1. NOZIONE DI SOCIETA’ A RISTRETTA BASE SOCIALE
Il punto di maggiore criticità che suscitano le varie argomentazioni addotte dalla giurisprudenza di legittimità ha origine nel concetto stesso di società a ristretta base sociale che non trova alcun riferimento normativo diretto, tranne per quello che si evince dall’art. 116 TUIR che estende l’opzione per la trasparenza fiscale di cui all’art. 115 anche alle società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria composte da un numero di persone fisiche non superiore a 10.
Si osserva che nel tempo si è passati dalla nozione di ristretta base familiare a quella a ristretta base sociale tout court.
Un breve excursus giurisprudenziale evidenzia come la Cassazione abbia avallato una rettifica condotta su una società composta da tre nuclei familiari, ad una medesima valutazione su una società composta in quattro nuclei societari (cass. 21573/2005) .
In un’altra occasione è stato esteso il concetto di ristretta base sociale ad una società di capitali controllata da altra società di capitali la cui compagine era composta da due soci appartenenti al medesimo nucleo familiare (cass. 13338/09).

2. ACCERTAMENTO IN CAPO ALLA SOCIETA’
La presunzione che sussiste alla base dell’accertamento svolto nei confronti di una società di capitali a ristretta base proprietaria, ove si concluda con la ricostruzione di maggiori ricavi rispetto a quelli contabilizzati e riportati in dichiarazione, genera l’accertamento per estensione anche nei confronti dei soci, in forza di una presunzione di distribuzione di utili extracontabili.
Ovviamente in questa fattispecie è corretto parlare di una presunzione che trova la sua origine nella giurisprudenza e non in una norma e purtroppo risulta essere l’unico elemento su cui l’Agenzia delle Entrate fonda gli accertamenti sui soci.
In sostanza l’Agenzia, presumendo la distribuzione degli utili extracontabili interamente ai soci, provvede a tassarli in capo a ciascun socio proporzionalmente alle quote di partecipazione.
L’assunto si basa sul presupposto che l’utile sottratto a tassazione dalla società sia stato interamente ripartito tra i soci salvo prova contraria che deve essere fornita dagli stessi.
Col passare del tempo si assiste ad un irrigidimento della giurisprudenza di legittimità pro fisco, la quale ha raggiunto un punto elevato con la sentenza Cassazione n. 441 /2013 che ha fissato alcuni principi relativamente alla presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci sostenendo in maniera netta che “ove il reddito nei confronti della società  risulti accertato in maniera definitiva, i giudizi nei confronti dei soci, per quanto attiene all’esistenza di utili extra contabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa”.   
In altre parole sarebbe impossibile per il socio contestare i presupposti e il fondamento dell’accertamento in capo alla società se l’accertamento stesso si è cristallizzato per questa.
Tuttavia la mancata e/o tempestiva difesa della società non può precludere al socio di difendersi in sede di contenzioso  anche entrando nel merito della contestazione svolta nei confronti del soggetto giuridico, in quanto nessuna norma lo vieta e se ci fosse contrasterebbe con l’art. 24 della Costituzione.
Per tale motivo risulta imperativo ai sensi dell’art. 7 dello Statuto del contribuente che “ se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto questo deve essere allegato all’atto che lo richiama” con l’unica alternativa possibile che siano riprodotti il contenuto degli elementi essenziali.
 
3. RISCHIO DELLA DOPPIA PRESUNZIONE: GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’ E DI MERITO

- legittimità-

Il Giudice di legittimità al fine di superare il rischio di incorrere nella doppia presunzione, presunzione utili extracontabili e presunta distribuzione degli stessi in capo ai soci, salvaguardando in tal modo la legittimità dell’atto impositivo, ha statuito che in tema di accertamento delle imposte su redditi da capitale nei confronti di società a ristretta base sociale, la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci non viola il c.d. divieto di presunzione di II grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati, bensì dalla ristrettezza della stessa base sociale, dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo dei soci (in tal senso anche la recente sent. Cass. 5925/15).
L’ordinanza della Cass. N. 4656/2016 ha sostenuto che “ la sussistenza di utili extracontabili costituisce  il presupposto non della presunzione della distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della concreta percezione da ciascun socio in ragione della sua quota di partecipazione. ….. la circostanza che l’accertamento sia contenuto in un altro atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in giudicata, incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione di utili tra i soci bensì sull’individuazione dell’oggetto di tale distribuzione.”

