Con la sentenza n. 4841 del 16/04/2015 il Tribunale di Milano aveva affrontato un caso di danno cagionato a seguito di un investimento di pedone, poi aggravato in misura determinante dalla condotta negligente dell’azienda ospedaliera presso il quale era stato ricoverato.
Ed infatti, in seguito alle cure negligentemente prestate dai sanitari, il soggetto investito contraeva una grave infezione nosocomiale e si verificavano lesioni ben più gravi di quelle direttamente riconducibili all’incidente stradale.
In primo grado il Tribunale, accertate le negligenze del personale dell’azienda ospedaliera convenuta, aveva risolto la problematica legata alla ripartizione delle colpe e conseguentemente aveva quantificato il danno condannando le parti in solido al pagamento dell’intera somma.
La compagnia di assicurazione del veicolo investitore, tuttavia, ha proposto appello con un unico motivo lamentando che il Tribunale, dopo aver ripartito la responsabilità per i danni cagionati, in misura del 40% in capo all’investitore e del 60% in capo all’azienda ospedaliera, avesse errato nel quantificare tale danno in considerazione del valore punto da attribuire nel calcolo dal momento che il primo aveva cagionato un danno biologico (riconducibile alla frattura) pari al 12% mentre la seconda un danno del 28% (conseguente alla grave infezione nosocomiale contratta dopo il ricovero).
Alla luce di tale ripartizione l’appellante chiedeva, dunque, la riforma della sentenza impugnata ovvero una diversa quantificazione del danno che tenesse in considerazione il peso progressivamente crescente del punto.
La Corte d’Appello, con la sentenza che si segnala in questa sede, ha accolto le doglianze dell’appellante ritenendo che, in effetti, il Giudice di prime cure non ha considerato che, in caso di calcolo del danno differenziale, il valore del punto di danno biologico cresce non proporzionalmente ma progressivamente.
Secondo la Corte il danneggiante deve rispondere dell’intero danno cagionato dalla propria condotta ma non dei danni pregressi nè di quelli successivi che non dipendono da tale condotta la quale non nè costituisca cioè antecedente causale e che si sarebbero verificati a causa del comportamento di un terzo.
Quanto ai profili giuridici i Giudici richiamano alcuni precedenti della Suprema Corte la quale, tuttavia, pur ribadendo tale principio ha sottolineato che debbono essere addebitati all’agente i maggiori danni, o gli aggravamenti, che siano sopravvenuti per effetto della sua condotta, anche a livello di concausa, e non di causa esclusiva, e non si sarebbero verificati senza di essa, con conseguente responsabilità dell’agente stesso per l’intero danno differenziale (si veda ad esempio Cass. Civ., n. 9528 del 12/06/2012).
Non solo. In tema di responsabilità medica conseguente ad altro sinistro gli Ermellini avevano già espresso il seguente principio di diritto: “allorquando un intervento medico si esegua su una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente e risulti, secondo le regole di una sua esecuzione ottimale e per quanto accertato a posteriori, che la situazione avrebbe potuto essere ripristinata soltanto in parte e non integralmente, e che, dunque, l’intervento comunque avrebbe lasciato al paziente una percentuale di compromissione della integrità, qualora la cattiva esecuzione dell’intervento abbia determinato una situazione di compromissione dell’integrità fisica del paziente ulteriore rispetto alla percentuale che non si sarebbe potuta eliminare, il danno-evento dev’essere individuato nella compromissione della integrità dal punto percentuale corrispondente a quanto non sarebbe stato eliminabile fino a quello corrispondente alla compromissione effettivamente risultante. Ne consegue che, ai fini della liquidazione con il sistema tabellare deve assumersi come percentuale di invalidità non quella corrispondente al punto risultante dalla differenza fra le due percentuali, bensì la percentuale corrispondente alla compromissione effettivamente risultante, di modo che da quanto monetariamente indicato dalla tabella per esso deve sottrarsi quanto indicato per la percentuale di invalidità non riconducibile alla responsabilità” (così Cass. Civ., n. 6341 del 19/03/2014).
In applicazione dei suddetti principi la Corte d’Appello ha così riformato la sentenza di primo grado condannando l’azienda ospedaliera a rifondere il maggior danno pagato dalla compagnia di assicurazioni appellante tenendo, tuttavia, indenne il danneggiato rispetto alle domande restitutorie a lui avanzate e ciò in applicazione del principio della responsabilità solidale tra le parti.