La cartella esattoriale, anche se notificata e non impugnata, non può mai essere paragonata ad
un provvedimento giudiziale (per esempio sentenza o decreto ingiuntivo) e non acquista quindi, al pari di quest’ultimo, la cosiddetta efficacia di giudicato (definitività).
Di conseguenza, per il calcolo del termine di prescrizione di una cartella esattoriale, occorre
sempre fare riferimento al tributo/credito che ne è oggetto, non potendosi automaticamente
trasformare in termine lungo di prescrizione (decennale) un termine più breve.
In altri termini, se la cartella esattoriale ha ad oggetto crediti che si prescrivono in cinque o tre anni, dopo la notifica si applicherà comunque tale termine breve di prescrizione e non quello
decennale proprio degli atti giudiziali divenuti definitivi.
Tale orientamento, già da anni seguito dalla gran parte dei giudici ordinari e tributari, è stato definitivamente accolto dalle Sezioni Unite della Cassazione [1], con riguardo alla prescrizione
dei contributi INPS, ma valido per ogni tipo di credito/tributo.
Il nodo interpretativo da sciogliere era il seguente: la norma del codice civile che stabilisce che i
diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi
è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci
anni [2], si applica anche alle cartelle esattoriali non impugnate?
In particolare, l’omessa impugnazione di una cartella di pagamento è idonea a trasformare il
termine di prescrizione da breve a decennale?
Le Sezioni Unite, risolvono definitivamente il contrasto giurisprudenziale sul punto, chiarendo che
la prescrizione decennale prevista dalla citata norma del codice civile decorre solo dal passaggio
in giudicato di una sentenza (cioè dal suo essere divenuta definitiva per omessa impugnazione
nei termini).
I giudici specificano che la conversione della prescrizione da breve ad ordinaria (decennale) è
legittima soltanto per effetto di:
sentenza passata in giudicato;
decreto ingiuntivo che abbia acquisito efficacia di giudicato formale e sostanziale;
decreto o sentenza penale di condanna divenuti definitivi.
La cartella di pagamento, così come gli altri titoli che legittimano la riscossione coattiva (per
esempio avvisi di addebito INPS o avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate), sono atti
amministrativi, espressione del potere di autotutela e auto accertamento della Pubblica
Amministrazione, e, come tali, non sono idonei ad acquistare efficacia di giudicato.
Peraltro i giudici ricordano che la disciplina della prescrizione è «di stretta osservanza ed è insuscettibile d'interpretazione analogica». Non si potrebbe allora estendere il termine di
prescrizione decennale previsto per le sentenze e i decreti ingiuntivi definitivi a diversi atti di natura
amministrativa (quali le cartelle esattoriali).
Di conseguenza la mancata impugnazione nei termini previsti può comportare, solo
l’irretrattabilità del credito contenuto nel provvedimento, ma non l’automatica trasformazione del
termine prescrizionale breve in ordinario (dieci anni).
Dunque, la cartella avente ad oggetto crediti o tributi la cui prescrizione è inferiore a dieci anni, si
prescrive nello stesso termine breve, anche qualora, dopo la notifica, non sia stata impugnata nei
termini di legge. Per esempio:
la cartella avente ad oggetto contributi Inps si prescrive in cinque anni anche dopo la
notifica e anche qualora non sia stata impugnata entro 40 giorni;
la cartella esattoriale avente ad oggetto multe per violazione al codice della strada si
prescrive in cinque anche dopo la notifica e anche qualora non sia stata impugnata entro
30 giorni.
Ovviamente, per il corretto calcolo della prescrizione, occorre tener presenti gli eventuali atti
interruttivi: se Equitalia o l’ente creditore hanno notificato altri atti della riscossione, prima che il
credito si prescrivesse, il termine di prescrizione si interrompe e inizia a decorrere nuovamente
dalla data di notifica dell’ultimo atto.