SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE A SS.UU. – ORD. 10725/02

COMMENTO

L’importante principio affermato dalla Corte di Cassazione nel provvedimento in esame permette al contribuente di adire, di fronte all’inerzia dell’Amministrazione Finanziaria, una via relativamente rapida per sollecitare la stessa ad adempiere.

Vale la pena osservare che nella legislazione tributaria manca una disposizione che, in parallelo all’art.2033 c.c., sancisca esplicitamente in via generale la ripetibilità dell’indebito, anche se una serie di enunciati regolano le modalità di esercizio della pretesa restitutoria tanto che emerge chiaramente il principio generale che l’imposta non dovuta, anche se riscossa, va rimborsata.

Nel caso de quo, ci troviamo di fronte ad un credito ILOR e IRPEG vantato dalla  S.M. S.r.l. in liq. eveniente da dichiarazione mod. 760/93.

Concluse le operazioni di liquidazione ex art. 36-bis DPR 600/73, a seguito dell’inerzia della dell’Amministrazione finanziaria, si presentava il problema di ottenere materialmente il rimborso. In questi casi il Centro di Servizio delle imposte dirette e indirette  ai sensi e per gli effetti dell’art. art.36–bis DPR 600/73,  in base alla dichiarazione, provvede infatti ad emettere cartella esattoriale ove risulti un debito del contribuente, ovvero al rimborso, nel caso contrario, “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria…”, avvalendosi di procedure automatizzate, sulla base di programmi stabiliti annualmente, entro il 31 dicembre successivo all’anno in cui le dichiarazioni sono presentate.

In tal caso non sussiste un giudizio unitario su quanto dichiarato, che invece l’Ufficio riserva all’attività di accertamento. Per la dottrina prevalente, le disposizioni inerenti l’art.36-bis costituiscono provvedimenti di mera liquidazione e non di accertamento in quanto 1) la norma la qualifica proprio in tal senso; 2) si tratta di una norma che salvaguarda “l’attività di accertamento” e non di “ulteriore accertamento” così come recita il  l’art.41-bis stesso DPR; 3) non è previsto l’obbligo di motivazione; 4) le imposte liquidate vengono iscritte nei ruoli principali a titolo definitivo, per l’intero ammontare.

Una volta “chiusa” la fase di liquidazione relativa all’anno di imposta, l’Ufficio avrebbe dovuto attivarsi per il rimborso, avendo verificato l’esattezza della dichiarazione, cosa che invece non è avvenuta per una probabile mancanza di fondi, lasciando il contribuente nell’incertezza più assoluta circa tempi e modalità. A questo punto si inserisce l’importante principio sancito dalla Cassazione che ha riconosciuto la possibilità per il creditore di adire il Giudice ordinario, avvalendosi così di un’ulteriore via per la tutela del proprio diritto.     

Prima condizione necessaria e imprescindibile perché possa seguirsi tale strada, è che  non ci siano incertezze sul diritto preteso, non essendo sufficiente nemmeno il silenzio dell’Amministrazione finanziaria di fronte ad una sua richiesta rivolta a sollecitare il rimborso.

Infatti, nel caso de quo, il riconoscimento è stato sollecitato attraverso un’istanza ex L.241/90, alla quale l’Ufficio ha  risposto conformemente ai principi di trasparenza della P.A., adducendo che i rimborsi  “… riconosciuti spettanti e giacenti, saranno effettuati con procedura manuale appena possibile..”; pertanto non di un semplice riconoscimento del debito si tratterebbe, ex art. 1988 c.c.,  che avendo efficacia esclusivamente sul piano processuale, che dispensa il creditore dall’onere di provare il diritto, bensì di un provvedimento amministrativo che riconosce in maniera definitiva l’esistenza di un credito di imposta maturato in seguito a procedure c.d. automatizzate.

Il predetto riconoscimento  ha permesso di fugare dubbi circa la debenza delle somme o le procedure di rimborso così che “non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria, il quantum del rimborso, o la procedura con la quale lo stesso deve essere effettuato..” .

