La normativa e l'orientamento della Corte di Cassazione

Ebbene, il citato art. 12, comma 5 – nella sua versione originaria, ossia nella formulazione ante riforma “Decreto Sviluppo”, D.L. n° 70/20111 - disponeva che “la permanenza degli operatori civili o militari dell'Amministrazione Finanziaria, dovuto a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell'indagine individuati e motivati dal dirigente dell'Ufficio”.

In particolare, sulla scorta del mero dettato letterale della norma, si evince dunque come non sono previste alcune conseguenze sanzionatorie, laddove l'Amministrazione finanziaria non osservi il termine di 30 giorni, riguardante la durata delle indagini fiscali presso la sede del contribuente.

Per effetto di ciò – pertanto – la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità delle operazioni di verifica (anche se disposte in spregio alla durata massima delle stesse), precisando che nella fattispecie in esame non può essere richiamata alcuna norma sanzionatoria a cui possa essere ricollegata:

a) l'invalidità degli atti compiuti;

b) l'inutilizzabilità delle prove raccolte;

c) la nullità degli accertamenti compiuti;

d) la “sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo dell'Amministrazione finanziaria”.

In effetti, le conclusioni a cui sono approdati i giudici di Piazza Cavour hanno ribadito le motivazioni già illustrate dalla Suprema Corte in un'analoga pronuncia (n° 8344/01), nella quale fu stabilito – in altre parole – che la violazione della durata massima delle verifiche fiscali “non comporta […] la necessaria inutilizzabilità degli elementi acquisiti”.

A ben vedere, prosegue la Corte di Cassazione (nella citata decisione), rappresenterebbe un orientamento eccessivamente garantista quello di dichiarare la nullità di una verifica (in presenza delle suddette violazioni) laddove vengano “acquisiti elementi determinanti ai fini dell'accertamento soltanto il trentunesimo giorno lavorativo dall'inizio della verifica stessa in violazione del precetto di cui all'art. 12, comma 5 della Legge 212/20002, in quanto non esiste – nell'ordinamento tributario vigente – un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, ragion per cui l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non può comportare l'invalidità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso3.

Tuttavia, le conclusioni espresse dalla Suprema Corte nelle due sentenze menzionate non appaiono del tutto convincenti, in quanto tali argomentazioni comporterebbero la possibilità “massimalista” (posta a favore dell'Amministrazione finanziaria) di protrarre la durata delle verifiche fiscali a fronte della sua insindacabile discrezionalità, secondo le sue presunte esigenze, per sopperire a problematiche interne o disfunzioni organizzative, eludendo il comando dettato dall'art. 12 della Legge n° 212/2000 al fine di vanificare il fine garantista perseguito dal Legislatore.

Tuttavia – per mera completezza espositiva sulla questione – preme osservare che la Suprema Corte nella sentenza n° 26689 del 18 dicembre 20094 si era pronunciata a favore della nullità degli elementi acquisiti durante un'indagine fiscale protrattasi oltre il termine di legge: in effetti – in siffatta decisione – i giudici di legittimità avevano statuito che la violazione di cui all'art. 12, comma 5, Legge 212/2000 (nella formulazione ante D.L. n° 70/2011) non sarebbe priva di conseguenze ”anzi occorre conferire assoluta rilevanza al termine temporale statutario previsto per la chiusura delle verifiche fiscali”.

L'orientamento della giurisprudenza di merito e lo schema della c.d. nullità derivata

Sebbene la Suprema Corte abbia improntato la recente pronuncia in contrasto con la reale “essenza” del comma 5 cit., ossia quella di mitigare, nonché di ammortizzare il disagio che l'azione ispettiva possa recare alla normale attività dell'azienda (o del professionista verificato)5, la giurisprudenza di merito ha adottato una linea di pensiero maggiormente garantista (a favore del contribuente).

Succintamente, i giudici delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali hanno più volte sancito che la violazione del termine di 30 giorni (per la durata delle indagini fiscali presso la “sede del contribuente”) comporta da un lato l'inutilizzabilità delle prove raccolte e dall'altro la nullità dell'atto impositivo basato sul processo verbale di constatazione (viziato ab origine)6.

In breve, il suddetto termine è da qualificarsi come “perentorio” (C.T.R. Lombardia, n° 71/1/11), quindi un'indagine effettuata oltre la durata massima è da configurare come illegittima, qualora tale “eccessiva” permanenza non sia coperta dalla tempestiva autorizzazione disposta dal dirigente dell'Ufficio.

