La tesi sostenuta dal ricorrente
Il contribuente – nei propri atti difensivi – sosteneva che il giudice tributario può accertare, in sede di contenzioso, la responsabilità derivante dal comportamento negligente ed imprudente dell’Agenzia delle Entrate (nonché dell’Agente della riscossione) a mente dell’art. 96 c.p.c.
Orbene, la norma in esame sancisce al comma 1 che “se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza”; oltre a ciò, il comma 3 prevede inoltre che: “il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
In altri termini, il ricorrente concludeva ritenendo che debba essere riconosciuta al giudice tributario la giurisdizione c.d. esclusiva nell’ipotesi di richiesta di danni extracontrattuali derivanti da illeciti compiuti dall’Amministrazione finanziaria per l’emanazione (e la conseguente notifica) di un provvedimento palesemente illegittimo.
La decisione della Corte di Cassazione
In definitiva, i giudici ermellini hanno dunque stabilito che la domanda avente ad oggetto la pretesa risarcitoria del contribuente (in seguito vittorioso nel contenzioso) compete alla giurisdizione del giudice tributario, poiché tale richiesta giudiziale presenta un diretto ed immediato nesso causale con l’atto impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto medesimo, il quale non è esaurito, ma anzi costituisce l’oggetto del giudizio.
A ben vedere, la domanda risarcitoria a mente dell’art. 96 c.p.c. è applicabile all’interno del processo tributario per i seguenti motivi: a) in virtù del generale rinvio all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 546/92 e b) poiché rappresenta un fenomeno “endoprocessuale”, in ordine al quale la richiesta è proponibile solo nella medesima controversia dal cui esito si deduce l’insorgenza di tale responsabilità aggravata.
Quindi la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è intrinsecamente connessa con la decisione di merito: tale “fusione processuale” tra le due domande (annullamento del provvedimento amministrativo e richiesta di danni per responsabilità aggravata) scongiura l’eventualità – in ipotesi di contenziosi innanzi a giudici diversi – di un contrasto tra giudicati (Cass. nn° 9297/2007, 12952/2007, 18344/2010, 26004/2010).
Ma non solo: l’art. 96 c.p.c. è operativo anche in relazione al comma 3 (introdotto dalla Legge n° 69/2009), ossia nella fattispecie in cui il giudice può condannare parte soccombente al pagamento di una somma “equitativamente determinata”, a titolo di risarcimento dei danni patiti dal contribuente per effetto di una pretesa impositiva temeraria ad opera dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n° 21750/2012).
A ben vedere, il diritto al risarcimento del danno nell’ambito della responsabilità processuale (per malafede o colpa grave) è azionabile non solo riguardo al comportamento dell’Erario nella fase del contenzioso innanzi alle Commissioni Tributarie, ma anche nella precedente fase c.d. amministrativa, sulla scorta della quale è possibile riconoscere una violazione del principio del c.d. giusto procedimento.
Di Federico Marrucci
Avvocato Tributarista in Lucca