L’art. 2087 c.c. relativo alla “tutela delle condizioni di lavoro” prevede che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Già a partire dal d.lgs. 277/1991 di attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, il legislatore italiano ha disciplinato gli obblighi del datore di lavoro in materia di dispositivi di protezione individuali per il rischio rumore.

In conformità alle norme vigenti in materia grava, dunque, sul datore di lavoro l’obbligo di garantire un ambiente di lavoro sereno e produttivo e di prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l’integrità fisica-psichica e la salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore.

“Più specificamente l’esposizione al rumore dei lavoratori rappresenta uno dei rischi più ubiquitari e diffusi del mondo moderno industrializzato la cui entità è variabile a seconda della tipologia produttiva, dei reparti e delle mansioni.

In ambito lavorativo gli effetti uditivi del rumore sono di tipo diverso e sono rappresentati essenzialmente dall’ipoacusia da rumore, patologia determinata dall’esposizione ad elevate intensità di rumore. 

I lavori ritenuti ad alto rischio per lesioni uditive sono quelli delle persone addette ai lavori su legno o metalli con attrezzature elettriche, nel tiro a bersaglio con armi da fuoco, nella gestione dei motori elettrici o a combustione interna, ecc. (Corte dei Conti Sent. 590/205 del 5.10.2005).

Secundum legis artis in particolare le Forze dell’Ordine che utilizzano armi sono vittime dei danni da rumore.

“Il tipo di rumore generato da queste armi è di breve durata ma di grande intensità.

Le esercitazioni di tiro espongono, pertanto, il personale in addestramento, gli istruttori e gli assistenti di tiro innanzi tutto al rischio di trauma acustico acuto, che si sostanzia tipicamente nella lesione della membrana del timpano ma che, nei casi più gravi, può comportare la dislocazione della catena degli ossicini e lesioni cocleari (G. Ital Med Erg 2006; 28:1)”.

Altrove:

“L’ipoacusia da rumore si può manifestare dopo la esposizione a rumori istantanei di elevatissima intensità o dopo esposizione costante e protratta nel tempo a stimoli acustici di idonea qualità, intensità e durata, agenti sull’uomo durante attività extralavorative (discoteche, caccia, ecc.) o durante attività lavorative”  (Le Ipoacusie da rumore in ambito INAIL Aspetti medico-legali. Sovrintendenza medica generale INAIL R. Caporale – M. Bisceglia).

Per Giurisprudenza pacifica:

“La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale e la citata disposizione codicistica costituisce una norma di chiusura del sistema infortunistico, la quale obbliga il datore di lavoro a tutelare l'integrità psico-fisica dei propri dipendenti imponendogli l'adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene alla salute nell'ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa speciale. Sul piano processuale, la natura contrattuale dell'obbligo in esame comporta che il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento dei danni da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'adempimento delle obbligazioni, sicché il lavoratore, il quale agisca per il risarcimento di tali danni, deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno e il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ossia da caso fortuito o forza maggiore, e di avere adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza apprestando tutte le misure per evitare il danno (Consiglio Stato  sez. VI del   19 gennaio 2011  n. 365; in termini Consiglio Stato  sez. VI del  18 novembre 2010 n. 8104).

Chiara e lapidaria in proposito:

Non è il lavoratore infortunato a dover dimostrare nel giudizio per la richiesta di risarcimento del danno le misure di sicurezza in dotazione. Spetta al datore di lavoro. Infatti, la responsabilità del datare di lavoro ex art. 2087 cod. civ. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 cod. civ., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale». Da ciò deriva che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 cod. civ. circa l'inadempimento delle obbligazioni. Insomma, «il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno». Dunque non è lecito porre a carico del lavoratore infortunato (in una situazione nella quale sono pacifiche l'esistenza dell'obbligazione lavorativa,  l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione) l'onere di indicare le misure che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare, la cui osservanza avrebbe impedito l'evento infortunistico (Cassazione civile  sez. lav. del  22 dicembre 2011 n.  n. 28205).

