazione di nullità o dell’annullamento del contratto stesso (art. 2126).