Il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa

Una particolare forma di danno patrimoniale risarcibile a seguito di un sinistro stradale discende dalle gravi lesioni fisiche riportate dal danneggiato.

Si tratta di un danno patrimoniale, sovente inquadrato come «danno futuro da lucro cessante».

Oggi si può parlare di “danno da incapacità lavorativa specifica” quando le lesioni subite incidano sulla capacità del soggetto di continuare a svolgere la propria attività lavorativa, provocando una contrazione del reddito. Costituisce, pertanto, un danno patrimoniale risarcibile autonomamente.

Invece, la capacità lavorativa generica, intesa quale potenziale attitudine all'attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, né è in procinto presumibilmente di svolgerla, in base alla consolidata giurisprudenza della Cassazione, è conglobata nella liquidazione del danno biologico che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato.

Infatti, la capacità lavorativa generica - ovvero la potenziale idoneità ad espletare qualsivoglia attività di lavoro da parte di ogni soggetto umano - è una qualità della vita essenziale che attiene alla cd. produttività dell’uomo (cioè la capacità di agire operosamente, a prescindere dai risultati o dai campi di azione), un aspetto intrinseco e coessenziale alla salute umana, sicché la menomazione dell’integrità psico-fisica ne determina una riduzione o perdita contestuale, da valutarsi unitariamente nell’ambito del danno biologico, “con criteri areddituali inerendo al valore dell’uomo come persona” (Cass., 22 febbraio 2002, n.2589, in Danno e resp., 2002, 613).

Il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica

Il danno derivante dalla perdita o dalle compromissione della capacità lavorativa specifica può essere assimilato, sotto vari aspetti, al danno da perdita di chances, tanto che, talvolta, sono stati fusi in un’unica posta di danno.

Tale danno può verificarsi anche nell’ipotesi in cui vi sia la perdita di un incremento di reddito o di un avanzamento di carriera.

Laddove il danneggiato già eserciti un’attività lavorativa è configurabile un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa solo dietro dimostrazione di un’effettiva contrazione dei guadagni.

Pertanto, occorre effettuare una duplice valutazione, appurando preliminarmente se i postumi subiti abbiano o meno influenza sull’attività lavorativa, per poi valutare in che misura le lesioni incidano sul reddito del soggetto leso.

Di conseguenza, detto danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto, attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgeva (o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente avrebbe svolto) un'attività produttiva di reddito.

Ai fini dell’individuazione del danno risarcibile occorre effettuare una valutazione prognostica del mancato guadagno basata su un criterio probabilistico(Cass., 20.01.2006, n. 1120. V. anche Cass. civ. 27.04.2010, n. 10074).

In tal caso, infatti, il giudice, basandosi sugli elementi probatori fornitigli e su una conoscenza empirica dei fenomeni sociali, deve valutare non solo l’incidenza della lesione fisica sulla specifica attività ma anche sulla possibilità di trovare un lavoro o di far carriera.

Danno alla casalinga

Nel caso in cui sia una persona non dedita ad un’attività lavorativa a subire una lesione, già in passato, si sono creati due opposti orientamenti.

Secondo la tesi più recente, per risolvere la questione, questa andrebbe affrontata dando rilievo al concetto di dinamicità del danno. Infatti, se è vero che il disoccupato nell’immediato non subisce alcuna perdita sul piano patrimoniale, è anche vero che sarebbe giusto accertare la dinamicità del danno subito o l’idoneità dello stesso ad influire sulle future possibilità di guadagno del danneggiato, specialmente nel caso di danni alla persona con effetti permanenti.

In tal modo, il danno di natura patrimoniale potrebbe riconoscersi anche al soggetto non lavoratore danneggiato, nella misura in cui sia ravvisabile un pregiudizio durevole capace, quindi, di limitare anche in futuro, la capacità di produrre reddito: è evidente che saremmo di fronte ad una tipica ipotesi di danno patrimoniale futuro.

Questa impostazione è stata seguita anche dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale: un danno patrimoniale risarcibile da riduzione della capacità di guadagno può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza una occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto, in tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito all’epoca dell’infortunio può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che, proiettandosi per il futuro, verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà un’attività remunerata. 

Questo danno si ricollega con ragionevole certezza alla riduzione delle capacità lavorative specifiche conseguenti alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita e va liquidato in aggiunta rispetto a quello del danno biologico riguardante il bene della salute. 

Il danno in questione può anche liquidarsi in via equitativa tenuto conto dell’età della vittima stessa, del suo ambiente sociale della sua vita di relazione (cfr. Cass. Civ., 15.4.1996, n. 3539).

