L’art. 65 del T.U. 165/01 contenente le Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, nell’ottica della  contrattualizzazione del pubblico impiego, ha previsto il tentativo obbligatorio di conciliazione, parallelo a quello di cui all’art. 410 c.p.c., per le controversie individuali devolute alla competenza del giudice ordinario.   Anche per le controversie con datore di lavoro pubblico è stata, quindi, introdotta una fase pre-giudiziale del contenzioso.   Anche nel settore del pubblico impiego la conciliazione si inserisce nell'ambito dell'istituto disciplinato dall'art. 410 c.p.c., pur presentando alcuni caratteri di specialità, giustificati dalle persistenti differenze tra lavoro pubblico e privato.   La prima differenza riguarda la competenza territoriale: l'art. 66, co. 1, T.U. 165/01 prevede che il tentativo si svolga "presso la Direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto”; ciò in parallelo con la disposizione di cui all’art. 413, co. 5, c.p.c., che non prevede per le controversie di pubblico impiego l’applicazione degli altri fori di cui all’art. 413 c.p.c.   Diverso è poi l’organo che deve gestire la conciliazione: il collegio si istituisce pur sempre presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ma è, per così dire, a composizione variabile, in quanto di esso fanno parte il direttore dell'ufficio o un suo delegato, un rappresentante dell'Amministrazione e un rappresentante del lavoratore. La Direzione provinciale ha poi il compito di dare supporto logistico al collegio, mettendogli a disposizione una segreteria tecnica.   Un altro punto riguarda il procedimento. Quello proprio delle conciliazioni nel pubblico impiego è più formalizzato; infatti, sono statuiti espressamente taluni adempimenti che devono essere svolti sia dal lavoratore dipendente che dall'Amministrazione.   L'amministrazione, infatti, entro 30 giorni dal momento in cui riceve, con raccomandata inoltrata dal lavoratore dipendente, la richiesta del tentativo di conciliazione - che deve contenere l'indicazione della pretesa e delle ragioni poste a suo fondamento, anticipando il petitum e la causa petendi - deve presentare le proprie deduzioni scritte, a meno che non intenda aderire alle richieste del lavoratore.   L’Amministrazione pubblica è, infatti, in condizione di valutare la proposta del dipendente prima che questi agisca in giudizio, considerato l’obbligo previsto dall’art. 12 T.U. 165/01 di “organizzare la gestione del contenzioso del lavoro, anche creando appositi uffici, in modo da assicurare l'efficace svolgimento di tutte le attività stragiudiziali e giudiziali inerenti alle controversie”.   La fase conciliativa si instaura soltanto nell’eventualità che la p.a. non intenda aderire alla richiesta e quindi abbia presentato le proprie controdeduzioni e nominato il rappresentante in seno al collegio.   La norma prevede inoltre che, se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione, che costituisce titolo esecutivo, e che, come i verbali di conciliazione dei dipendenti di lavoro privati sottoscritti in sede sindacale od innanzi all’ufficio provinciale del lavoro, è sottratto al regime di impugnabilità di cui all’art. 2113 c.c.   Se, invece, l’accordo non viene raggiunto, il collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia, proposta, appunto, obbligatoria, e che, se non accettata, viene riassunta nel verbale, con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti; il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa rileva nel successivo giudizio ai fini del regolamento delle spese. E’ espressamente previsto che la conciliazione della lite da parte del funzionario della p.a. delegato a rappresentarla in questa fase in adesione alla proposta formulata dal collegio non può dar luogo a responsabilità amministrativa.   La domanda giudiziale (art. 65, co. 2) “diviene procedibile trascorsi novanta giorni dalla presentazione della richiesta del tentativo di conciliazione”. L’allungamento del termine, rispetto a quello indicato dall’art. 410 bis c.p.c., si spiega per la maggiore formalizzazione della conciliazione nel settore pubblico e, in particolare, per gli adempimenti posti a carico delle parti.   