Il contratto di lavoro a tempo determinato dà luogo ad un rapporto di lavoro che si caratterizza per la preventiva determinazione della sua durata, estinguendosi automaticamente allo scadere del termine inizialmente fissato.Il decreto legislativo 368/2001 ha apportato significative modifiche alla disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato, recependo anche gli indirizzi che la Comunità Europea ha fornito a tutti gli Stati membri allo scopo di creare una disciplina omogenea in materia di lavoro a termine e cambiando nettamente l’impostazione: il contratto a tempo determinato è di regola ammesso salvo nei casi in cui è espressamente vietato. Viene pertanto liberalizzato l’uso del contratto a termine che, non costituisce più un fatto eccezionale rispetto all’ordinaria assunzione a tempo indeterminato e sono solo previsti limiti quantitativi la cui individuazione è affidata ai contratti collettivi. L’apposizione di un termine al contratto di lavoro non ha efficacia se non risulta da atto scritto da consegnare al lavoratore entro 5 giorni dall’inizio della prestazione. Devono essere specificate le ragioni per le quali viene stipulato il contratto a tempo determinato.La novità, rispetto alla normativa precedente, consiste nell’obbligo di specificare sempre, nell’atto scritto, la causale per la quale il lavoratore è assunto a tempo determinato. In precedenza, tale obbligo era previsto solo nelle assunzioni a termine per la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto.La principale novità, introdotta dal D.Lgs 368/01, consiste nell’abbandono dell’elencazione analitica di ipotesi tassative per ricorrere al contratto a tempo determinato, individuando, quali condizioni di ammissibilità, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ampliando così in modo significativo la facoltà di ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato. In base al D.Lgs 368/01 non è ammesso assumere lavoratori a tempo determinato per: ·         sostituzione di lavoratori che stanno esercitando il diritto di sciopero; ·         in aziende nelle quali si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi di dipendenti adibiti alle stesse mansioni a cui si riferisce il contratto a tempo determinato, a meno che lo stesso abbia durata non superiore a 3 mesi, sia stato stipulato per sostituire lavoratori assenti o concluso con lavoratori in mobilità; ·         in aziende nelle quali sia operante la CIG per lavoratori con mansioni a quelle del contratto a termine; ·         da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs 626/94. Il nuovo decreto legislativo (art. 10) rinvia alla contrattazione collettiva l’individuazione dei limiti quantitativi: i singoli contratti dovranno, dunque, fissare il numero massimo di contratti a tempo determinato che ciascun datore di lavoro potrà stipulare. Inoltre, lo stesso articolo esclude da ogni limitazione quantitativa i contratti a tempo determinato conclusi: nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; per ragioni di carattere sostitutivo. A differenza di quanto previsto in precedenza dalla L.230/62, l’esenzione è riferita a qualsiasi ipotesi di assunzione a termine per sostituzione, non essendo più limitato tale tipo di contratto ai soli casi di sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto; per ragioni di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell’allegato al D.P.R. n.1525/1963; per l’intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno (c.d. punte stagionali); per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale (già prevista anche dalla L. 230/62); al termine di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ovvero stipulati con lavoratori di età superiore ai 55 anni. L’art. 6 del D.Lgs 368/01 ribadisce il principio della non discriminazione, già previsto dalla precedente disciplina, riconoscendo al lavoratore assunto a tempo determinato un trattamento economico e normativo pari a quello del lavoratore assunto a tempo indeterminato con il medesimo inquadramento e proporzionato al periodo di lavoro prestato.Le nuove disposizioni consentono la proroga del contratto a termine solo se vengono soddisfatti contemporaneamente i seguenti requisiti:
  • con il consenso del lavoratore
  • solo nel caso in cui la durata del contratto iniziale sia inferiore a 3 anni
  • una sola volta
  • sulla base di ragioni oggettive
  • solo se si riferisce alla stessa attività per la quale è stato stipulato
  • per una durata complessiva (iniziale + proroga) inferiore a 36 mesi.
l decreto legislativo 368/01 non fissa limiti massimi di durata del contratto di lavoro a tempo determinato. In teoria, quindi, in tutti i casi in cui non si intenda ricorrere alla proroga, la durata del rapporto di lavoro è libera. Risulta tuttavia difficile giustificare, sulla base di esigenze tecniche, produttive o organizzative, l’assunzione di lavoratori a termine per più di tre anni. In materia di successione di contratti a tempo determinato, nulla è cambiato rispetto alla vecchia normativa.In particolare, se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore, una maggiorazione per ogni giorni di continuazione del rapporto. La maggiorazione è pari al 20% fino al 10° giorno successivo, e al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il 20° giorno (nel caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi) e oltre il 30° giorno negli altri casi,il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato qualora il lavoratore sia riassunto a termine dallo stesso datore di lavoro entro 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi o 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto superiore a 6 mesi .il secondo contratto si considera a tempo indeterminato nel caso di due assunzioni successive a termine senza che sia trascorso alcun intervallo di tempo tra un’assunzione e l’altra : il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto I lavoratori che hanno svolto lavoro stagionale a termine, o, lavoro a termine per intensificazione dell’attività, hanno diritto di precedenza nelle assunzioni presso la stessa ditta e con la medesima qualifica. Il provvedimento ribadisce la condizione in base alla quale il lavoratore intenzionato ad esercitare tale diritto, manifesti la sua volontà entro 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. La novità, rispetto alla precedente disciplina, consiste nella previsione espressa dell’estinzione del diritto di precedenza entro un anno dal termine del precedente rapporto. La legge 247/07 ha introdotto un limite oggettivo alla successione  di contratti  a termine , stabilendo una durata massima di 36 mesi per il rapporto tra uno stesso datore e lavoratore e per le medesime mansioni o equivalenti; il rapporto può solo temporaneamente proseguire per la ultimazione dell’attività in corso . La l.133/08 ha previsto però la possibilità di deroga a tale limite, quando ciò sia frutto di accordo con le OO.SS maggiormente rappresentative. Il primo comma dell’articolo 21 del decreto legge n. 112 del 2008, così come modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008, ha aggiunto all’articolo 1, comma primo, del decreto legislativo n. 368 del 2001 l’inciso in base al quale la apposizione del termine al contratto di lavoro è consentita «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo » anche ove tali ragioni siano «riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro». il termine utilizzato dal legislatore è “ragioni” e, in base alla formulazione legale, quelle che consentono l’apposizione del termine devono avere carattere (non già “temporaneo”, bensì) “tecnico, produttivo,organizzativo o sostitutivo”.l’inciso aggiunto dalla legge del 2008, chiarendo (o stabilendo) che le ragioni legittimanti l’apposizione del termine possono essere riferite anche «alla ordinaria attività del datore di lavoro» consentono di ritenere che il nesso tra “temporaneità” dell’“esigenza” di lavoro e “ragioni” legittimanti l’apposizione del termine si è ulteriormente “allentato”. In altri termini, premesso che esigenze temporanee configurano certamente una delle ragioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001, queste ragioni possono essere ravvisate anche in situazioni nelle quali il datore di lavoro ha un’esigenza di lavoro stabile o, comunque, non sa, ex ante,se l’esigenza sarà o no temporanea. Il controllo del giudice dovrebbe vertere non solo sul nesso di causalità tra la scelta del datore di lavoro e l’apposizione del termine al contratto di lavoro, ma anche sulla effettività della scelta stessa e, al limite, sulla sua “non pretestuosità”.