Tale principio amplia la casistica in cui si dà la possibilità al contribuente di adire il Giudice ordinario, giacchè la Giurisprudenza della Corte aveva in precedenza riconosciuto che “l’emissione di ordinativi di pagamento da parte dell’Amministrazione finanziaria e la successiva commutazione d’ufficio in vaglia cambiari per il rimborso di tributi non dovuti, consentono al creditore di adire la stessa Amministrazione dinnanzi al Giudice ordinario. (Cass. SS.UU. 21.1.01 n.8; 4.9.01 n.11403; 14.6.02 n.146)”.

Ed ancora su questioni analoghe “ … la lite che insorga sulla vicenda estintiva di quel credito, e non sul fondamento del credito medesimo non presenta il momento essenziale di collegamento con la giurisdizione delle commissioni tributarie … e rientra nella cognizione del Giudice ordinario “ (Cass. SS.UU., 4.7.1991 n.7331).

Pertanto, attraverso il riconoscimento della giurisdizione del Giudice ordinario, l’attuale ordinanza segue il tracciato segnato dalle precedenti, rappresentandone la “naturale estensione”.

A seguito della risposta ex L.241/90, la S.M. S.r.l. in liq. proponeva ricorso per d.i. presso il Giudice ordinario il quale, riconoscendo come provato il credito della ricorrente, emetteva il provvedimento d’ingiunzione.

Tuttavia, l’Avvocatura dello Stato, a questo punto, riteneva di proporre opposizione al d.i. sostenendo che non sussistessero gli elementi per adire il Giudice ordinario, bensì quello tributario per violazione degli artt. 2 e 19 del D.lgs. 546/92. Nel corso del giudizio di opposizione, proponeva ricorso alla Suprema Corte di Cassazione a SS.UU.  perché si pronunciasse sulla competenza del Giudice de quo.

La Corte, sciogliendo la riserva, emetteva in data 22.07.02 ordinanza n. 10725 con cui riconosceva la giurisdizione del Giudice ordinario con conseguente esperibilità, da parte del contribuente, dell’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito oggettivo ex art.2033 c.c.

Il legislatore del 1942, attraverso il dettato dell’art.2033 c.c., ha inteso offrire al solvens un mezzo di tutela più snello ed efficace rispetto all’azione di arricchimento disciplinato dagli artt. 2041 e 2042; la considerazione parte dalla constatazione  che per indebito si considera ogni pagamento effettuato senza valida causa solvendi., che prescinde altresì dalla natura privatistica o meno del rapporto obbligatorio che si intende estinguere: quindi per la dottrina gli elementi costitutivi sono il pagamento da un lato, e difetto del titolo dall’altro.

La teoria (della dottrina tedesca) secondo la quale il diritto al rimborso avrebbe natura pubblicistica in quanto  la pretesa dello Stato nasce solo in forza di una norma espressa di legge, e parimenti il diritto del contribuente al rimborso nasce solo in virtù di apposite leggi, comportando l’inapplicabilità dei principi di natura privatistica, non può essere accolta. Se è indubitabile che alla base di una pretesa tributaria sussiste una norma di legge, è ugualmente vero che, nel caso in cui lo Stato preleva più di quanto le norme gli consentano, nasce il diritto del contribuente al rimborso: tale diritto risulta dunque una sorta di corollario al principio di causalità delle prestazioni.

Al di là della suddetta questione meramente teorica, la vera domanda è quella che riguarda la determinazione della disciplina del rapporto tributario: se quella del codice civile, o altra.  

Il diritto tributario  è costituito sia da norme specialistiche (es. l’esecuzione del rimborso, modalità del credito, ecc.) proprie, che prevalgono su quelle di diritto civile, sia da norme di diritto comune là dove non sussistono impedimenti che ostino all’applicabilità di queste ultime, in assenza di norme speciali. Pertanto non è certamente errato intendere il rapporto di restituzione come rapporto obbligatorio regolato in parte da norme di diritto comune, in parte da quelle speciali.

Allora non due istituti (pubblico e privato), ma uno solo in cui convivono tanto norme comuni, quanto quelle speciali.

Alla luce di quanto evidenziato, l’ordinanza de quo si inserisce perfettamente in questa logica, cioè mediante il riconoscimento della competenza del Giudice ordinario, seppure alle condizioni di cui sopra, con la conseguenza di risultare un’arma (o meglio uno strumento) in più per il contribuente nel rapporto sempre  difficile con il fisco.