- merito-

A questa impostazione logico – giuridica che potremmo definire maggioritaria, si è però contrapposta una giurisprudenza di merito che ha invece edulcorato i principi emanati da quella di legittimità circa l’accertamento effettuato dall’Agenzia perché la stessa sarebbe incorsa nel divieto sancito dalla doppia presunzione. A tal riguardo si è osservato che “il principio giuridico secondo il quale, una volta determinata l’esistenza di maggiori utili in capo ad una società, può presumersi, sul presupposto della ristretta basa societaria, che gli stessi utili siano stati distribuiti ai soci, può essere applicato nelle ipotesi in cui i maggiori utili in capo alla società derivino da maggiori ricavi documentati, mentre è inapplicabile, in forza di divieto della doppia presunzione, allorché già la percezione di maggiori ricavi da parte della società si fondi su presunzioni” (comm. Trib. Prov. Brindisi 12.10.10 n. 171).
Ma tali presunzioni di maggiori ricavi, è stato sottolineato in più circostanze da sentenze di merito, che hanno la caratteristica di essere “semplici” devono possedere tre requisiti: 1) gravità; 2) precisione; 3) concordanza, ai sensi dell’art. 39 DPR 600/72 

3. 1. RAPPORTO TRA SOCIETA’ E SOCI. CONTROLLO SULL’AMMINISTRAZIONE art. 2476 c.c.
Viene da sé che sussiste un’effettiva distanza logica tra esistenza di utili occulti in capo alla società e l’effettiva ripartizione degli stessi tra i soci.
Da tali esempi risulta evidente l’estrema elasticità del concetto di ristretta base sociale assunto dalla giurisprudenza, che però risulta nel contempo decisivo per legittimare l’operato accertativo dell’Agenzia tanto che si asserisce “ che la situazione giuridica oggettiva in cui si trova il socio di una società a ristretta base sociale giustifica la sua conoscibilità dell’attività della società e gli consente di tutelare i suoi interessi relativi alla quota di partecipazione, anche eventualmente agendo per far valere la responsabilità dei soci gestori e dando dimostrazione dei propri comportamenti dissenzienti.” (cass. 1906/06).
Tali considerazioni in diritto hanno ricevuto nuova linfa dalla riforma del diritto societario ed in particolare dal dettato dell’art. 2476 c.c. per cui il socio non amministratore ha poteri di controllo fino al punto di pretendere la consultazione di qualsiasi documento sociale. Il mancato esercizio di tale potere è interpretato come una sorta di complicità o solidarietà con l’amministrazione della società, che giustifica pienamente un accertamento a carico del socio.
 
La giurisprudenza di merito 

Un’altra sentenza di merito mitigando in un certo senso il principio della presunzione espresso dalla cassazione, ha sottolineato come “l’Agenzia delle Entrate deve motivare con elementi di fatto certi il rapporto sinallagmatico esistente tra il maggior reddito accertato in capo alla società e da questa successivamente distribuita ai soci. La ristretta base sociale non è di per sé presunzione legale o relativa affinché il maggior reddito imputabile alla società si consideri automaticamente distribuito ai soci solo perché a ristretta base azionaria. L’iter logico posto alla base di un simile ragionamento conduce irragionevolmente in una situazione di colpa il socio che appartiene ad una società a ristretta base azionaria rispetto ad un altro socio di un’altra società la cui compagine sia più numerosa.” (comm. Trib. Reg. Ancona 11.01.09 n. 6/2/09).
La necessità di individuare elementi indiziari che avvalorino la tesi dell’effettiva traslazione di maggiori utili non dichiarati dalla società al socio è sottolineata da un’altra sentenza della comm. Trib. Reg. Toscana 8.9.10 n. 128, la quale sottolinea che il fatto noto posto alla base della presunzione è costituito dalla ristretta base sociale che però deve essere suffragata da ulteriori elementi che consentano di risalire al fatto ignoto, cioè i maggiori utili.
Questi elementi secondo un’altra sentenza della comm. Trib. Toscana del 2012 n. 95 devono avere la peculiarità di essere gravi, precisi e concordanti.
In tal senso anche la più recente CTR Roma n. 2614/2014 secondo cui la distribuzione di utili, non dichiarati, alla ristretta base sociale deve essere concretamente provata dall’Agenzia e non presunta.
La sola ristrettezza della base societaria può costituire un valido elemento indiziario di occulta distribuzione degli utili, il quale però necessita del supporto di  precisi e concordanti elementi probatori”. 
Non ha ancora trovato un orientamento univoco la questione relativa ai COSTI INDEDUCIBILI in quanto normalmente sono attribuiti al  socio, nonostante non possano essere incassati da questi in quanto somme destinate a fruire di un bene o servizio. Gli uffici, a tal riguardo fanno propri i principi sanciti da due pronunce della Suprema Corte (17959 e 17960/2012) con le quali si asserisce che “i costi costituiscono un elemento importante ai fini della determinazione del reddito d’impresa, sì che allorquando essi siano fittizi o indeducibili, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato, con la conseguenza che non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi.”  

