Premessa.
La sentenza in commento costituisce un primo e recente segno di apertura del Consiglio di Stato in relazione alla posizione dei lavoratori extra UE beneficiari di istanza di “emersione dal lavoro irregolare”, la c.d. sanatoria una tantum per immigrati irregolari. Parliamo, in particolare, dell’ultima sanatoria in ordine di tempo, istituita dall’art. 5 del D. Lgs. n. 109/2012 e costituente, com’è avvenuto per quelle ad essa precedenti, un “condono” di natura eccezionale e derogatoria che consente di addivenire, a certe condizioni, alla regolarizzazione, sotto tutti i profili normativamente rilevanti, del rapporto di lavoro “in nero” intercorrente fra un datore di lavoro e un cittadino straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale. Ci interesseremo, in maniera particolare, ai profili afferenti alla posizione del lavoratore straniero che, in caso di esito positivo della relativa istruttoria, ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno che consente di svolgere legalmente (o di reperire) attività lavorativa in Italia.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 5243/2015 rappresenta - e salvo futuri ripensamenti da parte del giudice amministrativo d’appello – un possibile viatico per i lavoratori stranieri che, in base al precedente orientamento giurisprudenziale, vedevano negarsi il rilascio del permesso di soggiorno laddove la domanda di emersione venisse rigettata per irregolarità riscontrate nella sfera giuridica soggettiva del datore di lavoro – con particolare riferimento, come si vedrà, al mancato versamento degli importi retributivi, contributivi e fiscali discendenti dal rapporto di lavoro – costituendo tale circostanza, almeno sino alla sentenza in esame, un decisivo e tendenzialmente insuperabile impedimento alla regolarizzazione dello straniero.

La cornice normativa.
La procedura di emersione è disciplinata dalla disposizione di cui all’art. 5, comma 1, D. Lgs. n. 109/2012, che così dispone: “I datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso del titolo di soggiorno previsto dall'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo occupano irregolarmente alle proprie dipendenze da almeno tre mesi, e continuano ad occuparli alla data di presentazione della dichiarazione di cui al presente comma, lavoratori stranieri presenti nel territorio nazionale in modo ininterrotto almeno dalla data del 31 dicembre 2011, o precedentemente, possono dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro allo sportello unico per l'immigrazione, previsto dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modifiche e integrazioni. La dichiarazione è presentata dal 15 settembre al 15 ottobre 2012 con le modalità stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione e con il Ministero dell'economia e delle finanze da adottarsi entro venti giorni dall'entrata in vigore del presente decreto. In ogni caso, la presenza sul territorio nazionale dal 31 dicembre 2011 deve essere attestata da documentazione proveniente da organismi pubblici”.
L’inoltro da parte dei datori di lavoro della dichiarazione di emersione – che doveva avvenire esclusivamente in via telematica, nel periodo compreso fra metà settembre e metà ottobre 2012 – ha determinato l’effetto, a mente del comma 6, che “dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino alla conclusione del procedimento di cui al comma 1 del presente articolo” rimanessero sospesi “i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le violazioni delle norme relative:
a)  all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, con esclusione di quelle di cui all'articolo 12 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni;
b)  al presente provvedimento e comunque all'impiego di lavoratori anche se rivestano carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale”.
Il successivo comma 11 precisa che “nelle more della definizione del procedimento (di emersione) lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi previsti al successivo comma 13. La sottoscrizione del contratto di soggiorno, congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione di cui al comma 9 e il rilascio del permesso di soggiorno comportano, rispettivamente, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 6”.
Ciò premesso in termini generali, si osserva che il comma 5 del citato art. 5, D. Lgs. n. 109/2012, prescrive che “La dichiarazione di emersione di cui al comma 1 è presentata previo pagamento, con le modalità previste dal decreto interministeriale di cui al comma 1 del presente articolo, di un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore. … La regolarizzazione delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale pari ad almeno sei mesi è documentata all'atto della stipula del contratto di soggiorno secondo le modalità stabilite dal decreto ministeriale di cui al comma 1. È fatto salvo l'obbligo di regolarizzazione delle somme dovute per l'intero periodo in caso di rapporti di lavoro di durata superiore a sei mesi”.
La disposizione di cui al comma appena citato comportava in ogni caso - sino all’entrata in vigore della nuova disciplina, introdotta per il tramite del D.L. 28 giugno 2013, n. 76, di cui si dirà - che il mancato pagamento del contributo forfettario di 1.000 euro e/o il mancato versamento delle somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale precludessero la possibilità in capo al lavoratore di ottenere il permesso di soggiorno.