In particolare, la C.T.P. di Bari (n° 148 del 2 novembre 2011)7, sempre in tema di validità delle prove (ad esempio documenti) acquisite durante la verifica fiscale, ha stabilito – conseguentemente all'invalidità insanabile del processo verbale – che “gli elementi raccolti dagli operatori oltre tale limite sono frutto di attività posta in essere in violazione di legge” pertanto appare del tutto pacifico che gli elementi a carico del contribuente derivanti da “attività illegittime” (rectius: verifica svolta oltre i 30 giorni) siano da ritenersi “probatoriamente” nulli.

A ciò si aggiunga che gli effetti derivanti da una condotta di indagine “inidonea” non solo comporta (come accennato) l'invalidità dei documenti acquisiti (durante le fasi della verifica fiscale), ma anche l'insanabile “nullità del processo verbale” che – a sua volta - “travolge anche l'avviso di accertamento che si fonda sulle violazioni contestate”.

Non solo: le conclusioni a cui sono approdati i giudici baresi (cfr. C.T.P. di Bari, n° 148/2011) richiamano la considerazione che l'accertata illegittimità (ai fini dell'accertamento tributario) non necessita di un'espressa “previsione sanzionatoria, derivando dalla regola generale, secondo cui l'assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”.

Ad ogni buon conto, la questione ha interessato la Commissione Tributaria Provinciale di Bari anche in altri contenziosi (cfr. n° 293/10, n° 99/10, n° 131/10), in ordine ai quali i menzionati giudici hanno sempre adottato un orientamento “restrittivo” circa i poteri di indagine esercitati dall'Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza sulla scorta dell'art. 12, comma 5, L. 212/2000.

In altre parole, laddove l'atto impositivo si fonda su elementi del processo verbale di constatazione raccolti “illegittimamente” durante la verifica fiscale, gli atti compiuti dagli accertatori sono da considerare nulli, sulla base di quanto disposto non solo dalla normativa in esame, ma anche alla luce dei “principi generali di diritto amministrativo (Legge n° 241/1990)”, dunque “riconosciuto il carattere di nullità del pvc ed avendo l'Ufficio fondato esclusivamente il proprio atto sulle risultanze di suddetto pvc ne discende che anche l'avviso di accertamento è fondato su atti nulli” (C.T.P. di Bari, n° 293/10) .

Conclusioni

Orbene, sulla scorta delle conclusioni avanzate dalla Suprema Corte nella sentenza in parola, appare meritevole affrontare taluni aspetti, nonché svolgere alcune considerazioni: l'orientamento avallato dai giudici di Piazza Cavour appare giuridicamente “claudicante”, laddove – indipendentemente dal termine di durata delle verifiche fiscali – assicura la piena legittimità dell'operato degli accertatori (sia da un punto di vista formale, che sostanziale).

Proprio su questo punto, giova ricordare che il procedimento tributario, essendo annoverato tra i procedimenti amministrativi, è governato dal c.d. principio di legalità8, di conseguenza, ogni violazione di legge (soprattutto quelle collocate a presidio della tutela di un interesse generale) deve tradursi nell'illegittimità del provvedimento amministrativo, basato – come nel caso di specie – sugli elementi acquisiti attraverso modalità “irregolari”.

Pertanto, il citato orientamento “indulgente” (posto a favore dell'Amministrazione finanziaria) espresso dalla Suprema Corte, legittima – in termini pratici – il Fisco a poter operare, nonché conseguire gli interessi pubblici (“erariali”, cfr. art. 53, Cost.) con modalità contra legem, confliggendo con i doveri costituzionali di imparzialità e buon andamento della stessa Pubblica Amministrazione (art. 97, Cost.)9.

In definitiva, a parere dello scrivente, la sanzione dell'inutilizzabilità delle prove acquisite in modo illegittimo non richiede un'esplicita previsione normativa10, atteso che tale principio è immanente al sistema democratico, dove l'azione amministrativa non può e non deve essere guidata da una c.d. discrezionalità nebulosa, la quale sfocia – in alcuni casi – nell'assoluto “libero arbitrio” esercitato dalla Pubblica Amministrazione11, come espresso dall'intervento delle Sezioni Unite con la sentenza n° 16424/200212.

A ben vedere, il principio di inutilizzabilità delle prove irrituali rappresenta un vero e proprio pilastro cardine del nostro ordinamento; viene dunque colto nella necessità di consentire sia al contribuente il controllo di legalità dell'attività istruttoria, ovvero la verifica di rispondenza tra i poteri esercitati (e gli atti compiuti in forza degli stessi), sia al giudice, il quale potrà vagliare le prove acquisite limitatamente a quelle assunte ritualmente13.


