L'Amministrazione (Ambasciata o Consolato) ha l'obbligo di pronunciarsi in modo espresso sulle domande di visto di ingresso entro il termine di 90 giorni dal ricevimento della domanda, come prevede l’articolo 5, comma 4, del D.P.R. n. 394/1999.

In caso di silenzio, lo straniero può proporre ricorso al TAR del Lazio.

Ci si chiede quali siano i poteri del TAR nell'ambito di tali ricorsi (precisiamo bene: avverso il silenzio. I ricorsi avverso il rifiuto del visto meritano altre considerazioni).

Se il ricorso (avverso il silenzio) viene accolto, il TAR condannerà l'Amministrazione al rilascio del visto? Oppure condannerà l'Amministrazione semplicemente ad adottare un provvedimento espresso, che quindi potrà essere di rifiuto o di rilascio del visto?

In proposito il TAR del Lazio, accogliendo il ricorso di un cittadino straniero avverso il silenzio serbato dall'Ambasciata sulla richiesta di visto di ingresso per studio, si è limitato a condannare l'Ambasciata a provvedere in modo espresso.

Il problema nasce in quanto l'articolo 2, comma 5, della legge n. 241/90 prevede, in materia di ricorsi avverso il silenzio, la possibilità per il giudice amministrativo di conoscere “della fondatezza dell’istanza”.

Sul punto, si è ritenuto che questo tipo di ricorsi (avverso il silenzio) introduca un giudizio diretto esclusivamente ad accertare se il silenzio violi o meno l’obbligo di adottare un provvedimento esplicito sull’istanza del privato, limitando così la cognizione del giudice all’accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione.

Inoltre, in considerazione della lettera della legge, che utilizza l’espressione “può” e non “deve”, è stato escluso l’obbligo del giudice amministrativo di procedere sempre ed in ogni caso ad una tale “conoscenza”.

In particolare, si è detto che la pretesa del privato possa essere valutata, sempre che il ricorrente lo richieda, soltanto nei casi di attività amministrativa di tipo vincolato perché, nell’ipotesi in cui l’attività sia discrezionale, il giudice non ha né il potere né gli strumenti per penetrare nella fondatezza della richiesta avanzata dall’istante, in quanto la potestà discrezionale implica complesse considerazioni di convenienza ed opportunità.

Ciò premesso, occorre dunque verificare se, in materia di visti di ingresso, l'Amministrazione sia chiamata ad esercitare un'attività di tipo vincolato o discrezionale nel decidere sul rilascio o meno del visto.

Se si è in presenza di attività vincolata, il TAR potrà accertare la sussistenza dei requisiti per il rilascio del visto, condannando l'Amministrazione al rilascio stesso.

Se invece si tratta di attività discrezionale, il TAR potrà solo condannare l'Ammiinistrazione ad adottare un provvedimento espresso (che potrà essere negativo o positivo per il ricorrente).

L’esame della normativa che regolamenta i visti di ingresso (in primo luogo l’articolo 4 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) induce a ritenere che l’Amministrazione deve compiere un accertamento non solo sulla sussistenza di presupposti ben definiti ma anche su una serie di condizioni che implicano valutazioni di propria specifica competenza.

Si è, pertanto, in presenza di un’attività che, fermo l'obbligo di pronunciarsi entro 90 giorni, è connotata in termini di discrezionalità proprio perché devono essere considerati non solo gli elementi connessi alla singola ragione che giustifica la domanda (studio, turismo, affari, altro..), ma anche elementi ulteriori, quali l'eventuale pericolosità per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale.

Il TAR non ha il potere di accertare tali elementi ulteriori, connotati appunto da forte discrezionalità.

Ne consegue che, in caso di ricorso avverso il silenzio sulla domanda di visto di ingresso, il giudice amministrativo dichiarerà l’obbligo per l’Amministrazione di adottare un provvedimento espresso in ordine a tale istanza, fermo restando il potere amministrativo di valutarne comunque la fondatezza.

Se nonostante l'accogliemnto del ricorso, l'Ammnistrazione perdura nell'inerzia, l'interessato potrà chiedere al TAR di nominare un Commissario ad acta che provveda in luogo dell’Amministrazione.