Peraltro secondo costante Giurisprudenza della Suprema Corte:

In tema di infortuni sul lavoro, la responsabilità dell'imprenditore è esclusa solo in caso di dolo o rischio elettivo del lavoratore, ossia di rischio generato da un'attività estranea alle mansioni lavorative o esorbitante da esse in modo irrazionale (Cassazione civile  sez. lav.

del  07 febbraio 2012  n. 1716).

Ai fini del riconoscimento del danno andrà verificato che il danno occorso al lavoratore sia riferibile all’attività lavorativa  cui lo stesso è stato esposto in maniera frequente e prolungata; i pregiudizi subiti dovranno essere conseguenza immediata e diretta, appunto, di tale attività lavorativa, da cui è eventualmente conseguito un danno biologico o danno alla salute.

Più specificamente in ordine alle conseguenze collegate ai danni da rumore in ambiente di lavoro la letteratura medica  ha da sempre chiarito:

“… Le interferenze con le varie attività umane possono ostacolare le attività di relazione e in generale peggiorare la vita. La risposta di ciascun individuo è poi influenzata da fattori legati alla psicologia individuale, per cui gli studi sugli effetti extrauditivi del rumore non sono facilmente individuabili e standardizzabili. Tuttavia i danni extrauditivi da rumore possono essere classificati in tre gruppi: disturbi specifici (danno uditivo e vestibolare); disturbi non specifici ( azione sul sistema nervoso, sul sistema endocrino, sulla psiche, azione psicosomatica su organi bersaglio); annoyance o disturbi psico-sociali. La più condivisa definizione di annoyance si deve a Cosa:”un sentimento di scontentezza riferito al rumore che l’individuo sa o crede che possa agire su di lui in modo negativo; questo fastidio è la risposta soggettiva agli effetti combinati dello stimolo disturbante e di altri fattori extraesposizionali di natura psicologica, sociologica ed economica”.

E’ stata effettuata una distinzione nell’ambito degli effetti non specifici extrauditivi del rumore tra effetti a breve ed a lungo termine. I primi conseguono ad una stimolazione di breve durata a carattere per lo più improvviso e durano minuti o ore e sono risposte di timore ( retrazione del capo, aumentata tensione muscolare con alterazione dei normali movimenti ritmici respiratori, interferenze sulla frequenza cardiaca, dilatazione delle pupille, ipersecrezione cloridrica, etc. ). Gli effetti a lungo termine possono comparire in seguito alla liberazione ormonale che influenza organi e tessuti vari. In linea di massima possiamo distinguere effetti non specifici  a lungo termine di tipo neurologico, psichico ed endocrino. Gli effetti di tipo psichico sono rappresentati da: attivazione del sistema diencefalo-ipofisario, reazioni di allarme, incremento della secreazione tiroidea, incremento dell’attività surrenale.

Gli effetti psico-sociali non agiscono in maniera diretta su organi o tessuti, producendo un danno che può rimanere limitato all’ambito soggettivo o riflettersi sui rapporti interpersonali e sulle relazioni sociali. In ambito lavorativo occorre considerare come i lavoratori siano esposti sia al rumore occupazionale che a quello urbano e come la prolungata esposizione a rumore occupazionale possa influire sulla comunicazione verbale, sulle capacità psico-motorie, sull’attenzione, creando condizioni di aumento del rischio infortunistico.

Vi sono poi altri complessi legami tra le vie uditive ed il sistema nervoso autonomo il quale controlla: la dilatazione della pupilla, la frequenza cardiaca, la produzione di ormone surrenale, i movimenti gastrointestinali, le reazioni della muscolatura scheletrica e la vasocostrizione.

Il danno extrauditivo da rumore maggiormente studiato nella letteratura recente e passata è quello a carico dell’apparato cardiocircolatorio.

Precisandosi che:

“Anche valori di tempo ridotti e basse esposizioni possono provocare vasocostrizione. Sono inoltre segnalati in letteratura una diminuzione della gittata cardiaca, un aumento della pressione arteriosa sistolica e, soprattutto, diastolica, un aumento delle pulsazione e del ritmo.

Inoltre:

“Sono stati anche dimostrati come effetti extrauditivi dell’esposizione a rumore disturbi respiratori (consistenti in aumento della frequenza e dell’ampiezza del respiro), disturbi muscolari (aumento della tensione muscolare), alterazioni della secrezione gastrica (correlate alla secrezione acida basale) e salivare ed alterazioni della motilità gastrointestinale.