 

1Il c.d. Decreto Sviluppo, al fine di rendere meno gravosi gli effetti delle verifiche fiscali ha disposto che “il periodo di permanenza presso la sede del contribuente di cui al primo periodo, così come l'eventuale proroga ivi prevista, non può essere superiore a quindici giorni lavorativi contenuti nell'arco di non più di un trimestre, in tutti i casi in cui la verifica sia svolta presso la sede di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi”.

2Sempre nella sentenza della Corte di Cassazione n° 8344/01 viene affermato che quindi non sussistono vizi insanabili né sul processo verbale, né sulla validità delle prove acquisite durante la verifica, né sul successivo avviso di accertamento (notificato al contribuente), ma “le conseguenze sanzionatorie ricadono sull'autore dell'illecito, sul piano disciplinare e, se del caso, sul piano della responsabilità civile e penale. Non sarebbe giusto che una prova oggettivamente ammissibile, non possa essere utilizzata a causa della negligenza di chi l'ha acquisita”. Nella successiva sentenza n° 8273/2003 la Suprema Corte confermò che “in materia tributaria non vige il principio, presente invece nel codice di procedura penale, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita irritualmente”.

3Verifica oltre i termini? L'accertamento resta valido (di Luigina Labriola), in “FiscoOggi.it” del 10 ottobre 2011;

4In realtà, il primo riconoscimento circa l'applicabilità al procedimento tributario del principio di inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di norme procedimentali si rinviene nella decisione della Corte di Cassazione, n° 7368/98, nella quale veniva prospettata l'estensibilità in via analogica al procedimento tributario del divieto di utilizzo di prove illecite, cristallizzato dall'art. 191 C.p.p. In seguito, la Suprema Corte ha adottato un significativo orientamento pro contribuente, sancendo che l'inosservanza delle disposizioni in tema di verifiche presso la sede/domicilio/residenza del contribuente, comporta l'inutilizzabilità delle prove irregolarmente acquisite (cfr. Cass., n° 15230/2001, SS. UU., n° 16424/2002, n° 20253/2005).

5Durata massima delle verifiche fiscali (di Attilio Romano), in “Consulenza Fiscale” n° 18/2011;

6Questo concetto riprende espressamente lo schema dell'invalidità derivata, in ordine alla quale la natura amministrativa del procedimento tributario presuppone che l'invalidità istruttorio rende illegittimo gli atti conseguenti, pertanto l'intero accertamento tributario, senza possibilità di sanatoria. Contro siffatto orientamento si è pronunciata la Corte di Cassazione con la decisione n° 10269 del 16 maggio 2005;

7Su tale impostazione interpretativa cfr. C.T.R. Lombardia n° 12/08, C.T.P. di Bari, n° 293/10, C.T.R. Piemonte, n° 26/2009;

8Manuale dell'accertamento delle imposte (di Saverio Capolupo), Edizioni Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011;

9La tutela del contribuente nelle indagini tributarie (di Sebastiano Stufano), Edizione Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011. Su questo punto cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Catania, n° 238 del 4 maggio 2004;

10I principi generali dell'ordinamento tributario delle norme (come quelli concernenti la durata massima delle indagini) disciplinati dallo Statuto del Contribuente rappresentano l'attuazione effettiva di fondamentali norme costituzionali, come confermato dall'art. 1, comma 1 della stessa legge n° 212 del 27 luglio 2000 (“Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 25, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”).

11In talune sentenza della Corte di Cassazione è stato ribadito nuovamente la supremazia del principio di legalità e l'immanenza (anche nell'ordinamento tributario) del principio di inutilizzabilità delle prove acquisite con modalità illegittime. Ad esempio nella sentenza n° 15209/2001 si può leggere: “alla violazione delle norme procedimentali in materia di accertamento consegue l'inutilizzabilità degli atti compiuti. E tale conseguenza conferma ulteriormente la necessità della emanazione di ordini e autorizzazioni in forma scritta e così suscettibili di controllo giudiziario”.

12“Detta inutilizzabilità non abbisogna di un'espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l'assenza di un presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola” (cfr. Cass., SS. UU., n° 16424/2003).

13Manuale dell'accertamento delle imposte (di Saverio Capolupo), Edizioni Ipsoa Gruppo Wolters Kluwer, 2011;