Un’ultima disposizione speciale è dettata nell'ultima parte del comma 3 dell’art. 65, secondo cui la parte “contro la quale è stata proposta la domanda” in violazione delle disposizioni sul tentativo obbligatorio di conciliazione, dopo che questo sia stato sperimentato a seguito dell’improcedibilità eccepita tempestivamente o rilevata dal giudice e dopo la successiva procedura di sospensione, fissazione del termine perentorio e riassunzione, “con l'atto di riassunzione o con memoria... può modificare o integrare le proprie difese e proporre nuove eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio”.   La Giurisprudenza ha, poi, elaborato i criteri da utilizzare in subiecta materia ai fini dell’applicazione delle norme sopra richiamate. Il sistema legislativo vigente non consente al privato di ricorrere al giudice amministrativo in sede di ottemperanza per ottenere l'esecuzione del contenuto dei verbali di conciliazione ex art. 66 d.lg. n. 165 del 2001 (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 19 maggio 2008, n. 522).   È inammissibile il ricorso proposto per l'ottemperanza al verbale di conciliazione previsto dall'art. 66 comma 5, d.lg. 30 marzo 2001 n. 165 non essendo esso provvedimento giurisdizionale, atteso che la commissione di conciliazione non esercita funzioni giurisdizionali ma amministrative, né il visto di esecutività ad esso apposto vale a trasformarlo in atto giurisdizionale (Consiglio Stato, sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5480 ).   L'art. 66 d.lg. n. 165 del 2001, relativo al collegio di conciliazione, dispone che ferma restando la facoltà del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 65 si svolge dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore è addetto e se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione e il verbale è titolo esecutivo; costituisce, pertanto, obbligo dell'amministrazione riconoscere ad aspiranti insegnanti nella graduatoria, il servizio loro riconosciuto in sede di conciliazione; è, pertanto, illegittima una graduatoria nella parte in cui non riconosce agli aspiranti il servizio oggetto del verbale di conciliazione e sussiste l'obbligo per l'amministrazione di adeguarsi in tal senso nella redazione delle future graduatorie (T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 03 novembre 2006, n. 2125).   Con riferimento al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, l'art. 6 del contratto collettivo nazionale quadro in materia di procedure di conciliazione e arbitrato del 2001 - del quale la Corte può direttamente accertare il significato (art. 63, comma 5, d.lg. n. 165 del 2001) - va interpretato nel senso che: la previsione dell'impugnazione delle sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina, previsti dall'art. 59 del d.lg. n. 29 del 1993 (ora art. 55 del d.lg. n. 165 del 2001), è limitata solo all'individuazione dei collegi; tali collegi emettono un lodo irrituale ai sensi degli art. 59 bis, 69 e 69 bis del d.lg. n. 29 del 1993 (ora art. 56, 65 e 66 del d.lg. n. 165 del 2001) e 412 ter c.p.c. (come modificato dall'art. 19 del d.lg. n. 387 del 1998); tale lodo non è identificabile con quello rituale di cui all'art. 59, comma 7, d.lg. n. 29 del 1993, trattandosi di lodo previsto dalla contrattazione collettiva; la sua impugnazione è disciplinata dall'art. 412 quater; dovendosi, invece, escludere - sulla base di un interpretazione letterale e sistematica della suddetta norma - che le parti abbiano inteso far rivivere con il contratto quadro l'intero sistema delle impugnazioni riferibile all'art. 59 cit., destinato, secondo la previsione legislativa, a cessare di efficacia proprio con la contrattazione collettiva. Conseguentemente, è inammissibile l'impugnazione del suddetto lodo proposta dinanzi alla Corte d'appello, non essendo possibile la traslatio iudici al tribunale competente (Cassazione civile, sez. lav., 10 ottobre 2005, n. 19679).   In sede di aggiornamento della graduatoria permanente del personale docente degli istituti di istruzione di secondo grado, qualora nel corso della procedura di conciliazione ai sensi dell'art. 66 d.lg. n. 165 del 2001 si sia operato il riconoscimento di un servizio prestato, detto servizio va riconosciuto e valutato a tutti gli effetti (T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 29 giugno 2005, n. 1084).