Avviene di frequente che il rapporto di lavoro venga sospeso per le ragioni più varie: aspettativa, malattia, assistenza ai figli in tenera età, Naturalmente l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di una delle due parti del contratto di lavoro deve essere temporanea e non definitiva: in quest’ultimo caso, infatti, si determinerebbe la fine del rapporto stesso. Cause di sospensione per fatto del lavoratore Le cause di sospensione della prestazione per impossibilità del lavoratore sono le seguenti:
  • infortunio e malattia comune: in tali ipotesi, il prestatore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, dagli usi o secondo equità (c.d. periodo di comporto); tale periodo è computato ai fini dell'anzianità di servizio; al lavoratore spetta un trattamento economico che, per i primi tre giorni di assenza, è pari all'intera retribuzione ed è a carico del datore, mentre per i periodi successivi, con le modalità ed i limiti stabiliti dalla legge, è a carico degli enti previdenziali;
  • gravidanza e puerperio: in tali casi, la lavoratrice ha diritto ad un'indennità posta a carico dell'INPS, pari all'80% della retribuzione per il periodo di astensione obbligatoria e ad una indennità pari al 30% della retribuzione per il periodo semestrale di astensione facoltativa (si ricordi che quest'ultima è stata estesa, con l'art. 7, L. 903/1977, al padre lavoratore che si avvalga del diritto all'astensione dal lavoro in alternativa alla madre lavoratrice);
  • aspettativa per funzioni pubbliche elettive e per cariche sindacali: in queste ipotesi è prevista la conservazione del posto senza conservazione della retribuzione;
  • sciopero: il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, ma non alla retribuzione.
Nei casi più rilevanti di sospensione dipendente da fatto del lavoratore, considerati in generale dagli artt. 2110 e 2111 c.c., : ·         il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per il periodo stabilito dalla legge; ·         i periodi di assenza sono computati sull’anzianità di servizio a tutti gli effetti; Sospensione del lavoro per fatto del datore di lavoro Possiamo distinguere essenzialmente i seguenti casi:
  • la sospensione dell'attività produttiva, che ricomprende i casi di interruzione del lavoro o sospensione dell'attività aziendale, dipendenti da fatti riconducibili, direttamente od indirettamente, all'organizzazione produttiva dell'impresa e tali da determinare la oggettiva impossibilità temporanea della prestazione lavorativa . Le sospensioni di breve durata sono poste a carico del datore dalla contrattazione collettiva. Per quelle di maggiore durata il legislatore contempla, a favore dei prestatori, interventi di carattere ordinario, volti a fronteggiare situazioni temporanee di difficoltà aziendale, ed interventi di carattere straordinario, a copertura di situazioni di difficoltà non sempre temporanee, motivate da ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione industriale ovvero da crisi economiche settoriali o locali. In entrambi i casi, appositi organismi previdenziali istituiti presso l'INPS garantiscono ai lavoratori un'integrazione salariale pari all'80% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate, comprese fra le ore 0 ed il limite contrattuale, ma comunque non oltre le 40 ore settimanali. Con riguardo all'intervento straordinario, si ricorda anche che esso trova oggi una nuova ed organica regolamentazione nella L. 23 luglio 1991, n. 223 integrata e modificata dal D.L. 299/94;
  • la sospensione disciplinare, che rientra nella categoria delle sanzioni disciplinari, non può avere durata superiore a 10 giorni e non è, di norma, computabile ai fini dell'anzianità;
  • la sospensione cautelare, che può essere disposta nelle more del procedimento per il licenziamento disciplinare, se prevista dai contratti collettivi.