Infatti, in merito a tale questione, l’effettiva difficoltà di individuare un criterio risarcitorio omogeneo per tale lesione non ne può comunque pregiudicare l’autonoma risarcibilità, ove l’entità del danno non incida solo sulla integrità psico-fisica, ma anche sulla capacità futura di guadagno derivante dall’esercizio di una presumibile, probabile, attività produttiva di reddito conforme alle abilità o qualificazioni tecnico-professionali di cui la persona sia già in possesso o sia in grado di acquisire secondo criteri di normalità proiettiva.

Pertanto, occorrerà effettuare una valutazione prognostica di un danno certus an incertus quando ma che presumibilmente si verificherà, salvo che non si ritenga di poter escludere a priori che il danneggiato non intraprenderà mai alcuna attività lavorativa. Trattasi, però, di una prognosi difficile da provare nella generalità dei casi.

Per poter addivenire ad una quantificazione del danno possono essere utilizzati parametri quali le specifiche attitudini e capacità del danneggiato, lo stato degli studi intrapresi o da intraprendere, la situazione del marcato del lavoro, sia in generale, sia con riferimento alla specifica presumibile attività.

La prova, in tal caso, sia pure fondata su elementi presuntivi, dovrà essere rigorosa in quanto priva la parte lesa di un risarcimento collegato alla impossibilità di svolgere, in tutto o in parte, attività lavorativa, con perdita di remunerazione.

Si tratta di un danno patrimoniale che può essere liquidato anche in via equitativa, purchè vengano forniti elementi concreti di valutazione, in base al criterio della perdita di chance.

L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale in materia ha portato a riconoscere il risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica anche in favore della casalinga.

La ratio di tale scelta si rinviene nella rilevanza economica riconosciuta all’attività prestata all’interno del nucleo familiare[1].

Infatti, va considerato che sovente le persone che non possono dedicarsi alla cura della casa ricorrono ad aiuti di lavoratori esterni (colf, badanti, ecc.).

La giurisprudenza ha stabilito che si tratta di un’attività che non si esaurisce nelle faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare e il suo fondamento va rinvenuto nell’art. 4 della Costituzione ovvero nella libertà di scegliere qualsiasi forma di lavoro.

 Per questo si tratta di un’autonoma voce di danno patrimoniale, che non rientra nel più generico danno biologico.

Inoltre, l’analisi delle dinamiche sociali che sottendono all’attuale svolgimento della vita domestica hanno portato ad enucleare varie ipotesi in cui risarcire tale danno.

Una prima ipotesi si ha nel caso della casalinga part-time. In questa fattispecie tale danno può concorrere con quello alla capacità lavorativa “professionale”, aggiungendosi a quest’ultimo[2].

Il danno da lesione della capacità lavorativa specifica della casalinga può essere riconosciuto anche qualora la persona danneggiata si avvalga di una colf, ove si dimostri che vi è comunque un’attività di coordinamento e sorveglianza del personale domestico.

Un’altra ipotesi è stata ravvisata nel risarcimento riconosciuto al “single”, prescindendo dal concomitante svolgimento di un’attività lavorativa[3].

In questo caso le lesioni invalidanti possono determinare un’ulteriore danno dovuto alle spese sostenute per affidare tali compiti ad altra persona.

O ancora, è ravvisabile quando il soggetto leso sia di sesso maschile. Nulla, infatti, può muovere a favore di una disparità di trattamento.

La prova di tale voce di danno potrà essere fornita anche mediante presunzioni. Comunque, la stessa dovrà essere rigorosa, stante le diverse possibilità di suddivisione del lavoro all’interno della famiglia, anche tra gli stessi coniugi, non esistendo schemi consolidati o precostituiti, dovendosi valutare attentamente le non sempre attendibili dichiarazioni testimoniali di amici e parenti del danneggiato e la difficoltà di fornire la prova contraria da parte del danneggiante.

Per quanto concerne la quantificazione del risarcimento, invece, sono vari i criteri adottati dalla giurisprudenza: dal richiamo del reddito corrisposto a personale domestico alla liquidazione gabellare in base al reddito del soggetto leso, al triplo della pensione sociale.



[1] Cass. 3 marzo 2005, n. 4657, in Foro It., 2005, I, 2756

[2] Trib. Treviso, 11 aprile 1996, in Riv. giur. circ. trasp., 1996, p. 1002.

[3] Cass. civ., 3 marzo 2005, n. 4657, cit.