Esposizioni a rumore intenso possono comportare riduzione del campo visivo per il rosso, deterioramento della visione notturna, discreto incremento della soglia di sensibilità elettrica dell’occhio .

Si è visto che le caratteristiche fisiche del rumore sono correlate alle modificazioni della qualità e della durata  del sonno, anche se l’età e la situazione psicofisica del soggetto sono parametri condizionanti. Esiste una sindrome cronica del disturbo del sonno derivante dalla esposizione prolungata per molti anni al rumore che tende ad aggravarsi nel tempo. In questi pazienti aumenta il numero di risvegli nel corso della notte, si riducono o scompaiono le fasi III,IV e REM del sonno, si verificano variazioni del tracciato elettrocardiografico ed elettroencefalografico del dormiente, aumenta il numero e l’entità dei movimenti del corpo, il numero di brevi risvegli ed il tempo di addormentamento.

Infine un cenno a parte merita il rapporto tra rumore e stress. La ragione per cui il rumore può ragionevolmente indurre alterazioni nell’equilibrio psichico trova peraltro una spiegazione nel fatto che il suono ha un valore di allarme che produce risposte riflesse.

Infatti:

“Esiste una reazione definita dagli psicologi “Reazione di orientamento", caratterizzata dalla liberazione catecolaminica e comprendente alcune reazioni di allarme come midriasi, aumento tono muscolare, tachipnea, tachicardia, incremento della temperatura corporea e del metabolismo basale, modificazioni del tracciato EEG.

La prolungata esposizione nel tempo ad inquinamento acustico determina invece una reazione definita “Reazione di adattamento”, che è caratterizzata da effetti prevalentemente endocrini con incremento dei valori di pressione arteriosa sistematica, di temperatura corporea, della sodiemia e cloremia, della diuresi e della escrezione urinaria  di catecolamine e corticosteroidi e riduzione della sodiemia. Dall’alternanza di reazioni di adattamento e di orientamento scaturisce lo stress da rumore che può sfociare a lungo andare in psicosomatizzazioni a livello di organi bersaglio come l’apparato gastroenterico (ipersecrezione cloridrica, aumentata peristalsi, ulcere), l’apparato respiratorio (aumentata frequenza respiratoria), l’apparato riproduttivo (riduzione fertilità e libido) e financo il sistema immunitario (immunodepressione, trasformazione neoplastica: rapporto stress-cancro)” (F. Beatrice - S. Bucolo, Effetti extrauditivi del rumore; Associazione otorinolaringologi Ospedalieri Italiani, Audiometria in medicina del lavoro e legale e bibliografia citata).

Dall’esposizione prolungata al rumore occupazionale sono derivati all’odierno ricorrente effetti extrauditivi come riconosciuti dalla più accreditata letteratura medica ut supra e ciò sia a breve che a lungo termine.

In particolare, sono conseguiti disturbi gastrointestinali, alterazioni dei movimenti ritmici respiratori, nonché effetti psico-sociali  e quindi interferenze nei rapporti interpersonali e nelle relazioni sociali.

In ordine alla prova dei danni conseguenti al lavoratore dalla attività lavorativa va ricordata la ben nota Sentenza a  Sezioni Unite della Suprema Corte la quale ha enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. Civ. SS. UU. 30.10.2001 n. 13533).

Tutti i pregiudizi andranno pertanto considerati in sede di liquidazione del danno subito dal lavoratore al fine di poter addivenire, con un procedimento logico e corretto, alla determinazione quantitativa del danno in concreto riconoscibile in modo da assicurare un risarcimento integrale che deve ristorare interamente il pregiudizio subito.

La Giurisprudenza ha in proposito chiarito come “al cospetto della lesione di un diritto fondamentale della persona, l'integrità del risarcimento impone di considerare la conseguenza del fatto lesivo, compresi i pregiudizi esistenziali che siano riflesso della gravità della lesione e della sua capacità di compromettere bisogni ed esigenze fondamentali della persona, in base a un criterio di personalizzazione del danno, che tenga altresì conto delle condizioni soggettive del lavoratore” (Cassazione civile  sez. lav. del 21 aprile 2011  n. 9238).