4. LA DIFESA DEL SOCIO (onere inversione della prova)
Come già si è avuto modo di dire, l’equazione che sottintende la giurisprudenza di legittimità è che i maggiori utili  extracontabili accertati in capo alla società siano ripartiti tra i soci, determinando anche nei loro confronti un accertamento nella misura proporzionale alle quote di partecipazione possedute .
Spezzare questo tipo di ragionamento risulta alquanto complesso per il socio che si trova, a volte, nell’astrusa situazione di dover dare una prova negativa a detta di alcuni autori “diabolica”.
 La giurisprudenza di legittimità sul punto si è dimostrata vaga pur lasciando qualche porta aperta ritenendo che “è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extra contabili accertati, rimanendo valida la facoltà del contribuente di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione”

Una prima possibilità di difesa è quella di dimostrare che gli eventuali maggiori  utili realizzati dalla società siano stati reinvestiti nella stessa società oppure accantonati e pertanto non distribuiti ai soci.
Un altro argomento potrebbe essere quello che attiene al socio che dimostri di non aver partecipato alla gestione sociale attraverso delle scelte decise e compiute solo da una parte dei soci e quindi estraneo all’eventuale distribuzione pro quota del reddito sociale occulto.
La CTP di Napoli con la sent. 15.3.2012 n. 145 ha dato ragione al socio il quale aveva provato mediante il deposito di estratti di c/c di non aver percepito utili.
Secondo la CTR Puglia 13.4.07 n. 66 La presunzione di distribuzione di maggiori utili di quelli dichiarati dal socio deve essere suffragata da ulteriori elementi riscontrabili in capo a questi: ad esempio beni di significativo valore, o possesso di beni che presuppongono un reddito più elevato rispetto a quello dichiarato .
Si tratta insomma di dimostrare la mancanza di quel diabolico presupposto insito nelle società a  ristretta base sociale, costituito da quello che innanzi si è definito complicità o solidarietà tra i soci.

5 . ASPETTI PROCEDURALI E PROCESSUALI
L’atto di accertamento notificato al socio deve necessariamente essere integrato da quello emesso a carico della società di capitali, ai sensi degli artt. 7 L. 212/2000 e del 42 DPR 600/1973 a pena di nullità dello stesso, al fine di rendere conoscibile al socio i rilievi da cui trae origine il suo accertamento.
Dal punto di vista più prettamente processuale, invece deve escludersi che ci troviamo di fronte ad un caso di litisconsorzio necessario applicabile ai casi di trasparenza fiscale nelle società di persona o nei casi di cui agli artt. 115 e 116 del TUIR, ma per evitare il rischio di contrasto di giudicato tra il contenzioso promosso dalla società e quello promosso dal socio, il giudice tributario si avvarrà dell’applicazione della sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 cpc.
In altri termini l’orientamento prevalente riconosce l’applicabilità dell’art. 295 c.c. solo ai rapporti in essere tra processi tributari pendenti tra i medesimi giudici o giudici diversi quando i giudizi siano legati da un rapporto di PREGIUDIZIALITA’ tale da comportare che il giudizio su una controversia dipenda necessariamente dalla definizione di un’altra.
In tal senso cito l’ordinanza della Cassazione 16294/2014