Le integrazioni salariali Il principio della continuità del salario trova la sua ratio nella esigenza di tutelare la posizione contrattuale del prestatore di lavoro di fronte alle situazioni variabili dell’impresa, svincolando per quanto possibile il diritto alla retribuzione dalle vicende del rapporto di lavoro. Tale principio trova la sua espressione nel sistema degli interventi ordinari e straordinari di integrazione salariale. Il rapporto di lavoro permane: tuttavia, in costanza di intervento di integrazione salariale, vengono sospese le obbligazioni principali connesse al rapporto medesimo, cioè la prestazione di lavoro e la retribuzione. Cessata la causa che ha legittimato la sospensione, il rapporto riprenderà regolarmente. L’integrazione salariale è gestita dall’INPS tramite l’apposita “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti”, in cui confluiscono le tre Casse (agricoltura, edilizia, industria), autonome tra loro. L’intervento ordinario La CIG (Cassa integrazione ordinaria) è prevista in caso di contrazione o sospensione dell’attività produttiva dipendente da situazioni aziendali, siano esse dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o ai dipendenti ovvero siano determinate da situazioni temporanee di mercato che non pongano in dubbio la ripresa della normale attività produttiva. In tale eventualità l’INPS assicura una indennità agli aventi diritto nella misura dell’80% della retribuzione globale di fatto che ad essi sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate fra le 0 ore e il limite dell’orario contrattuale ma comunque non oltre le 40 ore settimanali. La durata massima di tale forma di integrazione è di tre mesi continuativi, eccezionalmente prorogabili trimestralmente fino ad un massimo complessivo di un anno ovvero, per periodi non continuativi, fino ad un massimo di 12 mesi in un biennio. Il funzionamento della cassa avviene con contributi a carico del datore di lavoro nella misura dell’1,90% per le imprese fino a 50 dipendenti e del 2,20% per tutte le altre. Le imprese che si avvalgono della CIG devono versare un contributo addizionale rispettivamente del 4% e dell’8% secondo la dimensione aziendale. L’intervento straordinario La Cassa integrazione straordinaria (CIGS) opera invece in caso di sospensione o riduzione di attività motivata da:
  • ristrutturazione (mutamento delle tecnologie), riorganizzazione (mutamento dell’organizzazione aziendale) o riconversione aziendale (mutamento dell’attività stessa);
  • crisi aziendale di particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore;
  • procedure concorsuali, quali fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria.
La CIGS trova applicazione nelle imprese industriali che abbiano occupato più di 15 dipendenti nel semestre precedente la presentazione della richiesta di cassa di integrazione, e nelle aziende del commercio con più di 50 lavoratori. La CIGS è finalizzata a fronteggiare gravi situazioni di eccedenza occupazionale ed a garantire la continuità del reddito ai lavoratori sospesi dal processo produttivo. Presupposto necessario per l’erogazione del trattamento è la presentazione di un programma mirato al rilancio dell’attività ed alla salvaguardia dei livelli occupazionali. In questo caso l’INPS assicura ai dipendenti, in possesso di un’anzianità di servizio di almeno 90 giorni alla data della richiesta, una indennità nella misura dell’80% della retribuzione globale di fatto che ad essi sarebbe spettata per le ore di lavoro non prestate fra le 0 ore e il limite dell’orario contrattuale ma comunque non oltre le 40 ore settimanali. L’individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione deve essere effettuata applicando specifici criteri, nonché la rotazione nella sospensione, cioè alternando tra loro i lavoratori sospesi. Per poter accedere al trattamento è necessario che venga attivata la seguente procedura i cui tratti essenziali sono: ·         svolgimento di una fase di consultazione sindacale. L’impresa che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale deve darne tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella Provincia; ·         entro tre giorni dalla comunicazione, l’impresa o i rappresentanti dei lavoratori devono fare domanda di esame congiunto della situazione aziendale all’ufficio competente; ·         presentazione della