Successivamente, come anticipato, per il tramite dell’art. 9, comma 10, D.L. 28 giugno 2013, n. 76 (convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99), sono stati inseriti nel corpo dell’art. 5, D. Lgs. n. 109/2012 i commi 11-bis, 11-ter e 11-quater, che testualmente si riportano:
11-bis.  Nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, previa verifica da parte dello sportello unico per l'immigrazione della sussistenza del rapporto di lavoro, dimostrata dal pagamento delle somme di cui al comma 5, e del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, al lavoratore viene rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione. I procedimenti penali e amministrativi di cui al comma 6, a carico del lavoratore, sono archiviati. Nei confronti del datore di lavoro si applica il comma 10 del presente articolo.
11-ter.  Nei casi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto di una dichiarazione di emersione non ancora definita, ove il lavoratore sia in possesso del requisito della presenza al 31 dicembre 2011 di cui al comma 1, la procedura di emersione si considera conclusa in relazione al lavoratore, al quale è rilasciato un permesso di attesa occupazione ovvero, in presenza della richiesta di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro, un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, con contestuale estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 6.
11-quater.  Nell'ipotesi prevista dal comma 11-ter, il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento delle somme di cui al comma 5 sino alla data di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro; gli uffici procedono comunque alla verifica dei requisiti prescritti per legge in capo al datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione, ai fini dell'applicazione del comma 10 del presente articolo”.
Il combinato disposto di cui ai commi sopra riportati reca, dunque, la disciplina di due nuove fattispecie, in relazione ai possibili esiti dell’istruttoria amministrativa preordinata alla definizione della domanda di emersione. Infatti, il comma 11-bis disciplina – e trattasi di una novità assoluta per le sanatorie per immigrati irregolari - l’ipotesi di rigetto della domanda “per cause imputabili al datore di lavoro”, prescrivendo che in tal caso venga rilasciato al lavoratore un permesso di soggiorno per attesa occupazione, subordinato, tuttavia, alla previa verifica della presenza in Italia del lavoratore medesimo (attestata, ai sensi del comma 1, esclusivamente mediante documentazione proveniente da organismi pubblici); deve, altresì, essere stato effettuato dal datore di lavoro il pagamento delle somme di cui al comma 5 (sarebbe a dire, del contributo forfettario e degli oneri retributivi, previdenziali e fiscali discendenti dal rapporto di lavoro), in quanto tale circostanza costituisce, per espressa previsione del medesimo comma 11-bis, la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro “emerso”.
 Il citato comma sembrerebbe, dunque, introdurre una regola (la non imputabilità al lavoratore straniero delle irregolarità amministrative afferenti alla sfera giuridica soggettiva del datore di lavoro), salvo poi prevedere, in maniera alquanto contraddittoria e discutibile, l’eccezione a quella stessa regola (il necessario versamento delle “somme di cui al comma 5” al fine del rilascio del permesso di soggiorno – versamento che, tuttavia, compete al datore di lavoro).
Per effetto della menzionata modifica legislativa è stata, altresì, introdotta una seconda fattispecie di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione. Infatti, il successivo comma 11-ter dell’art. 5, D. Lgs. n. 109/2012 prescrive che, nei casi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto della domanda di emersione, al lavoratore venga rilasciato il suddetto permesso di soggiorno per attesa occupazione (ovvero, un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, laddove vi sia richiesta di assunzione da parte di un nuovo datore di lavoro), previa attestazione della presenza ininterrotta in Italia fornita dal lavoratore medesimo. Il comma 11-quater completa la fattispecie in esame, precisando che, in tale specifica ipotesi, “il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento delle somme di cui al comma 5 sino alla data di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro”. Si osserva sin d’ora che, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, il mancato versamento delle somme di cui al comma 5 non pregiudica – a differenza di quanto avviene nell’altra ipotesi, prevista dal comma 11-bis – il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di attesa occupazione in favore dello straniero, limitandosi il comma 11-quater a prescrivere che il datore di lavoro resta il solo soggetto responsabile in relazione al mancato pagamento di tali importi (con ciò intendendosi che, sino alla loro completa regolarizzazione, non può determinarsi l’archiviazione nei suoi confronti di tutti i procedimenti penali e amministrativi scaturenti dall’assunzione “in nero” del lavoratore straniero).

Il quadro giurisprudenziale.
Il giudice amministrativo ha, in un primo momento, adottato un’interpretazione restrittiva della normativa in esame, da ultimo esemplificata e confermata da Cons. Stato, Sez. III, 8.7.2015, n. 3422 (e, in maniera analoga, dalla sentenza n. 3644 del 23.7.2015 della medesima Sezione), in cui si è affermato che “in materia di immigrazione, l’art. 5, comma 11 bis, D.Lgs. n. 109 del 2012, nello stabilire che il lavoratore per il quale è stata presentata domanda di regolarizzazione non può subire le conseguenze negative dovute ad inadempimenti del datore di lavoro, richiede comunque, ai fini della regolarizzazione, il versamento delle somme di cui al precedente comma 5”[1]. In tale occasione fu confermata la determinazione dell’Amministrazione dell’Interno di non concedere al lavoratore straniero il permesso di soggiorno, ritenendosi comunque, a tal fine, necessario il previo versamento da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali maturati in costanza del rapporto lavorativo[2].
