A partire dall’11 Agosto 2023 è entrata in vigore una rilevante modifica in merito al titolo di soggiorno che possono ottenere i familiari extracomunitari dei cittadini dell’Unione Europea.
Antecedentemente a quella data, il familiare otteneva una carta di soggiorno della durata di cinque anni dopo novanta giorni dal suo ingresso in Italia, all’esito del quale si riuniva al cittadino italiano o comunque cittadino di un Paese dell’Unione Europea (che a sua volta si fosse stabilito in Italia). Alla scadenza di quel titolo, poteva o rinnovarlo oppure chiedere la carta di soggiorno permanente (ossia a tempo illimitato).
La legge n. 103/2023 (che ha convertito il decreto legge n. 69/23) ha introdotto, appunto dall’Agosto 2023, una distinzione fra l’ipotesi del familiare extracomunitario di un cittadino comunitario che a sua volta viva in un Paese dell’Unione Europea che non sia il suo di origine (esempio: un italiano che vada a vivere in Francia) e l’ipotesi del familiare del cittadino comunitario che tuttora viva nel proprio Paese di origine (esempio: un italiano che viva in Italia). Tale distinzione è stata introdotta modificando l’art. 23 del decreto legislativo 30 del 2007: la prima ipotesi è stata individuata all’interno del preesistente comma 1, mentre la seconda è stata creata attraverso l’introduzione del comma 1 bis.
Quale è dunque la situazione giuridica per il familiare straniero che raggiunga, per esempio, un cittadino italiano in Italia, anziché in un altro Paese dell’Unione Europea ? Non più carta di soggiorno di cinque anni, ma permesso di soggiorno per motivi familiari sempre di cinque anni ma ai sensi del Testo Unico Immigrazione e che, soprattutto, non potrà mai trasformarsi in carta di soggiorno permanente ma solo essere rinnovato (ma questo solo finchè rimarrà la convivenza con il cittadino italiano, ossia la condizione di familiare convivente), oppure convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (a patto naturalmente di avere i requisiti reddituali per ottenere tale tipo di permesso).                                                                                           
Insomma, un arretramento nei diritti del familiare straniero di un cittadino comunitario che, ipoteticamente, non versi in condizioni economiche tali da potersi permettere di emigrare a sua volta in un altro Paese europeo.