domanda di ammissione al trattamento alla Direzione degli ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione, presso l’ufficio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali preposto all’istruttoria delle richieste (in caso di ristrutturazione, riconversione e riorganizzazione la domanda deve essere presentata anche alla DPL); ·         l’ufficio competente, ricevuta la richiesta corredata dalla documentazione necessaria, valuta da un punto di vista tecnico la sussistenza dei requisiti per la concessione del trattamento, il programma per il rilancio e il risanamento dell’attività aziendale, nonché il piano di riassorbimento dei lavoratori cassintegrati, terminato il periodo di sospensione; ·         pagamento del trattamento ai lavoratori. Per quanto riguarda la durata della CIGS essa è di: ·         24 mesi consecutivi per ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione aziendale, prorogabile per due volte, ciascuna per un massimo di 12 mesi; ·         12 mesi per crisi aziendale prorogabile per altri 12 mesi; ·         12 mesi per procedure concorsuali, prorogabili per altri 6 mesi. In base al D.M. 20/8/2002, tale limite massimo può essere superato nel caso in cui il trattamento sia stato richiesto a causa di procedure concorsuali e a condizione che: ·         l’attività produttiva sia iniziata almeno 24 mesi prima dell’avvio degli interventi di integrazione salariale, protrattisi per il triennio di riferimento; ·         l’attività sia continuata fino a 12 mesi antecedenti l’ammissione alla procedura concorsuale. Il finanziamento della CIGS è a carico dello Stato; tuttavia alcuni oneri contributivi sono a carico dei datori che se ne avvalgono. I contratti di solidarietà I contratti di solidarietà, disciplinati dalla legge n. 863 del 1984, hanno la finalità di evitare la diminuzione dei livelli occupazionali attraverso una generalizzata diminuzione dell’orario di lavor dei lavoratori occupati nell’impresa, attuata in modo giornaliero, settimanale, mensile o annuale. I contratti di solidarietà previsti dalla suddetta normativa sono di due tipi: ·         di carattere difensivo (o congiunturali o interni): con essi la diminuzione dell’orario di lavoro, a fronte della diminuzione delle esigenze produttive, consente di evitare licenziamenti collettivi per esuberanza di personale; ·         di carattere espansivo (o strutturali o esterni): con essi la diminuzione dell’orario di lavoro consente l’assunzione di nuovo personale per incrementare l’occupazione aziendale. In particolare i contratti: ·         hanno di regola una durata pari a 24 mesi; ·         possono essere conclusi esclusivamente attraverso la stipula di un contratto collettivo aziendale da parte delle rappresentanze aziendali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; ·         devono essere autorizzati dal Ministero del Lavoro con proprio decreto; ·         possono applicarsi solo alle imprese rientranti nell’ambito di applicabilità della CIGS. I lavoratori interessati dai contratti di solidarietà difensivi sono i quadri, gli impiegati, gli operai, i soci delle cooperative di produzione e lavoro. Ad essi spetta un trattamento di integrazione salariale che è pari al 60% della retribuzione persa dal lavoratore a seguito della riduzione dell’orario di lavoro. In alcuni casi ragione della sospensione del rapporto di lavoro è nell’impossibilità sopravvenuta della prestazione. Tale impossibilità deve essere temporanea e non definitiva. Quando l’impossibilità sopravvenuta della prestazione sia dovuta a colpa di una delle parti, essa è a suo carico, venendosi pertanto a determinare una sorta di responsabilità contrattuale che, in genere, giustifica il recesso della controparte. Più complessa è l’ipotesi che la successiva impossibilità della prestazione non derivi da una causa imputabile all’una o all’atra parte. Nel rapporto di lavoro l’obbligazione del datore, essendo una obbligazione pecuniaria, non può mai divenire impossibile; impossibile può perciò diventare solo la prestazione di lavoro, poiché trattasi di una prestazione infungibile. Qualora la causa della sopravvenuta impossibilità della prestazione abbia origine da impedimento derivante dall’imprenditore o comunque proprio dell’impresa, l’imprenditore, anche se non vi sia stata sua colpa, viene considerato in mora, con tutte le relative conseguenze.