In precedenza, Cons. Stato, Sez. III, 11.5.2015, n. 2332 aveva sostenuto che la necessità – anche in relazione al rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione di cui al comma 11 bis – del previo versamento degli importi prescritti a titolo retributivo, contributivo e fiscale da parte del datore di lavoro è connessa alla finalità “di evitare l’abuso generalizzato dello strumento della regolarizzazione”, in quanto il legislatore, in tale specifica fattispecie, “non ha considerato l’eventuale inosservanza di tale obbligo nella categoria delle inadempienze «imputabili esclusivamente al datore di lavoro» (come nel caso del reddito insufficiente, della mancata stipula del contratto di soggiorno o della mancanza di altri requisiti soggettivi del richiedente), ma ha ritenuto di attribuire al versamento degli importi in questione valenza probatoria della stessa sussistenza del rapporto di lavoro da regolarizzare”.

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 17.11.2015, n. 5243.
Il Consiglio di Stato è, tuttavia, di recente intervenuto nuovamente sulla questione con la sentenza in esame che segna, in attesa di ulteriori conferme, un’apertura in favore dei lavoratori stranieri ai quali era stato, sino a quel momento, impedito di regolarizzare la propria posizione a causa di inadempienze afferenti alla sfera soggettiva del datore di lavoro. Il Collegio giudicante ha, infatti, ritenuto che “l’art. 5, comma 11-bis, del D. Lgs. n. 109/2012 deve essere interpretato nel senso di consentire al lavoratore di dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro anche a fronte del (e dunque indipendentemente dal) mancato versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro” e ciò “in ragione della dovuta interpretazione del comma 11-bis cit. in senso conforme alla Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 18 giugno 2009, n. 2009/52/CE laddove al Considerando n. 17 sottolinea l’esigenza che «il lavoratore dovrebbe anche avere l'opportunità di dimostrare l'esistenza e la durata di un rapporto di lavoro»”. Conseguentemente, secondo il giudice amministrativo d’appello, “nei casi in cui la dichiarazione di emersione sia respinta per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, cui necessariamente deve ricondursi quello di specie, in cui l’emersione è stata denegata per mancata apertura da parte della ditta della posizione INPS riferita al personale oggetto di emersione, ch’è adempimento posto solo e soltanto a carico del datore – il mancato pagamento delle somme di cui al comma 5 dell’art. 5 cit. deve ritenersi configurare una presunzione, normativamente prevista, di insussistenza del rapporto di lavoro, superabile dall’interessato mediante la deduzione e prova di ogni altro elemento utile e pertinente a tal fine, con la conseguenza che, una volta così dimostrata l’effettività dell’intercorso rapporto di lavoro quale presupposto essenziale per il conseguimento del titolo di soggiorno per attesa occupazione, solo il datore di lavoro resterà responsabile per il pagamento delle somme indicate, come del resto prescritto espressamente dal successivo comma 17-quater (recte: 11-quater) se pure con riferimento alla del tutto analoga ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro oggetto della dichiarazione di emersione, prevista dal comma 11-ter)”.
Il Consiglio di Stato, dunque, richiamandosi ad un principio contenuto nella direttiva comunitaria che sta alla base della normativa sull’emersione, afferma che debba comunque essere consentito al lavoratore di provare autonomamente l’esistenza del rapporto di lavoro e che, correlativamente, l’eventuale presunzione normativa d’inesistenza del rapporto di lavoro – discendente, a mente dell’art. 5, comma 11-bis, del D. Lgs. n. 109/2012, dal mancato pagamento del contributo forfettario e degli ulteriori importi dovuti a titolo retributivo, contributivo e fiscale – è da considerarsi una mera presunzione iuris tantum, superabile mediante allegazione di ogni altro elemento utile[3]. Inoltre, il supremo giudice amministrativo lascia intendere che tale facoltà deve essere concessa al lavoratore tanto nell’ipotesi di cui al comma 11-bis (rigetto della domanda per motivi imputabili al datore di lavoro), quanto nell’ipotesi di cui al comma 11-ter (cessazione del rapporto di lavoro intervenuta nelle more dell’istruttoria amministrativa), quasi a voler dire che la norma di cui al comma 11-quater (“il datore di lavoro che ha presentato la dichiarazione di emersione resta responsabile per il pagamento delle somme di cui al comma 5”) costituisca l’espressione di un principio generale, applicabile ad entrambe le fattispecie.

