La decisione dei giudici milanesi
In altre parole, secondo i giudici del Tribunale di Milano, laddove intervenga una fattispecie di cessazione della lite tributaria, deve essere accertata l’illegittimità della richiesta di contributi Inps, ricompresi nel primario provvedimento dell’Ente impositore, “tenuto conto che non è stato richiesto un diverso accertamento dell’obbligo contributivo eventualmente sulla base dell’accordo intervenuto tra contribuente e Fisco.
Non solo: nel caso in esame è stato dunque dichiarato come giuridicamente (e processualmente) inesistente il credito vantato dall’Inps e quest’ultimo è stata condannato “a rimborsare alla ricorrente le spese di lite in complessivi €. 1.500,00 oltre accessori”.
In particolare, la ratio della sentenza in commento getta le proprie basi su una sorta di “effetto domino”: vero è che la chiusura della pendenza processuale innanzi alla Commissione Tributaria adita produce effetti solamente sotto l’aspetto fiscale, ma l’Inps non può chiedere il pagamento dello stesso importo, a titolo di contributo previdenziale (specificato nel provvedimento dell’A.F. impugnato), quando tale atto è stato privato di ogni effetto (in conseguenza alla chiusura della pendenza).
A ben vedere, la legittimità del credito previdenziale è subordinata all’esistenza dell’atto amministrativo, da cui traeva “cittadinanza” la pretesa dell’Inps, pertanto – rebus sic stantibus – venendo a mancare l’originario provvedimento esattivo, l’Inps non ha più la titolarità di esigere il pagamento di detto importo.
Ebbene, in considerazione di ciò, è del tutto illegittima la richiesta dell’Inps, poiché ha ad oggetto l’intero importo accertato: dunque, alla data della notifica dell’avviso di accertamento, il credito previdenziale era collegato al “nuovo” reddito accertato/rettificato a carico del contribuente da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Quindi, venendo meno (con la cessazione della materia del contendere) tale reddito (nella misura in cui era stato quantificato precedentemente nell’avviso fiscale), non hanno più ragion d'essere gli importi previdenziali richiesti, in quanto erano parametrati a determinati “scaglioni” reddituali.
Sulla scorta dell’intervenuto “condono” fiscale, siffatto vincolo “reddito – contributo previdenziale” non può più sussistere, atteso che era basato (il calcolo Inps) su livelli reddituali diversi rispetto alla situazione successiva cristallizzata con la chiusura della pendenza fiscale.
A ben vedere il diritto di credito avanzato dall’Inps è in totale contrasto con l’art. 53 Cost. in tema di capacità contributiva, in quanto vero è che la Circolare 48/E del 24 ottobre 2011 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrali Affari Contenzioso dispone che “le controversie relativa ai contributi previdenziali” (laddove intervenga un evento di estinzione del processo) “rientrano nella giurisdizione  del giudice ordinario”, ma nella stessa Circolare non vi è alcuna indicazione sui nuovi parametri (in tema di ricalcolo dei contributi previdenziali) che devono essere utilizzati dall’Inps per recuperare il proprio credito
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Quindi, è inammissibile che un contributo previdenziale (direttamente vincolato al reddito percepito dal contribuente) non sia influenzato (e non subisca modifiche sia sull’an, che sul quantum della pretesa) nell’ipotesi di chiusura definitiva della lite tributaria.
Di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca