Nei casi in cui l'Amministrazione Finanziaria - a fronte della presentazione di un'istanza di autotutela del contribuente (in seguito ad un atto impositivo) - decide di negare siffatta richiesta, la prima sarà condannata dal giudice civile adito alla rifusione delle spese legali sostenute dal contribuente per la presentazione del ricorso (successivamente accolto).

Tale principio ha trovato un significativo riscontro all'interno dell'orientamento della Suprema Corte (in seguito ad un'analoga pronuncia n° 5120 del 3 marzo 20111): in buona sostanza, sono poste a carico del Fisco i costi per l'assistenza legale sostenuti dal contribuente, il quale aveva tentato – ab initio – di annullare l'avviso di accertamento attraverso il noto strumento dell'autotutela.

A ben vedere, la ratio di tale pronuncia trova la sua ragion d'essere nel fatto che anche sulla Pubblica Amministrazione grava l'obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall'art. 2043 C.c., quindi il comportamento del Fisco – nel caso in esame – ha violato le più comuni regole di prudenza e di diligenza.

Non solo: la circostanza suesposta ha causato conseguentemente un danno economico al contribuente (titolare di un diritto meritevole di tutela da parte del nostro ordinamento) – come anticipato in precedenza –, ossia quella di essere risarcito per le spese legali sopportate ai fini della difesa innanzi a tutti i gradi di giudizio della controversia tributaria, per le varie trasferte, nonché per le spese accessorie sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione.

A ben vedere l'attività del Fisco, anche se svolta nell'area della pura discrezionalità (ovvero quella manifestata nell'esercizio di accogliere l'istanza di autotutela), deve tuttavia essere plasmata ad un pacifico principio di civiltà giuridica, ovvero quello di non danneggiare il soggetto passivo.

In particolare, qualora possa ravvedersi tale circostanza, il ricorrente è legittimato ad adire il giudice ordinario affinché possa essere accertata “se vi è stato da parte della stessa Pubblica Amministrazione un comportamento doloso o colposo”: tale condotta censurabile da parte del Fisco rappresenta la causa diretta da un lato della “violazione di un diritto soggettivo”, e dall'altro l'obbligo di risarcire il danno economico cagionato al contribuente nell'aver omesso di annullare tempestivamente gli atti impositivi erroneamente emessi a suo carico.

A tal proposito, dunque, non ha rilevato la difesa dell'Ufficio, avente ad oggetto il seguente concetto: nella mancata risposta ad una domanda di autotutela non è ravvisabile la natura dell'ingiustizia del danno, in relazione al fatto che l'annullamento in autotutela non si configura quale obbligo, bensì come mera facoltà dell'Amministrazione, con la conseguenza che il “privato non è titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al ritiro dell'atto”.

In realtà, è evidente che il giudizio civile non aveva ad oggetto il diritto del contribuente ad ottenere l'annullamento dell'atto (già definito in sede tributaria), bensì quello di accertare l'an ed il quantum del danno subito dal contribuente stesso (in virtù delle spese legali sostenute da quest'ultimo nella propria difesa in Commissione Tributaria).

A ben guardare – pertanto - anche sull'Amministrazione Finanziaria grava l'obbligo di non danneggiare alcun soggetto, sulla scorta dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all'art. 97 Cost.: tali “pilastri” rappresentano una sorta di limite invalicabile al potere discrezionale dell'Erario.

Vero è che il mancato esercizio dell'autotutela non è sindacabile nel merito dal giudice tributario (richiama pur sempre un potere caratterizzato dalla discrezionalità), ma sarebbe auspicabile che l'Amministrazione Finanziaria - nei casi in cui il contribuente lamenti un'errata emanazione di un atto impositivo – operasse con maggiore “sensibilità”, avendo “il dovere, di accertarsi e di verificare la veridicità delle affermazioni dei cittadini2, in virtù dei principi di buona fede, affidamento e collaborazione (L. 212/2000).

Tuttavia, al fine di comprendere a fondo la soluzione cui è giunta la S.C. nelle pronunce in rassegna, pare doveroso sottolineare un dato di fatto ampiamente consolidato nella prassi processuale: la mancata applicazione sistematica dell'art. 96 C.p.c. (in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria3) all'interno del processo tributario4.

Orbene, da questo assioma ben si comprende come la Corte di Cassazione abbia ammesso la possibilità per il contribuente di chiedere la condanna dell'Ufficio innanzi al giudice civile a fronte della mancata risposta del Fisco in relazione alla domanda di autotutela5: si tratta – brevemente – di un'alternativa cui può beneficiare il soggetto passivo (danneggiato economicamente dalla censurabile condotta dell'Amministrazione Finanziaria), per effetto della mancata applicazione da parte dei giudici tributari dell'art. 96 C.p.c.

Succintamente, premettendo che tale norma richiama l'elemento soggettivo della mala fede o della colpa grave, pare pacifico ravvisare siffatti presupposti nella condotta dell'Ufficio, volta – in particolare – nell'aver ostinatamente continuato il giudizio, senza revocare la propria pretesa manifestamente illegittima, causando al cittadino una danno concreto ed effettivo (ulteriore rispetto a quello disposto con l'ordinaria statuizione sulle spese processuali), nonché comprendente tanto il danno emergente, quanto il lucro cessante6.

In definitiva, con l'orientamento giurisprudenziale in commento, pare pacifico la volontà della Corte di Cassazione di rafforzare (evitando quindi le pericolose oscillazioni del passato) il concetto di c.d. Stato di Diritto, imperniato da un lato sui principi cardine (affidamento, cooperazione, buona fede) nei rapporti tra cittadino ed Amministrazione Finanziaria, mentre dall'altro lato voler introdurre (in termini concreti e non meramente accademici) la modalità ed i margini di tutela del diritto soggettivo del contribuente danneggiato dalla condotta negligente del Fisco (attraverso appunto la possibilità di adire il giudice ordinario) con esiti particolarmente positivi.


 

1Ad una simile soluzione era giunta in passato la Suprema Corte (Cass., n° 13801/2004, Cass., n° 698/2010): è meritevole di tutela il diritto del contribuente ad ottenere la condanna del Fisco, diretto responsabile per non aver accolto tempestivamente l'istanza di autotutela del soggetto passivo, il quale era stato costretto ad adire la Commissione Tributaria, chiedendo l'assistenza legale al proprio avvocato.

2Cass., n° 1710 del 26 gennaio 2007.

3Accertamento e riscossione (a cura di Eutekne), Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011.

4Codice Commentato del Processo Tributario (a cura di Tesauro), Utet Giuridica, 2011.

5Accertamento, Memento Pratico, Ipsoa – Francis Lefebvre, 2011.

6Cass., n° 8872/87.