Conclusioni.
In attesa di ulteriori indicazioni della giurisprudenza e della prassi, la pronuncia esaminata offre, per la prima volta, lo spunto per una vera (e auspicata) divaricazione – in relazione ai possibili esiti della procedura di emersione – fra la posizione del datore di lavoro e quella del lavoratore straniero, ispirata a comprensibili criteri di buon senso e di giustizia. Pur essendo la pregressa prassi dell’Amministrazione – quella, cioè, di legare la sorte del lavoratore straniero all’avvenuto versamento delle “somme di cui al comma 5” – giustificata da considerazioni di carattere sostanziale (la necessità di contrastare il fenomeno della “compravendita delle pratiche di emersione”, ossia delle domande inoltrate in esecuzione di un accordo fraudolento che, in alcuni casi, evidenziava furti d’identità perpetrati ai danni di soggetti che, senza saperlo, hanno figurato come “datori di lavoro” nelle relative domande telematiche), assorbente è, a parere di chi scrive, il principio espresso dalla direttiva 2009/52/CE e richiamato nella citata sentenza del Consiglio di Stato: deve essere comunque consentito al lavoratore “emerso” di fornire la prova circa l’esistenza del rapporto di lavoro, di tal che il mancato versamento versamento degli importi di natura retributiva, contributiva e fiscale potrà, al più, costituire una presunzione iuris tantum, in relazione alla quale è ammessa la prova contraria da parte del lavoratore con ogni elemento utile. Laddove questo principio si consolidasse, sussisterebbero, in relazione a molte determinazioni negative degli Sportelli Unici, i presupposti per un riesame delle relative domande.
 
 
TUTTI I DIRITTI RISERVATI.
    [1] Nella sentenza citata il Consiglio di Stato soggiunge che “è legittimo il rigetto della domanda di emersione da lavoro irregolare presentata a favore di extracomunitario allorquando la dichiarazione di emersione non risulti corredata da documentazione idonea a dimostrare la effettiva sussistenza del rapporto di lavoro da regolarizzare e i contributi previdenziali risultano per la prima volta versati all'I.N.P.S. solo dopo la domanda di regolarizzazione
[2] Un’interpretazione analoga è fornita da T.A.R. Emilia Romagna (BO), Sez. I, 19.12.2014, n. 1272: “Il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione è subordinato non solo al pagamento del contributo forfettario, ma anche al versamento dei contributi previdenziali, degli oneri fiscali e delle retribuzioni per almeno sei mesi, in quanto soluzione coerente con la finalità di prevenire comportamenti fraudolenti, finalità perseguita subordinando la possibilità di perfezionare la procedura, nonostante la mancata prosecuzione del rapporto di lavoro, all'accertata sussistenza di tutti i presupposti normativamente previsti per la procedura di emersione, con la conseguenza che, allorché l'istanza di regolarizzazione sia rigettata per cause imputabili esclusivamente al datore di lavoro, il lavoratore può conseguire ugualmente il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione, a condizione, però, che risulti comprovata la sussistenza del rapporto di lavoro attraverso la verifica del pagamento delle somme previste dall'art. 5, comma 5, d.lg. n. 109 del 2012, vale a dire del contributo forfettario di mille euro e di un importo pari a quanto dovuto dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale per un periodo pari ad almeno sei mesi, nella considerazione che il mancato versamento delle suindicate somme non costituisce una mera irregolarità amministrativa imputabile al datore di lavoro e sanabile con la richiesta a quest'ultimo di provvedere al versamento del dovuto, bensì un'omissione a cui si correla, per espressa previsione normativa, l'impossibilità di provare la pregressa esistenza del rapporto di lavoro, ossia la sussistenza del presupposto essenziale per conseguire il rilascio di un titolo di soggiorno per attesa occupazione (nella fattispecie, pur essendo addebitabile al datore di lavoro la responsabilità dell'esito negativo del procedimento di regolarizzazione, il ricorrente non provava di avere titolo al rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, a fronte dell'esibizione della sola documentazione relativa all'avvenuto pagamento del contributo forfettario, in sé insufficiente allo scopo)”.
[3] Si vedano, al riguardo, le definizioni recate all’art. 2 della citata Dir. 18/06/2009, n. 2009/52/CE, in ordine ai concreti elementi del rapporto di lavoro illegalmente intercorso che possono formare oggetto di prova (luogo di lavoro, tipologia di lavorazioni svolte, organizzazione del lavoro, orari di lavoro, numero e profilo professionale degli addetti, committenza del datore di lavoro, fornitori, ecc.).